“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Friday, 12 November 2021 00:00

L’afflato della misericordia

Written by 

Quattro sedie di legno messe in fila sul palco. Alcuni giocattoli, anch’essi di di legno, colorati. Forme e colori sembrano antichi, di un altro tempo, un tempo semplice, lontano, povero.
Calano le luci, si riaccendono... ed ecco le sedie occupate da tre donne e un uomo-bambino.

Le tre sferruzzano, mentre il ragazzino agita rapidamente la testa, dall’alto verso il basso, fin quasi a toccare terra. È un movimento convulsivo, compulsivo. Si capisce subito che c’è una diversità. Il ragazzino dà testate nel vuoto. Le tre donne quasi lo ignorano e parlano in maniera concitata e fitta. Le pièce di Emma Dante sono sempre eccessive, sopra le righe, perché rappresentano realtà estreme, dure, impietose come le violenze che sovente le caratterizzano. E Misericordia non fa eccezione.
Le donne parlottano in una lingua incomprensibile, con un tono di voce basso, poi iniziano ad accusarsi, o meglio, si crea un duo accusatore contro la terza. Il ragazzino, Arturino, è vestito con un abito femminile, che la donna ha preso dalla spazzatura. Trattasi di vestito buttato via da una delle altre due. L’accusa che queste le rivolgono è di avere rubato il vestito. Lei replica dicendo che “’A munnizza è di tutti: è democratica!”. Si ride, con Emma Dante. Per la geniale composizione dei dialoghi, sempre ironici e taglienti. O si dovrebbe forse meglio dire che si sorride e ride amaramente. Ancora una volta, lo spaccato che ci presenta è quello di donne ai margini, che provano a resistere in un mondo che non consente loro di esistere in maniera dignitosa e seguendo scelte di autodeterminazione e felicità. Le tre donne sono infatti prostitute che di giorno lavorano a maglia e la sera si offrono agli uomini; vivono insieme, per necessità economica più che per scelta, sembra di potere dedurre. E con loro vive Arturino, figlio della defunta Lucia, morta dopo averlo dato alla luce. Anche Arturino è così figlio del disagio, ma, ancor prima, delle percosse che il suo padre biologico ha inferto alla madre al settimo mese di gravidanza: calci che l’hanno fatta partorire prematuramente e poi causatone la morte; calci che hanno “guastato” irreparabilmente il bambino, provocandogli danni cerebrali che ne hanno determinato l’iper-cinestesia e la quasi completa afasia. Arturino, come Pinocchio, è figlio di un falegname soprannominato Geppetto – che infatti di legnate s’intendeva parecchio... tanto da fare morire la sua puttana prediletta. Ma, lungi dall’essere un pezzo di legno rigido e fermo, pare un indemoniato. Ciò che non comunica con le parole, dice con il corpo. E così, mentre le tre parlano in maniera fitta, litigano, alzano la voce, sovra-utilizzando il linguaggio verbale, egli corre in circolo, rapido, senza sosta, accenna passi di danza, salta, crea immagini con il corpo, tende le mani, sorride. Senza dire una parola. La sua espressività è incredibile, come l’incarnazione che Simone Zambelli fa di un iperattivismo incontenibile e del tutto inconsapevole, di un essere nel mondo fisico ma non mentale, del rallegrarsi per l’abbraccio delle donne e per le sue stesse esplosioni fisiche ed emozionarsi e non stare nella pelle al passaggio ogni giorno della banda, con cui lui sogna di suonare. Perché, nonostante i danni gravissimi, anche Arturino, a modo suo, nel suo modo fatto di un altro tipo, semplice e non sviluppato, di comunicazione, sogna. E il sogno è la musica.
Questo è un altro elemento molto suggestivo dello spettacolo: Emma Dante sembra voler dirci che ci sono dei miracoli che possono toccare anche chi pare fuori della realtà strutturata e intellettualmente piena. E questi miracoli sono legati in maniera inscindibile all’arte. E così, le uniche, incomprensibili parole che Arturino pronuncia nel corso dell’intero spettacolo, avvengono quando si mette a imitare un ritmo e a canticchiare sillabe sparse. Sembra un lamento, ma è un’espressione simil-verbale, comunque: di gioia.
Aspetta impaziente il passaggio della banda e gli viene detto da una delle donne che la banda passerà più tardi, al che inizia a correre in tondo follemente, fuori da ogni possibile controllo. Lo ferma soltanto il suono – anche qui, la musica – delicato di un carillon che lo porta a una sorta di contemplazione, a un sonno quasi estatico. E così la musica ha un potere attivante, dichiarante appartenenza attiva al mondo e al sogno, ma anche tranquillizzante, taumaturgico. Una doppia valenza miracolosa, insomma, per un bambino che porta in sé i risultati strazianti della violenza maschile e che, per la sua spontaneità deficitaria e per il fatto che sia stato cresciuto da tre donne, ribalta gli stereotipi della virilità.
La comunicazione verbale è meno autentica, perché ragionata; può perciò dire altro rispetto a ciò che reputa giusto o vero, per motivi contingenti, o per scopi specifici più o meno validi moralmente... In Emma Dante la comunicazione è spesso confusa e confusionaria, conflittuale. La performance delle tre attrici è incredibile: il ritmo vernacolare delle loro battute spasmodiche è un crescendo catalizzante, che ammalia il pubblico. È una prova attoriale notevole: pare davvero di trovarsi in quartiere popolare di una grande città del sud – Palermo, Napoli, Bari – e di assistere alle scaramucce di strada delle donne. Qui si parla per non dire l’essenziale, per passare il tempo, per affermarsi e sovrastare l’altra, per abitudine; si parla per dissimulare: per coprire il dolore.
Il corpo, invece, non dissimula, non mente. Il legame con il cervello non è mediato dal logos e fuoriesce quindi nella sua interezza, privo di interposizioni mentali e verbali. Così, Arturino è puro nella sua sincerità fisica totale. E Anna, Nuzza e Bettina sono davvero loro stesse, e sono anch’esse felici, quando si danno al movimento dei corpi. Si mettono a ballare con passione, trasporto, fierezza, sulle note della splendida Trasmigrazioni di Rocco De Rosa, un compositore e pianista lucano che unisce il suo talento meridionale a una più ampia sensibilità mediterranea. E sulle note di questo pezzo cantato in algerino, le tre donne si spogliano fino a restare in abbigliamento intimo. Si dimenano, e fanno toccare a spettatrici e spettatori il gusto della libertà. Lo stesso fa Arturino, che indossa tacchi e spillo e prende in mano un piumino. Musica e corpi si uniscono idealmente, mettendo finalmente a tacere le troppe voci in perenne contrasto. L’importanza del simbolo, dei simboli, oltre che delle voci e dei corpi emerge con forza. Le donne sono le protagoniste di Misericordia e, in generale, del teatro di Dante. Donne che soffrono, urlano, litigano, si sostengono, si sfidano, si odiano, ma si tengono l’un l’altra. Il femminile vitale e disperato è il luogo per eccellenza della rappresentazione umana di Emma Dante. Il “femminile universale”, anzi. In questo spettacolo, infatti, anche l’unico personaggio maschile è femminile: danza come una libellula, con modi certamente non mascolini, porta con maestria dei tacchi a spillo scintillanti e scuote un piumino – strumento di pulizia, quindi associato tradizionalmente alle donne – arcobaleno; simbolo di pace e della comunità Lgbtqi+. Quest’uomo incarna la delicatezza e la non violenza. Il maschile qui è innocuo, colorato, spontaneo, tenero, senz’altro anche indifeso. È più vicino all’immaginario classico del femminile che va protetto piuttosto che del modus maschile che nel tentativo – o illusione – di proteggere, decide, impone, vieta, stronca. Il maschile pare essere bello, per Dante, se abbandona le velleità di dominio e forza fisica, se resta piccolo, tenero, se non teme di esprimere le proprie emozioni. L’altra figura maschile, il falegname, è cieco e pieno di irrazionale, folle, ingiustificabile violenza, uccide una donna e compromette l’integrità della creatura ch’ella porta in grembo, creatura ch’egli stesso ha generato… è allora quasi una dolce rivalsa che Arturino sia così: un essere sì da tutelare, ma adorabile nella sua bontà e dolcezza. E la dolcezza di Arturino porta all’unione finale delle tre donne in conflitto tra loro e in debito con la vita, pur nel triste lasciare andare Arturino in un istituto, probabilmente perché non riescono più a stargli dietro o a sostenere per lui le spese necessarie e dove, si spera, sarà meglio seguito. Quando lo convincono ad andare, utilizzando la scusa della banda che arriva, giunge la parte più commovente della pièce. Arturino, vestito di tutto punto e in procinto di lasciare per sempre la casa dove è cresciuto, saluta le tre donne dicendo: “Ciao mamma!”. Si girano tutte verso di lui, sentendosi chiamate in causa. Al di là delle differenze, della bruta povertà, della vita ruvida e parca di gioia, le tre hanno amato Arturino, ed egli, nella sua menomata semplicità, lo sente, lo sa, tanto da dire “Mamma!” ad Anna, Nuzza e Bettina, senza fare differenze. Perché la maternità – e la genitorialità – vanno ben oltre il dato biologico, e possono appartenere a più di una o due persone. Dare un tetto, dare calore, dare nutrimento, dare un abbraccio... questo conta, e questo può bastare, pur in esistenze traballanti, ai margini, a creare il cordone dell’amore filiale. Con il cuore presente nella parola che dà il titolo a questa rappresentazione. E senza retorica, senza fronzoli, senza cedere al melodramma o al pietismo, con brio e intelligenza, andando all’essenziale, pur costruendo scenari complessi e messaggi profondi che sempre lasciano il segno in chi guarda e portano a riflessioni e necessari scuotimenti: questo fa Emma Dante con Misericordia, confermandosi una delle autrici italiane teatrali più originali e sensibili.





Misericordia
scritto e diretto da Emma Dante
con Italia Carroccio, Manuela Lo Sicco, Leonarda Saffi, Simone Zambelli
luci Cristian Zucaro
foto di scena Masiar Pasquali
assistente di produzione Daniela Gusmano
produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa, Teatro Biondo di Palermo, Atto Unico / Compagnia Sud Costa Occidentale, Carnezzeria
coordinamento e distribuzione Aldo Miguel Grompone, Roma
lingua dialetto palermitano
durata 1h 20’
Bologna, Arena del Sole, 5 novembre 2021
in scena dal 4 al 7 novembre 2021

Leave a comment

il Pickwick

Sostieni


Facebook