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Wednesday, 29 September 2021 00:00

La danza dell’amore di Emanuel Gat coi Tears for Fears

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Il pubblico del Teatro Argentina, in occasione del Romaeuropa Festival 2021, ha danzato sulle note dei Tears for Fears insieme ai meravigliosi corpi dei danzatori della Compagnia del coreografo israeliano Emanuel Gat nella creazione dal titolo LoveTrain2020.

La splendida operazione di unire la danza contemporanea di ricerca alle musiche di una delle più celebri pop/rock band britanniche degli anni ’80 è un’idea molto interessante per vari motivi, innanzitutto perché ha offerto l’occasione di portare il linguaggio della danza in una relazione di maggiore contiguità con gli spettatori grazie alla conoscenza comune della musica e, per alcuni, anche dell’ambiente storico in cui la band è nata e ha agito.
Lo spettacolo è incentrato sulla declinazione di varie situazioni che inneggiano all’universo dell’amore: i danzatori descrivono con il puro gesto le dinamiche del rapporto di coppia, della gelosia, dell’amore egoistico, della ricerca dell’amore universale, della lotta causata dall’innamoramento non corrisposto, il tutto sulle note dei pezzi cult della band come Shout, Everybody Wants to Rule The Word, Mad World, Pale Shelter, Change, The Way You Are, Head Over Heels, Break It Down Again, I Believe, Listen, Memories Fade, Sowing the Seeds of Love.
I danzatori, in abiti ampollosi e stravaganti, come se fossero ad una sfilata o ad una gara di ballo, si alternano in assoli, duetti, e pezzi di gruppo, in danze ritmiche e fluide con una sapienza e coscienza della traiettoria dinamica del movimento notevole. Gat, infatti, nelle sue coreografie, percorre un’idea di design coreografico molto aperta in quanto tutta la scena è sempre immersa in paesaggi di corpi che, quando sono dietro al fondale, si preparano, quando sono al centro tengono sapientemente la scena, quando si spostano ai lati perché il centro viene preso da altri, continuano a colorare il palco di azioni e gesti in dinamica.
I corpi sono diversi, diverse sono le etnie, il genere, il colore della pelle, la fisionomia e lo stile estetico, ma la qualità di movimento di tutti riesce a declinare dinamiche di accenti ritmici in una costante fluidità d’azione.
Emanuel Gat ha scoperto la danza in Israele già adulto e ci è entrato con una propria sapienza sperimentativa, perseguendo l’obiettivo di creare uno stile personale: oggi lavora tra la Francia, la Germania, l’Inghilterra, chiamato a fare workshop, lezioni, creazioni e residenze come artista associato sia per le compagnie dei vari luoghi che per la sua, offrendo poi le sue coreografie ai teatri di tutto il mondo. La sua danza è figlia della formazione e del temperamento israeliano, il cui dato più interessante è l’accostamento di accenti ritmici a cedimenti dinamici di energia e peso verso il basso, cosa che consente di sfruttare il momentum e la forza dell’inerzia per compiere virtuose azioni dinamiche che fanno librare e poi scivolare sul pavimento i danzatori. Il virtuosismo che ne deriva, non è affatto pantomimico, come se si trattasse di un musical, ma rispetta i principi meccanico-dinamici della fisica del movimento, ovviamente a un livello tecnico molto elevato. Inoltre, guardando anche al repertorio di Emanuel Gat, si può riscontrare come non sia nuovo ad operazioni del genere in cui la sperimentazione porta a sintesi la relazione tra danza e musica.
Certo, farlo con un gruppo dal vibe pop/rock è una novità nella sua carriera ma, fin dal 2004, anno di fondazione della sua Compagnia a Tel Aviv, si era cimentato a coreografare sulle note di Franz Shübert in Winter Voyage e del genio stravinskiano in The Rite of Spring, vincendo tra l’altro il “Bessy Award” al Lincoln Center Festival di New York poco dopo, e nel 2006, si orientò invece sulle melodie del requiem di Mozart in una coreografia intitolata K626. Anche quando andò in Francia come artista associato al Montpellier Dance Festival continuò nella direzione tracciata con pezzi come The Goldlandbergs. Poi, di ritorno a Parigi, presso Il National Theater of Chaillot collaborò con il Modern Ensemble di Francoforte con una formazione composta da dodici danzatori e tredici musicisti. Inoltre Gat stesso si è misurato con la creazione musicale per alcune sue coreografie, oltre a dedicarsi recentemente anche alla fotografia.
Il progetto di LoveTrain si è sviluppato durante i vari lockdown, pertanto ha dovuto subire le conseguenti limitazioni del percorso creativo. L’interesse nel percorso tra musica e danza di Gat si continua a concretizzare ancora nella collaborazione con la Cité Musicale di Metz per la realizzazione di una Tosca.
Ma perché scegliere, per la creazione di ottobre 2020, tra le band di quel periodo, proprio i Tears For Fears? Credo che la scelta, oltre che probabilmente guidata dal gusto personale o dal riferimento alla memoria giovanile del coreografo, sia stata dettata da un accostamento vincente tra sonorità e movimento: nessuna delle due forme d’espressione oscura o esalta troppo l’altra ma sia la danza che la musica sono autonome e in questa occasione convivono in sintesi felice. Anche il fatto che si parli dell’amore senza retaggi di malinconia è un altro dato che sembra suffragare la scelta dei Tears for Fears, in quanto nei loro testi e nella loro musica ci sono sì dei forti riferimenti storici ma non c’è malinconia o cupezza, ma sempre una chiara apertura nei modi e nelle tonalità, come del resto avviene nella danza di Gat.
Nell’osservare la performance è evidente che i danzatori si divertano, giocano d’ironia, sentono la gioia libera di muoversi e la trasmettono a tutta la platea, sicché lo spettacolo diventa un veicolo non solo per inneggiare all’amore ma anche alla libertà pura, nuda e briosa del danzare, cosa che si ritrova spesso nel coreografi europei che contaminano gli stili come José Montalvo o nelle coreografie brasiliane di Alice Ripoll, dove il ritmo che trapela dai corpi dei danzatori è così potente che è davvero impossibile non farsi attraversare fino alla punta dei capelli e non ridere e divertirsi lasciandosi coinvolgere.
L’andamento dello spettacolo di Gat tiene il fiato sospeso lungo tutto il suo svolgimento e gli stessi silenzi − che ricorrono spesso − non arrestano mai il il flusso di movimento, perché i danzatori non rispettano la pausa data dal finale della canzone ma sono già nell’azione dinamica che ne segue e così ogni scena dà adito alla successiva, e qualcun altro è sempre pronto a entrare in pista dal fondale. Il fondale, creato con un telo irregolare che lascia spazio a un’altra parte del palco, lascia intravedere il dietro le quinte e le fasi di preparazione senza filtri,consentendo di osservare la fase preparatoria di ogni danzatore prima che entri e prenda il centro della scena. Rispetto allo spazio scenografico, anche le luci sono essenziali ed efficaci in quanto sembrano allargare la scatola nera della scena creando paesaggi ogni volta differenti e una necessaria e costante profondità che permette all’occhio dello spettatore di muoversi in tutto lo spazio scenico, compreso il retro-fondale.
Ill temperamento, la temperatura e le emozioni sono creati grazie all’ambientazione in cui la musica mette i corpi e le relazioni fisico-spaziali sono dettate non tanto da un lineare schema coreografico quanto da una sperimentazione sul gesto molto profonda nonché dal fatto di stare raccontando dell’amore, della continua ricerca di cosa sia e di come ciascuno lo percepisca. Sentire un tale vigore e una tale energia in teatro è estremamente coinvolgente: la Compagnia di Emanuel Gat è riuscita a strappare sorrisi e a infondere emozioni e ci piace pensare che abbia suscitato in chi era presente anche il desiderio di muovere qualche passo di danza, una volta rientrati a casa.
L’ultimo inno su cui si è danzato non poteva che essere, coerentemente con la drammaturgia, quello di Sowing the Seeds of Love, in cui un assolo ha condotto ad un finale inaspettato (lo spettacolo avrebbe potuto anche andare avanti per tutta la notte!) e pian piano tutti i danzatori si sono fatti avanti, salutando il pubblico e raccogliendo lunghi minuti di ringraziamenti sinceri.





Romaeuropa Festival 2021
LoveTrain2020
coreografia e luci
Emanuel Gat
creato e interpretato da Eglantine Bart, Thomas Bradley, Robert Bridger, Gilad Jerusalmy, Péter Juhasz, Michael Loehr, Emma Mouton, Eddie Oroyan, Rindra Rasoaveloson, Ichiro Sugae, Karolina Szymura, Milena Twiehaus, Sara Wilhelmsson, Jin Young Won
musiche Tears for Fears
costumiThomas Bradley
creazione costumi Thomas Bradley, Wim Muyllaert
direzione tecnica Guillaume Février
produzione Emanuel Gat Dance
company manager Marjorie Carré
coordinatrice produzione Antonia Auday
coproduzione Festival Montpellier Danse 2020, Chaillot – Théâtre National de la Danse, Sadler’s Wells London, Arsenal Cité musicale – Metz, Theater Freiburg, avec le soutien de Romaeuropa Festival. Emanuel Gat Dance beneficie du soutien du Ministere de la Culture et de la Communication – DRAC Provence-Alpes-Cote d’Azur au titre de compagnie conventionnee, de la ville d’Istres, de la Region Sud – Provence-Alpes-Cote d’Azur et du Conseil Departemental des Bouches du Rhone (Creato a l’Agora – cité internationale de la danse a Montpellier)
paese Israele
Roma, Teatro Argentina, 25 settembre 2021
in scena dal 23 al 25 settembre 2021

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