“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Sunday, 25 April 2021 00:00

La Liberazione e i passi verso la libertà

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La data del 25 aprile resta molto probabilmente la più importante della storia italiana, perché segna la Liberazione del nostro Paese dalla dittatura nazi-fascista e instaura le basi della nostra democrazia, fondata sulla solidarietà e sull’uguaglianza, sulla giustizia e sul lavoro – e quindi, traente legittimazione dal popolo tutto, finalmente protagonista e partecipe.

Cosa resta di quel giorno, cosa dei valori che lo hanno reso possibile? Una domanda difficile, se vi si vuole rispondere non soltanto in base all’appartenenza e all’ideale, o a certi eventi trascorsi e storicizzati, ma da un punto di vista più astratto, filosofico e attuale. Resta innanzitutto la libertà, mi viene da dire, e non per la comune radice con il termine liberazione, ma perché la libertà è la massima espressione dell’essenza umana − che il regime fascista aveva spazzato via.
Non mi soffermerò sulle affermazioni di certi pseudo-leader di partito che scambiano in modo manipolativo e strumentale i due termini, ma ritengo che ultimamente si faccia un po’ di confusione tra i concetti di Liberazione e libertà. E si definisca male, talvolta, quest’ultima. Quello della Liberazione è stato un processo politico dialettico che ha determinato una coesione trasversale alle ideologie democratiche e comune nel Paese, a livello geografico e sociale. La libertà è invece uno stato che ci ritroviamo senza avere dovuto combattere per conquistarlo. Uno stato di diritto, si potrebbe dire: sottinteso, scontato. Tra processo e fatto, o dato, c’è una grossa differenza. E per questo, bisogna prestare attenzione alla coltivazione della libertà, alla sua sopravvivenza, e provare a renderla dinamica rispetto alle sollecitazioni del presente.
Oserei dire che la libertà si concepisce al giorno d’oggi quasi esclusivamente come libero arbitrio. Sarà per l’influenza massiccia della cultura anglosassone, che da qualche decennio ha introdotto nel discorso mainstream il martellante concetto anarcoide del free will, sarà per l’impoverimento culturale cui stiamo inesorabilmente andando incontro, sarà per l’individualizzazione indotta dal post-capitalismo e dalla conseguente atomizzazione delle esigenze, aspirazioni e (auto)affermazioni, ma pare che tutto sia lecito, se corrisponde a ciò che si desidera, o – peggio – se è, senza grosse riflessioni, quel che si “vuole” – avere, fare. Il grande limite della libertà così concepita e agita è l’imbattersi in un egoismo che può essere spaventoso, perché arriva finanche a non tenere conto dell’altra persona, né delle conseguenze delle proprie azioni.
E così, mi ritrovo a volere sottolineare quanto invece la libertà sia responsabilità, e quanto essa abbia valore nel vissuto comune, nella relazione con gli altri. Lo aveva già detto Sartre − per carità! − ma collegando egli tale intuizione filosofica all’angoscia che da ciò deriva e vivendo tale realtà come un peso costante. Io provo a vederla diversamente, perché trovo sia possibile: proprio la nostra Storia ce lo insegna. L’orgoglio di commemorare la Liberazione è perciò sì grande: una vittoria del (normalmente poco unito e consapevole) popolo italiano, che si compattò per ideali alti e irrinunciabili, che erano ideali di tutti. Da questo punto di vista, la Resistenza e la Liberazione sono un eccezionale apice civile ed etico.
Si può dunque tracciare una linea di raccordo storica, logica, emotiva e politica con la Liberazione. La libertà, da sola, non vale nulla, perché la libertà, se si è soli, non può essere esercitata: diventa esercizio nel − e quindi del − vuoto. Affinché trovi senso e valore, c’è bisogno di calarla nella effettività del reale. Essere “liberi di” vuol dire potere fare in una certa dimensione, che prevede luogo, tempo, altre presenze, e dunque una necessaria interazione e dei limiti che consistono nel rispettarle, le altre presenze, naturali e umane. Perciò, solamente se si è liberi con gli altri si può affermare di essere davvero liberi. Se poi si è – o cerca di essere – liberi anche per gli altri, allora ci sono la bellezza e grandiosità della conquista di un valore che non sia solo proprio. È lì che io ritrovo la potenza intatta della Liberazione, il cui fermento dovrebbe caratterizzarci ancora in questo tremendo periodo storico-sociale di prevalenza di mediocrità e chiusura emotiva e “temporale”, nel senso di evolutiva.
Pensare alle necessità non rappresentate delle altre persone, mettersi con loro in relazione, ridà slancio vitale al concetto cristallizzato di libertà: l’agire per il bene comune, che è agire per il bene altrui e per il proprio, come la Resistenza partigiana fece, rimette la libertà in movimento, in quanto la rende produttrice di cambiamento e perciò la proietta al futuro. Risuona in quest’ottica l’importanza dell’etica della responsabilità di Weber e, soprattutto, di quella di Jonas – più recente e attuale − che include il divenire e l’ambiente nel suo discorso filosofico. È vero che Nietzsche ha liberato il concetto di responsabilità da quello, insopportabile e claustrofobico, di colpa metafisica, ma occorre aggiungere che egli ha lasciato la responsabilità in un’ottica del tutto soggettiva, in cui esiste soltanto la morale personale. Ciò sarebbe l’optimum secondo chi scrive, in un mondo perfetto, in cui ognuno sia lietamente conscio e padrone di sé, delle proprie parole, azioni, reazioni, di una bella esistenza priva di desideri inesauditi, di un afflato verso il prossimo. Va da sé che non sia così, per cui è doveroso occuparsi dell’etica come di una dialettica tra domanda e risposta, tra l’Io e l’Altra/o, con tutte le difficoltà e contraddizioni che ciò comporta. E perciò, nel (laicamente) sacro rispetto per le libertà individuali, sarebbe auspicabile che scelta e responsabilità procedessero di pari passo, onde consentire la creazione di una consapevole armonia, formale e sostanziale, esistenziale e politica.
Per concludere, mi piace pensare alla Liberazione come ad un arco che si estende nel tempo: indelebile impronta del passato, deciso passo del presente e morbida intuizione di futuro. La Liberazione è così memoria attiva: è ricordare chi e quando ci ha consentito di vivere in un Paese democratico, ed è esercizio costante di sostenimento di istanze di liberazione di chi un'identica libertà non ha. Ed è così che la libertà diviene dialettica, diviene viva: quando è costruzione, al di là delle differenze, di percorsi condivisi.

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