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Friday, 23 April 2021 20:49

Graces Anatomy. Diario di bordo – Giorno 10

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Si scaldano i motori – che poi sono corpi – in attesa che alla spicciolata arrivino tutti i partecipanti. Nell’attesa dell’inizio di questo decimo giorno di residenza creativa (ebbene sì, con oggi varchiamo la doppia cifra), Silva ci fa cominciare la giornata con Pina Bausch, con un libro illustrato sul suo teatro che sfoglia in favore di camera. Poi si parte.

Con Dancing Queen degli Abba. Ancora una volta si allarga lo spettro del panorama musicale, che oggi finisce per includere – tuffo al cuore per chi scrive – persino la Bandabardò. Per poi virare di nuovo, in questo coacervo mutevole e variegatissimo, verso le note d’un madrigale. La prima ora scivola via così, lasciando fluire il movimento nelle coordinate già tracciate, e aggiungendone come sempre di nuove, abbracciando in un corpo unico tanti corpi in confidenza, con sé e fra sé e gli altri.
L’esperimento di giornata consiste nel “fare Graces”, con i performer che saranno chiamati ad alternarsi nella guida del gruppo mentre al resto dei danzatori toccherà il compito di seguirli; cura preventiva: la preparazione di acqua e fiori, da tenere fuori scena, “dietro le quinte”, a portata di mano, pronti a fungere alla bisogna. Si comincia, come di consueto con tutti fuori inizialmente, poi tutti dentro a dar vita a questo Graces collettivo all’insegna dell’estro armonico. Maria Chiara è la prima “grazia” a guidare le altre, segue Morgana, sotto il cui ritmo caracollante galoppano i cavalli di Graces, mentre con Elena prendono la ribalta i fiori, fino a che, all’apice di questa fase, all’apertura di tutti i microfoni, ci si affastella a modulare ringraziamenti all’unisono, a cui seguono gorgheggi e vocalismi sparati in primo piano.
A seguire è Andrea ad assumere il compito di guidare il gruppo, mentre Silvia continua a stimolare la ricerca della bellezza, a sollecitare maieuticamente i performer ad estrarla dalle loro azioni. Ci si ferma, ma non del tutto, e Francesco apre un topic di discussione su cosa sia davvero la “prosperità” (che insieme a gioia e splendore è il calco del trittico canoviano di riferimento), a cui il resto del gruppo risponde esprimendo ciascuno la propria idea o sensazione.
Si riprende a danzare, questa volta seguendo Maria Stella, che parte declinando sulle note del Valzer di Strauss la fase del ballettone, portandolo fino alla dimensione del virtuosismo e concludendo con le pose statuarie finali in cui permangono tutti. A seguire è il turno di Guido a reggere il gioco e lo fa evocando i superpoteri, mentre Amina dopo di lui introduce l’elemento dell’acqua guidando con una bottiglia in mano e evoluendo con essa. Gran finale “scivoloso”, che termina ancora una volta con tutti in posa.
Sintesi danzata e collettiva di Graces per interpreti intercambiabili, ormai partecipi di un gioco che non solo li diverte e li affascina, ma li fa sentire di fatto “dentro il processo”, gangli di un ingranaggio, in cui ciascuno si può percepire perno per un istante e anello di congiunzione nell’istante successivo. Qualcosa sta prendendo forma, qualcosa sta nascendo, qualcosa ha cominciato a “esistere” soprattutto in termini di consapevolezza interiore, di appartenenza organica a un tutto che è ancora in divenire, eppure già pulsa di vita propria.
La giornata di attività di Danza Pubblica-Graces – che Scenari Visibili organizza aderendo al bando “Per chi crea” di MiBACT e SIAE – si conclude con una non meno fondamentale parte dialogica, con l’apertura di un vero e proprio question time, in cui ci si confronta, si pongono domande, si ripercorre quanto fatto finora, ci si racconta il tragitto fin qui percorso insieme, attraversando atmosfere e “colori” di Graces. La Gribaudi ribadisce quanto sia importante mantenere lo spirito dentro l’azione, “sentirne” tutte le parti, di gruppo e individuali, lasciarsi andare liberamente al gioco, ma concedersi anche il tempo e l’agio di avvertire pure la noia, riservarsi il legittimo imprescrittibile diritto di essere confusi, di non capire, eppure andare avanti ugualmente, accettando che ciò possa avvenire; e poi andare oltre l’ostacolo, superarlo, ed essere pronti a portare l’azione in condivisione col pubblico, come in Graces, dove proprio il pubblicoè attore e spettatore insieme.
Si ragiona poi sulle scelte musicali operate, su come siano nate, sulle intuizioni da cui si parte, alle quali segue poi comunque una scelta ragionata e consapevole.
Ma come nasce un incanto? Come si crea una magia? Dove sta il “cuore” di un sentire e dello spettacolo che ne consegue? E come lo si trova? Come si arriva alla grazia e, di conseguenza, alla gioia e allo splendore? Sono le domande che almeno una volta (ma presumibilmente molte di più) tutti noi che siamo stati dentro a questo processo ci siamo posti rispetto a Graces e a chi Graces lo ha realizzato. E se Andrea Rampazzo pone l’accento sulla ricerca della connessione, del collegamento, dell’instaurazione di un ponte con l’altro, della creazione di uno scambio in cui si porti tutto ciò che si è capaci di immettere, Silvia Gribaudi invece arretra ancor di più il punto d’origine, raccontando della sua rottura nei confronti del limite imposto dalla danza tradizionale e da tutti quelli che ne percepiva come portati negativi: la disciplina ferrea, la prestazionalità, il giudizio e l’ansia da giudizio. E di come col tempo, grazie a un proprio percorso personale, artistico e spirituale, sia riuscita a trovare una propria via, una identità – che è quella del clown applicato alla danza – che le abbia consentito di danzare ridendo, giocando con le proprie fragilità, che è poi un modo per superarle: come dicevamo ieri, il problema che si trasforma in risorsa, in una sfida quotidiana, che quotidianamente si rinnova.
E che per finire viene lanciata ai nostri performer: un video da realizzare, un altro – questa volta di cinque minuti buoni – in cui “fare Graces”, provando a fare in modo che di Graces in quei cinque minuti ci sia “il cuore”. Un cuore che, quando ci salutiamo, sembra abbia già iniziato a battere in tutti secondo cadenze condivise.

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