“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Monday, 15 March 2021 00:00

Il teatro lunare di Vicente Huidobro

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Tra i bersagli della furia iconoclasta di Roberto Bolaño un posto d’onore spetta ai poeti centrali del canone latinoamericano e, in particolare, i patriarchi delle letterature nazionali a cui era maggiormente legato, ovvero quelle cilena e messicana. Nel primo caso, il padre contro cui scagliare la propria furia (rinnovatrice) era, nella maggior parte dei casi, Pablo Neruda.

A fianco dell’autore delle Residenze, l’altro nome oggetto delle invettive di Bolaño, sicuramente meno noto, è quello di Volodia Teitelboim. Più giovane di Pablo Neruda, Teitelboim ha una traiettoria simile a quella del Premio Nobel: oltre che poeta è stato anche deputato del Partito Comunista Cileno e critico letterario. A Teitelboim, tra gli altri, si deve la formalizzazione del canone letterario cileno (la sua figura ricorda il Farewell del romanzo di Bolaño Notturno cileno) e la collocazione degli autori in una gerarchia funzionale, sia in termini comparativi, sia nell’inventario della produzione di ciascuno scrittore. E proprio Teitelboim, assieme ad altri, colloca Vicente Huidobro nel campo esclusivo della poesia. A dire il vero, questo sembra il destino comune ai poeti delle avanguardie per cui, per esempio, il peruviano César Vallejo è ricordato per le poesie di Gli araldi neri, Trilce o i Poemi umani (ritradotto da Gorée nel 2008) e meno per la sua narrativa, vale a dire il romanzo Il tungsteno (pubblicato da Sur nel 2015), la nouvelle Favola selvaggia (pubblicata da Arcoiris nel 2014) o i racconti di Escalas (pubblicati da Arkadia nel 2018). In questo caso, quindi, è particolarmente importante e gradita la scelta da parte di Loris Tassi di presentarci un Vicente Huidobro inedito, in questo caso autore di finzioni e drammi teatrali. Grazie alla collana “Gli eccentrici” di Arcoiris, abbiamo la possibilità di leggere la pièce teatrale Sulla Luna, un delirio distopico, parodico e cospiratore sulla società attuale, la cui prima edizione risale al 1934.
Ambientato sulla luna, unico luogo in cui, secondo i lunari (o i lunensi, il dibattito è aperto nell’opera), è possibile la vita, Sulla Luna è la rappresentazione di una rappresentazione in cui si mette in scena la sciagurata vita politica della nazione – democrazia prima, regno poi – lunare. L’opera si apre con un banditore che invita i passanti ad assistere all’opera teatrale e, successivamente, assistiamo all’opera stessa. Come scritto poco più sopra, la pièce si può riassumere in poche righe: si tratta della turbolenta rappresentazione dell’instabilità democratica di una nazione immaginaria per cui, a partire da una tornata elettorale più o meno lecita, si succedono innumerevoli Presidenti illegittimi che prendono il potere attraverso un putsch. Tra questi usurpatori, si annoverano i classici capi militari fanfaroni, i rappresentanti delle opposizioni o delle correnti interne, fino ad arrivare ai pompieri, la corporazione delle segretarie e un mistico cospiratore. Ciò che accomuna tutti i governanti è il totale disinteresse per le istanze popolari, l’incapacità di programmare una sana vita pubblica ed economica e la smania per il successo personale (oltre a una certa lascivia nel caso dei personaggi maschili): di conseguenza, la corte di lacchè che si dimena intorno a ciascuna figura presidenziale è sempre la stessa e sempre pronta, senza il benché minimo scrupolo, a cambiare bandiera.
L’arte poetica di Huidobro, la sensibilità per il linguaggio, assume qui i contorni del gioco e della beffa. I nomi dei personaggi, per esempio, si costruiscono su calembour, onomatopee o altre figure retoriche per cui ciascuno è ridicolizzato in partenza. Sulla Luna assume quindi toni populisti nella derisione dei sistemi democratici, non solo latinoamericani; soddisfa un certo prurito infantile o allevia la sensazione di fastidio di fronte a una classe politica autoreferenziale e attenta esclusivamente ai propri interessi. Ovviamente, la si legge con l’intento di sorridere delle miserie del potere e di rintracciare alcune storture nell’organizzazione politica moderna. Conferma, tuttavia, l’idea formata a partire dalla poesia di Vicente Huidobro che un certo tipo di critica alla borghesia e alla modernità in generale sia l’anticamera per una soluzione politica più radicale e ideologicamente centrata. In Altazor, il suo capolavoro del 1931, possiamo ad esempio leggere una denuncia contro il sanguinoso progresso: “Sono io che sto parlando in questo anno 1919 / è l’inverno / L’Europa ha già sepolto tutti i suoi morti” – traduzione di Gabriele Morelli (Jaka Book, p. 187) –, il richiamo alle masse: “Milioni di operai hanno finalmente capito / E alzano al cielo le loro bandiere aurorali” (Idem) e allo stesso tempo la glorificazione della propria potenza, della potenza del poeta. Come altre opere contemporanee siano esse sulla dittatura come Il Signor Presidente Miguel Ángel Asturias, o sui movimenti popolari e le ideologie totalitarie come ne I sette pazzi di Roberto Arlt, Sulla Luna mette in scena le forti tensioni sociali, le derive autoritarie e le proposte rivoluzionarie tipiche del periodo. La lettura di Sulla Luna ci dice molto dell’instabilità degli anni a cavallo tra le due guerre, costantemente sull’orlo dell’abisso (per citare nuovamente Bolaño), e sulla complessità del ruolo culturale delle Avanguardie (oltre che sulle loro responsabilità storiche), in opposizione costante al modello democratico borghese e pericolosamente inclini all’autoritarismo. Attraverso la parodia grottesca tipica del guignol o del teatro dell’assurdo in cui si iscrive la pièce, Sulla Luna riporta una tendenza diffusa negli anni ‘20 e ‘30, estendibile in realtà all’intero ‘900, che si può riassumere nella volontà di azione a scapito dell’analisi della complessità, sia nella critica che nell’elaborazione di una proposta politica. In questo senso, quindi la potenza del gesto è superiore alla proposta, tranne per i collettivisti e le loro idee, sempre presenti sullo sfondo della scena e solo a volte rappresentati nell’atto del martirio a seguito della feroce repressione.
Infine, ripeto in conclusione il mio plauso alla capacità di Arcoiris di arricchire e diversificare la conoscenza degli scrittori ispanoamericani presso il pubblico italiano. Auguro ancora lunga vita alla collana “Gli Eccentrici”, non solo per l’interesse generale che le sue proposte sono in grado di suscitare, ma perché mi piace immaginare un gioco, per così dire, distopico: una volta arrivati al duecentesimo numero pubblicato dalla collana, potremo utilizzare i riferimenti della collana stessa per (ri)scrivere la manualistica letteraria sull’America Latina.

 

 

 

Vicente Huidobro
Sulla Luna
traduzione di Loris Tassi
Arcoiris, Salerno, 2021

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