“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Friday, 12 June 2020 00:00

InFLOencer: Elide, le pappardelle e i divi del cinema

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L’Autostrada del Sole negli ultimi anni l’avrò percorsa centinaia di volte. Con i miei musicisti l’abbiamo fatta tutta d’un fiato di notte tornando da Torino e incontrando l’alba all’altezza de “La Macchia” o a passo d’uomo, a causa di una nevicata imprevista, di ritorno dalle Marche. Conosco tutti i suoi segreti: gli Autogrill sempre affollati e quelli con le panche e i giardinetti, quelli con i bagni puliti e quelli dove è meglio non fermarsi. Conosco tutte le trattorie in prossimità degli svincoli e le loro specialità.

Vi confesso che in questi mesi di isolamento, senza palcoscenico, non pensavo tanto ai concerti, quanto alle assurde trasferte che li precedono. Chilometri di sonnellini, risate e soste goderecce. In questi mesi ho pensato molte volte alla signora Elide e alla sua trattoria nel Mugello. Da anni mi fermo a mangiare da lei ogni volta che posso, costruisco gli itinerari apposta per passarci e, spesso e volentieri, fisso balordi orari di partenza per trovarmi da quelle parti in tempo per l’ora di pranzo. La panzanella, la rosticciana, le pappardelle al cinghiale erano il premio per aver fatto un buon concerto e rendevano più dolce il ritorno a casa che è sempre un po’ amaro. Elide ha modi ruspanti e forme accoglienti, non ti porta il menù ed è parecchio spiritosa.
Orgogliosa, espone sulle pareti foto di artisti del passato e del presente che hanno mangiato lì. Ti racconta di quelli tirchi, che non hanno lasciato la mancia e a cui per dispetto non ha chiesto una foto o una cartolina autografata e di quelli che addirittura, come fossero di casa, entravano fino in cucina. Ho sempre creduto che qualcosa se lo inventasse, ma mi divertiva ascoltarla e chiederle ogni volta il racconto di quel famoso regista del cinema che voleva portarsela a Roma per farne un’attrice e di suo padre che fece la bischerata di prenderlo a parolacce e di non lasciarla andare.
A fine pasto impone sempre un digestivo. “Elide, dobbiamo guidare, non possiamo”. Lei brontolava qualcosa, seccata e versava il cicchetto. Quando qualche settimana fa mi hanno confermato la mia presenza a Jazz is Back all’Olimpico di Vicenza, prima mi sono sciolta in un pianto di gioia − perché in questi mesi qualche volta ho avuto paura di non tornare più a cantare – e poi ho pensato subito a che ora mi conveniva muovermi da Napoli per trovarmi da Elide in tempo per pranzo. Sono partita puntuale e gaudente, immaginando che stavolta non avremmo parlato di registi e vecchie glorie, ma di questo periodaccio, dei tavoli distanziati e degli incassi mancati e invece... 
Elide – che non si chiama Elide − non c’è più. Il figlio e la nuora insistono a raccontarmi che stava già male da tempo e che il Corona non c’entra. Mi chiedono di dirlo in giro. Vogliono che si sappia. Eppure io Elide me la ricordo fresca e tosta, rispondo che va bene, ma non ci credo. Credo piuttosto che, oltre allo strano tabù che si è sviluppato intorno alla questione contagi, questi due poveretti abbiano timore che i clienti smettano di andare a mangiare lì per paura di prendersi il virus.
Mi tranquillizzano dicendomi che anche senza di lei mi tratteranno bene, che non è cambiato nulla e che anche questo dobbiamo dirlo in giro.
A fine pasto offrono il solito digestivo della casa. “No, grazie. Dobbiamo guidare”. Chiudono la bottiglia e rimettono a posto i bicchierini senza insistere. Continuerò ad andarci, ma è evidente che qualcosa è già cambiato.
Ciao Elide, questo concerto sarà tutto per te.

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