“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Thursday, 23 April 2020 00:00

“The boys”: prima stagione, prime impressioni

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Stagliata contro il panorama delle storie di supereroi, mutanti e paladini della giustizia, la serie The Boys, tratta dall’omonimo fumetto, rappresenta un concetto diverso del sovrumano, o meglio della versione modificata dell’umano. L’idea attinge alla dimensione conosciuta e già storicizzata della serie a fumetti afferente al genere, e girovaga tra quei familiari elementi, fatti di versatili disgrazie e funzionali cliché, di un’ironia che tende la mano alla comicità e al demenziale e di un’evoluzione dei personaggi investita di obblighi morali e positività.

Ma l’attuale prodotto vincente del colosso Amazon, per l’appunto, vi passa soltanto nel mezzo, non si sostanzia di quelle componenti e racconta invece di altro, generando la propria esistenza all’interno di un fulcro narrativo che si concentra molto sul tema del potere sproporzionato delle multinazionali, e sul pericolo di un capitalismo arrivato ormai al suo più ingestibile culmine (si sta forse manifestando qui un involontario o consapevole tentativo di metacapitalismo?). Parliamo però soprattutto di una serie che non si limita a raccontare di qualcosa di diverso, ma che si comporta in un modo piuttosto peculiare.
In quest’universo parallelo i supereroi non si trovano soltanto nei fumetti e nei film sul genere, ma esistono davvero, e sono il business in carne e ossa dell’imponente azienda Vought American, che detiene i diritti delle loro apparizioni mediatiche, decide e coordina i loro spostamenti e gesta, dal salvataggio di vittime indifese alle performance destinate a mantenere o rimpinguare la schiera di seguaci sui social, durante i vari eventi e le campagne di marketing. Quello del supereroe è dunque un lavoro a tutti gli effetti, e in quanto tale regolarmente stipendiato; un mestiere che comporta numerosi oneri e inimmaginabili privilegi. Nel firmamento degli dèi targati Vought, I Sette, capitanati da Patriota, eroe americano per antonomasia, incarnano la squadra di punta del gruppo. Ma dietro l’apparenza scintillante e ineccepibile, questi magnifici sovrumani celano molti lati oscuri, ed è proprio da questa condizione che scaturisce la tragedia di Hugh Campbell (Jack Quaid), giovane commesso nerd di un negozio di tecnologia, il quale, per un devastante incidente provocato da un membro del team d’élite di supereroi, perderà ciò che più gli sta a cuore in quel momento. L’inconsolabile sofferenza e una cocente brama di vendetta costituiscono l’innesco della folle avventura che l’innocente “Hughie” intraprenderà insieme all’ambiguo e smargiasso Billy Butcher(Karl Urban), il quale convincerà quest’ultimo ad unirsi alla sua squadra segreta di stravaganti agenti, che hanno come scopo quello di arginare lo strapotere dei supereroi e di punire le loro azioni ingiuste ed incontrollate.
È una realtà spietata quella in cui si muovono i protagonisti, completamente asservita alle logiche di profitto, materializzata in una serie in cui si ironizza ferocemente, sino a calcarne il risvolto patetico, sugli stereotipi legati al mondo dei supereroi, rivelando la fallacia di un sistema di controllo aziendale su questi ultimi, come fossero semplicemente degli impiegati, per quanto fuori del comune, da parte della Vought, e rimarcando lo spaventoso e inevitabile rischio che deriva dall’usare e manipolare individui dagli straordinari poteri a scopo economico, e più sottilmente, ma decisamente, politico. Per via dell’ostentato dualismo tra una perfezione di facciata e la vulnerabilità occultata dietro questi super individui, rincorsi incessantemente da pressanti doveri di propaganda e dalla narcisistica imposizione della loro volontà, all’apparenza incontrastabile, anche l’indugio nei vizi, nello sfrenato egoismo e nelle quotidiane scorrettezze, è trasposto in uno spettacolo forzato che rasenta la farsa. Tutto si gioca sul presupposto, confezionato ad hoc dall’agenzia più vigorosa degli States, che ci si possa sempre fidare di, e affidarsi a quegli eroi senza macchia e senza paura, tornando così al fulcro dell’attività inarrestabile della Vought e dunque ad una delle fondamentali premesse di questa storia.
Secondo la più diffusa constatazione e l’opinione dei cultori dell’albo creato da Garth Ennis e Darick Robertson, la serie, che differisce dal fumetto per alcuni elementi della trama e dell’intreccio, parrebbe mantenere inalterato il senso più intimo di destabilizzazione psicologica, con l’atmosfera dissacrante e il piglio violento e scurrile che è alla base della creazione originaria. La brutalità a tratti splatter di alcune scene, fra cui i combattimenti o le immagini imperniate su di una sessualità perversa, pressoché allucinata, si pone in netto contrasto, e a volte si fonde a quel suo secondo e imprescindibile nervo goliardico-demenziale che caratterizza l’alternarsi di situazioni relativamente ordinarie ad accadimenti drammatici e sconvolgenti.
Inoltre, la costruzione della storia immaginata per lo schermo, la quale pare di certo inspessirsi rispetto al lavoro d’origine, risulta talvolta caratterizzata da una convenzionalità dei dialoghi, al netto di imprecazioni sfacciate ma ben allineate allo stile prescelto e di alcuni punti di maggiore accuratezza, e in genere da conversazioni non molto consistenti, intessute di osservazioni effimere ma d’effetto, con un risultato che ricerca l’attrattività agevole, di tendenza. Tale formula è senza dubbio studiata, in quanto funzionale all’alleggerimento di un’atmosfera che, privata di certi momenti ludici, rischierebbe di imboccare un sentiero decisamente più greve e virtuosamente oppressivo (d’altronde non sembrerebbe essere quello lo scopo della fiction, pur tenendo presente la volontà di scioccare con la crudezza dei modi in cui le complesse tematiche individuali e sociali vengono maneggiate, e, naturalmente, di stupire lo spettatore con rivolgimenti inaspettati). Seppur ben eseguita, però, una simile orchestrazione di scene e scelte d’azione dei personaggi, a tratti imprime tuttavia una piega caricaturale all’intera vicenda, la quale va a stridere con una forte verosimiglianza di fondo e partorisce una creatura ibridata tra il mondo strettamente fumettistico e un cinico ma assoluto realismo. All’interno di questo squilibrio non mancano istanti di suggestione e numerose trovate di scanzonato intrattenimento, legati in questa prima stagione soprattutto al forte accento caratteriale dei personaggi principali (si segnalano in proposito le improbabili metafore di Bill e compagni), ed alle assurde vicissitudini dello sprovveduto Abisso (Chace Crawford), personaggio secondario della squadra dei Sette di cui ancora non si percepisce l’esatto ruolo nel plot, sempre al centro di ridicole e amare situazioni ritrasfigurate in una veste squisitamente comica.
Ma torniamo propriamente ai boys: se un travagliato passato costituisce la base portante di quell’allure da duri relegati ai limiti della società civile, rendendoli pertanto eccezioni in grado di fronteggiare l’eccezionale, è di sicuro la sistematica caratterizzazione dei loro aspetti più naïf e quegli istanti di tenerezza che avvolgono la figura di un personaggio come il “grazioso” Frenchie (interpretato da Tomer Kapon), a fare in modo che lo spettatore sia portato a seguire con attenzione l’avvicendamento delle fasi del loro inusuale destino. In questa direzione anche l’amichevole ma determinata ragazza della porta accanto, la Annie/Starlight dei Sette, Erin Moriarty, ma soprattutto la vera star del business dorato, John/Patriota, invitano ad addentrarsi nella zona più introspettiva dell’intero super-dramma, laddove l’interprete dell’indistruttibile capitano, l’attore Antony Starr, si occupa con un’eccelsa credibilità di far emergere poco a poco la complessità sotterranea di un personaggio che inizialmente, come stabilito, sfugge a quel veloce giudizio analitico sull’episodio pilota, come una sorta di classico Ken tutto d’un pezzo intorno al quale lasciar sedimentare un insieme di quesiti preparati per accompagnare lo spettatore e stuzzicarlo lungo lo svolgimento delle puntate successive.
C’è da continuare a guardare i ragazzi, comuni mortali e supereroi, per vedere cosa realmente avranno da offrire ai fruitori della serie, e come questo buon inizio potrà evolversi in un contenuto maturo. Si dovrà vedere, insomma, se l’intrigante veste di questa narrazione potrà ridefinirsi al meglio, raggiungendo un valore artistico di vero e proprio interesse, e divenendo fino in fondo ammaliante, pienamente coinvolgente.





The Boys (prima stagione)
ideatore Eric Kripke
soggetto Garth Ennis, Darick Robertson (fumetto)
con Karl Urban, Jack Quaid, Antony Starr, Erin Moriarty, Dominique McElligott, Jessie Usher, Laz Alonso, Chase Crawford, Tomer Kapon, Karen Fukuhara, Nathan Mitchell, Elizabeth Shue
musiche Christopher Lennertz
produttore Hartley Gorenstein
casa di produzione Sony Pictures Television, Amazon Studios, Point Grey Pictures, Original Film
distribuzione Prime Video
paese USA
lingua originale inglese
colore a colori
anno 2019
durata 8 episodi da 60 min.

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