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Tuesday, 30 April 2013 02:00

Donna di frontiera

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La sveglia di Tania suona, ogni mattina da più di trent’anni, alle 5 e 45.
Una corsa al bagno per pisciare e poi giù, in cucina a preparare il caffè.
Solite tendine alla finestra, solita luce fioca dai lampioni del cortile, soliti motori dalla tangenziale, solito cruciverba al solito tavolo, solito brontolio dalla moka, solite tazzine, solite scale, solito autobus, solite facce, solito lavoro.

Per tutti sarebbe una vita insopportabile; a lei la forza arriva tutti i giorni attraverso il filo del telefono, è quel “ciao nonna come stai?” dalla cornetta. Quando riattacca piange sempre. Li vorrebbe vicini i suoi nipoti ed i suoi figli; e invece, il lavoro, li ha portati lontani. “L’importante è che stiano bene!”. Si dice; ma è una consolazione da poco.
Sarebbe dovuto essere diverso il suo presente, avrebbe dovuto raccogliere i frutti di una semina costante, sotto stagioni avverse. Avrebbe dovuto avere un risarcimento dalla vita. Quante umiliazioni, quanti sconforti, quante pene e quanti calci. E che coraggio dire basta e andare via. Che coraggio ripartire da zero, da sola, da donna, da mamma, contro i pregiudizi e le difficoltà economiche. Che coraggio tenerli con sé. Che coraggio abbassare la testa e accettare quelle che, per tutti, sarebbero state umiliazioni continue, sfoghi di un datore di lavoro, che la trattava come una schiava, per il solo fatto di essere nata con un colore di pelle diverso dal suo. Già, sarebbero state umiliazioni per tutti tranne che per lei. Per lei le umiliazioni erano quelle che per anni le aveva riservato, tutte le mattine, il padre dei suoi figli: “Gianni sono quasi le sei!”.  “Non mi rompere le palle, fammi dormire!”. “Se non ti alzi farai tardi al lavoro!”. “Ma chi se ne fotte...”. Quella bestia nel letto, suo marito Gianni, inventava ogni giorno nuovi “vaffanculo puttana” e pugni nella schiena per non farle sentire la noia della routine; ogni giorno la pretesa di una donna diversa in casa sua, nel suo stesso letto, sotto gli occhi disorientati dei suoi figli. Gianni picchiava più forte alla fine della giornata, al ritorno dal lavoro rilassava i suoi muscoli sulla schiena di Tania, placava la sua rabbia sul suo volto, fumava le sue sigarette su quel ventre di madre.
I ricordi arrivano leggeri come passi di danza ben eseguiti; riscaldano, come il sole nascente; lunghi, come il dolore; i ricordi non chiedono permesso e non hanno creanza; si insinuano tra i fondi del caffè e il giornale della domenica mattina; tra il cuscino del letto e la luce fioca dell’abat-jour; tra gli sguardi furtivi fra i banchi di scuola ed i baci negati davanti al portone. Sono frasi stese ad asciugare. Sono stille che solcano il viso. Sono seni che bastano ad un figlio. Sono vino e castagne in autunno. Si affollano tutti al calar della vita, quando più non ti basta il respiro.
A volte le capita di ripensare a quando prese il primo stipendio da infermiera. Il suo primo stipendio... quante cose avrebbe potuto fare con quei soldi! L’anticipo per una macchina le sembrò, all’epoca, la cosa più giusta. E così la comprò quella macchina, rossa con i sedili in pelle e lo stereo a cassette, piccola ma scattante. Non l’avrebbe venduta per nulla al mondo ma quando Gianni decise di comprarne una più grande non si oppose all’idea di darla in permuta, quella familiare sarebbe stata perfetta per le ferie; mai più problemi di spazio, e poi, serviva a lui per andare al lavoro, d’altra parte lei aveva smesso di lavorare, Gianni non voleva, si doveva occupare della casa e dei figli che sarebbero arrivati.
Come avrebbe potuto immaginare che un giorno si sarebbe ritrovata a pulire i cessi dei signori, per garantire un pasto caldo e un paio di scarpe nuove ai suoi figli. Come avrebbe potuto sapere che sarebbe finita un giorno a fare cruciverba per ingannare le sere d’inverno, da sola davanti ad un televisore che vomita immagini che non le appartengono, alla luce di una stufa che non riscalda; lontana dagli affetti per i quali ha scelto di annullarsi, da un amore, che nonostante tutto, continua ad amare.

 

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