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Saturday, 31 August 2019 00:00

Gesualdo, musicista per vocazione, omicida per fama

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“I madrigali di Gesualdo, principe di Venosa / Musicista assassino della sposa / Cosa importa? Scocca la sua nota / Dolce come Rosa”: così cantava Franco Battiato, evocando il musicista ‘maledetto’, rincorso più e più volte anche negli ultimi anni da svariati artisti, soprattutto audiovisivi, persino del calibro di Werner Herzog (Gesualdo: morte per cinque voci, del 1995), attratti dalla leggenda – insieme pulp e pruriginosa − dell’uomo che uccide la donna trovata in flagrante adulterio insieme con l’amante (per molti aspetti inventata), piuttosto che per il valore delle sue composizioni musicali, per cui gli è riconosciuto un valore importante nella storia della musica.

Se gli storici hanno fatto qualche chiarezza in più (Annibale Cogliano, Carlo Gesualdo omicida fra storia e mito, tra gli altri suoi lavori), smontando le leggende costruite nei secoli e permettendoci di conoscere un quadro ben diverso e incomprensibile senza il contesto storico, tuttavia il fascino voyeuristico verso il musicista-uxoricida permane.
In flagrante delicto è uno spettacolo che prova a mettere ordine tra biografia, storia, mito e l’epoca in cui ha vissuto il madrigalista Gesualdo. Lo fa attraverso un testo, di Francesco Niccolini, composto come una polifonia di voci che riprende una serie di testimonianze dirette, di ricostruzioni dei fatti avvenuti, dell’io del personaggio protagonista dello spettacolo, con un linguaggio che alle cronache storiche alterna veri e propri momenti allucinatori. Il mito dell’artista maledetto, del diavolo angelico (o dell’angelo diabolico) cade gradualmente di fronte al racconto degli eventi. Infatti, attraverso il mosaico dei testimoni, diretti e indiretti, principali e secondari della vita del principe di Venosa, ascoltiamo il racconto di una storia e di un personaggio avvolto – al di là, se non contro la sua volontà – nella complessità delle relazioni umane e sociali tra le trame di una società e di un’epoca violenta e contraddittoria. La scena infatti è dominata dal chiaroscuro delle luci e sembra che l’attore emerga dall’ombra che potrebbe risucchiarlo nel buio; gli elementi scenici sono ridotti all’osso, se non per un moderno collare medico, bianco sopra l’abito nero, che l’attore toglierà alla fine della rappresentazione.
Il quadro che ne scaturisce ci rappresenta un uomo in balìa di forze esterne, nel bene come nel male, un personaggio sostanzialmente privo di interiorità e di forza, a parte l’unico desiderio di rifugiarsi lontano da quella società per occuparsi di musica (e che quel collare non sia che la parodia simbolica di un’antica gorgiera che vuol ricordare, insieme con la nobiltà, i segni degli ‘incidenti’ della vita che Carlo ha subito...).
E tuttavia la musica è ben poco presente e rappresentata nello spettacolo. Al di là delle ragioni che spiegano le cronache tragiche del principe e della sua consorte, ciò che costituisce la bellezza della musica o il suo valore non entra nella rappresentazione. Alla fine dello spettacolo comparirà alle spalle del pubblico un musico che suona, ma la messa in scena è dominata dalla parola e dal racconto dei fatti, con poche eccezioni che non rimangono impresse. Per quanto le vicende vengano ad assumere una fisionomia diversa e più complessa rispetto all’immaginario del mito che ha accompagnato il principe di Venosa, in fondo non si continua che a parlare del delitto.
Per queste caratteristiche drammaturgiche, inoltre, non era facile il compito di Marcello Prayer, solo in scena a sviluppare questo monologo a più voci, con la sola parola, riuscendo a tenere desta l’attenzione degli spettatori per un’ora. Con una recitazione sobria e attenta ai dettagli delle poche possibilità corporee, data la staticità drammaturgica, l’attore ha creato variazioni calibrando efficacemente in maniera diversa i personaggi che di volta in volta parlano e gli eventi raccontati attraverso alterazioni della voce, ottenute anche grazie all’uso sapiente delle possibilità audio-digitali.
Alla fine rimane il mistero e resta quell’aura oscura che avvolge la figura del principe, musicista e omicida, che affascina il gusto moderno. A parte gli storici (che non fanno arte ma possono offrire preziosi materiali), resta da chiedersi che cosa, più di un fatto di sangue o al di là di esso, può ispirarci oggi un artista e delle opere del passato verso cui sentiamo affinità; perché è ancora così importante ciò che ci ha lasciato, ciò che ha ‘valore’, e in che modo oggi lo riviviamo.





Napoli Teatro Festival Italia
In flagrante delicto − Gesualdo da Venosa, Principe dei Musici
ideazione e regia Roberto Aldorasi
testi
Francesco Niccolini
con Marcello Prayer
luci Danilo Facco     
sound engineering Carmine Minichiello      
musiche Alessandro Grego
foto di scena Manuela Giusto
produzione Compagnia della Luna
paese Italia
lingua italiano
durata 1h
Napoli, Sala Assoli, 4 luglio 2019
in scena 4 e 5 luglio 2019

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