“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Monday, 08 July 2019 00:00

Il ritorno in saldo, cupo rosso di Lindo Ferretti

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“Lode a Mishima e a Majakovskij
Lode a Mishima e a Majakovskij
Lode a Mishima e a Majakovskij
Tu devi scomparire anche se non ne hai voglia
E puoi contare solo su te”

 

 

Inizia con Morire, canzone presente nel primo album dei CCCP Affinità-divergenze tra il compagno Togliatti e noi del conseguimento della maggiore età del 1986, il concerto estivo bolognese di Giovanni Lindo Ferretti. Un incipit duro, disarmante. “Produci, consuma, crepa” si dice ancora nel testo. Sono passati oltre trent’anni dall’esordio folgorante della band dell’Appennino tosco-emiliano, che aveva fatto proprio di Bologna la sua casa. La rabbia giovanile e la coraggiosa opposizione all’apparente, vuota, fagocitante calma piccolo-borghese incarnate alla perfezione dal gruppo che ha portato il punk in Italia hanno lasciato il posto al disincanto, al disimpegno, alla depressione fine a sé stessa, esplosiva, pericolosamente galoppante e senza meta, come la dispersione delle spore che per caso si diffondono nell’aria.

La morte che canta Ferretti è un atto che diventa man mano irrinunciabile, ed è un atto eroico che Yukio Mishima e Vladimir Majakovskij rappresentano ad perfectionem, suicidi entrambi per quel malessere esistenziale che è anche disagio politico, per un’impossibilità di stare all’interno di una cornice immodificabile di conformismo, per una problematica ipersensibilità che non trova riscontro fino in fondo nella società e/o nelle persone. L’amore, o il mancato amore, e la fede (tradita) per un’idea o per la nazione s’intrecciano, pur se in maniera diversissima, in questi due protagonisti assoluti del Novecento, in un destino eccezionale e di solitudine assoluta.
E il disagio prosegue, man mano che la scaletta va avanti, una scaletta pensata con grande cura, in cui sono presenti i pezzi più significativi dei CCCP, dei CSI, della sua carriera successiva da solista. È un susseguirsi di ballate folk e di deliri punk, con un Ferretti piuttosto taciturno ma sereno, a tratti perfino sorridente, accompagnato magistralmente da Ezio Bonicelli e Luca Rossi degli altri reggiani Üstmamò. Ferretti compirà a settembre sessantasei anni. La sua energia resta impressionante, come anche il suo apparire quasi algido ed essere, al contempo, calamitante. Fuma tabacco e beve birra, il suo magnetismo pervade l’aria, le persone − prevalentemente tra i trentacinque e i cinquant’anni − lo ascoltano con religiosa adorazione. Già, la religione, uno dei punti saldi del nuovo Ferretti, convertitosi al cristianesimo dopo la contestazione anarchica degli anni ’80 e ’90. Qualche anno fa il nostro si è anche avvicinato a Fratelli d’Italia, sconvolgendo lo zoccolo duro dei suoi fan, divisi prevalentemente tra comunisti e anarchici. La cosa pare − per fortuna, secondo chi scrive − essere stata una meteora. Ma a ben guardare i suoi testi, vi è sempre stata in lui una forte componente legata alla tradizione, al recupero e mantenimento delle radici, alla certezza data dai riti e ritmi della terra, contro la meccanizzazione cervellotica del mondo contemporaneo e volta a riacquisire una perduta identità. Rompere per ripristinare l’arcaico ordine naturale è uno dei leit motiv di Ferretti. L’”Ortodossia” (titolo oltretutto del primo singolo dei CCCP, uscito nel 1984) sa essere facilmente reazionaria, si sa, nonostante la ribellione dell’intelligenza che, nella fattispecie, sottostava alla produzione e alla filosofia del gruppo.
Comunque, andando oltre la questione, che conta molto meno di ciò che quest’uomo, in oltre trent’anni, ha impresso nell’animo, nella cultura e nell’estetica della periferica Italia, egli ha fatto del caos l’arma bianca (con venature di nera inquietudine) per destare le coscienze e superare il nichilismo separatista postmoderno. Emozioni, parole dirompenti e struggenti, comunione d’ideali, consapevolezza di una propria fulgida, pur se dolente, unicità, sono i messaggi simbolici del concerto di ieri sera. E così, risuonano potenti le parole di Curami:

“Curami curami curami
Prendimi in cura da te prendimi in cura da te
Curami curami curami
Che ti venga voglia di me che ti venga voglia di me
Curami curami curami

Verranno al contrattacco con elmi ed armi nuove
Verranno al contrattacco ma intanto adesso
Curami curami curami”

Ferretti prosegue il pezzo chiamando in causa la “Grande Madre Russia, l’ortodossia, la sola terapia”. Il popolo di sinistra vibra e si commuove: il rosso d’amore e di popolo riaffiora.
C’è spesso il richiamo alla guerra, nelle canzoni dei CCCP/CSI/Ferretti. La guerra è un male inestirpabile, è “endemica”, la pace è una parentesi tra due guerre. Il pessimismo storico è palpabile e, purtroppo, quello alienato dei CCCP è stato anche predittivo di questo oggi ancora peggiore...
Nell’universo punk ci si ribella perché manca l’aria, si idea, prova, viaggia, ci si perde, ci si unisce, ci si separa, manca sempre l’ultimo tassello, quello previsto dal razionalismo dell’uomo e dalla supposta, quieta saggezza che a un certo punto dovrebbe portare al compimento di un progetto, alla realizzazione del sé. Invece il dubbio si eternizza, come la guerra, la rasserenante fine non arriva mai e la frammentazione esistenziale permane. Eppure resta sempre vigile l’Io, e artefice del proprio destino, per quanto scomposto o a metà.
Ferretti lo sapeva e lo sa... Per me lo so:

“Conforme a chi conforme a cosa
Conforme a quale strana posa
Va peggio va meglio non so dire non lo so
La prima volta fa sempre male
La prima volta ti fa tremare
Sei tu sei tu sei tu chi può darti di più
Sei tu sei tu sei tu chi può darti di più
La terza volta ti fa pensare
La quarta volta stai a guardare
Sei tu sei tu sei tu chi può darti di più
Sei tu sei tu sei tu chi può darti di più
Un eterno presente che capire non sai
L'ultima volta non arriva mai
L'ultima volta non arriva mai”

Il pubblico è attento e va in estasi quando Ferretti canta And the Radio Plays, Amandoti, Annarella, Stati di agitazione e poi, alla fine, quando ipnotizza tutti con una sbalorditiva Emilia paranoica e poi manda al tappeto con le raffiche punk di Spara Jurij.
Ma è nei versi di Irata (dallo splendido, cupo Linea Gotica dei CSI del 1996) che vi è a mio avviso il nucleo del sentimento e della disposizione d’animo di Giovanni Lindo Ferretti, un’incitazione ad andare avanti e non ricalcare gli stessi sentieri del passato − che nulla hanno più da mostrare −, un intreccio tra origini, timore dinanzi alla morte, l’amore − puro − da affermare quindi con ancor più convinzione, amore che può costituire l’unica possibilità di trovare pacificazione e senso. Come da principio, comunque, nel Rosso.

“L'incombere umorale degli affetti del sangue
l'incombere umorale delle idee delle istanze
l'insolente promessa sciocca vacua solenne di bastare a sé
non tornerò mai dov'ero già
non tornerò mai a prima mai
l'incombere umorale delle idee delle istanze
l'incombere umorale degli affetti del sangue
potessi dirti quello che nemmeno posso scriverti

Esiterei nel farlo
oggi è domenica domani si muore
oggi mi vesto di seta e candore
oggi è domenica domani si muore
oggi mi vesto di rosso e d'amore”






BOtanique10
Giovanni Lindo Ferretti
A cuor contento tour
voce Giovanni Lindo Ferretti
chitarra elettrica, violino Enzo Bonicelli
basso, chitarra elettrica, batteria elettronica Luca A. Rossi
Bologna, BOtanique, 2 Luglio 2019

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