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Saturday, 06 July 2019 00:00

Omelia dell'andare

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Quest’anno tante prime nazionali per la danza estera nel cartellone del Napoli Teatro Festival Italia ma c’è spazio anche per la danza italiana. Due giovani coreografi e danzatori con base tra la Sardegna e Londra, Igor Urzelai e Moreno Solinas, molto apprezzati nel panorama della coreografia d’autore europea, hanno presentato al Teatro Nuovo un lavoro chiamato Andante, col titolo preso in prestito da una nomenclatura tecnica del linguaggio della musica e che si riferisce all’esecuzione di un tempo dalla durata lenta, fluida e continuata.

Il tempo infatti è uno dei punti cardine di un processo creativo che esplora l’andamento del camminare e le sue evoluzioni fino a che diventi uno spazio meditativo condiviso.
Scena bianca stile open space, via le quinte, luminosissima, tutti i fari a full, poi, quando inizia lo spettacolo, per un processo inverso alla regola, cala il buio e quattro presenze, otto per l’effetto della penombra, avanzano dal fondale e scendono subito in platea iniziando a far sgorgare, con un suono vocale flebile e poi sempre più forte e melodioso, una sorta di omelia, l’omelia di un’assenza, di un naufragio, un presagio di qualcosa che debba morire e rinascere.
Sono vestiti per metà: gambe nude, quelle che tengono il passo, e maglioncini azzurro chiaro con una striscia bianca che fa pendant con le righe sul fondale. La voce e le gambe, dunque, sono gli elementi protagonisti e iniziano ad accordarsi fluidamente quando i fari ritornano a produrre luce piena, la scena ritorna aperta e bianca e i performer creano geometrici disegni spaziali (discese verticali e circolari). Non ci sono movimenti accessori o movimenti coreografati, tutto è fluido e andante, siamo nel flusso della meditazione, la mente si perde, le presenze sono intensissime e il costante andamento del camminare pian piano inizia ad articolarsi in maniera sempre più variegata.
La circolarità e la ciclicità sono le regine di uno schema coreografico sofisticatissimo e difficile da mantenere (i danzatori sono di un rigore e di una scioltezza impeccabili), i cambi di direzione partono da uno dei performer e, pur apparentemente esulando dallo schema a ripetizione, non stupiscono il resto del gruppo, che sembra essere in uno stato di trance e intensissimo ascolto reciproco e le piccole variazioni temporali riempiono la scena come se arrivassero improvvise folate di vento da un altrove.
Insieme all’andamento dei passi e dei corpi anche il protagonista-voce si evolve in interessanti piacevoli melodie che sembrano dialoghi tra uccelli ancestrali, nei quali ognuno è un tipo di volatile diverso.
Dopo qualche minuto si nota dipingersi sul viso degli spettatori l’interrogativo se lo spettacolo al quale stanno assistendo sarà tutto così o se ci sarà invece qualche cambio di scena ma, nel programma di sala, gli artisti hanno già dichiarato che si tratta di un processo creativo che va al di fuori delle comuni aspettative e che si fonda sulla richiesta di condividere insieme ai presenti uno spazio senza tempo, così chiamandoli a una grandissima prova di attenzione.
In realtà, dopo poco, il clima in platea si acquieta e i volti e i corpi iniziano a rilassarsi e a perdersi in una dimensione che pian piano diventa nebbiosa, perché da un primo persistente scenario chiaro e marino si passa poi a un’ambientazione che si avvicina all’immaginario recondito della foresta.
Dopo giochi e incastri geometrici nello spazio, accordi, disaccordi, dopo che i suoni si sono sviluppati in un vero e proprio canto, una nuvola di fumo si alza − o meglio: due performer ne provocano l’esplosione − e lo scenario diventa nuovamente ombroso, il ritmo dei passi si trasforma in tempi frammentati, abbandonando quell’ipnotica fluidità che resta come un ricordo impresso nel fumo.
L’andamento ritmato si fa strada sempre di più e i corpi si muovono secondo schemi ciclici tipici delle danze rituali ed etniche. Si crea dunque un rito condiviso e, secondo la storia dei rituali, vi è sempre una parte dionisiaca in cui ci si inoltra verso l’abbandono a uno stato di perdita del sé.
A questo punto il calmo stato meditativo sembra turbato, l’andamento della camminata va a ritroso, come se andasse verso la scomparsa, l’assenza e la morte, e a passi sincopati i danzatori creano un cerchio molto stretto che, nelle danze popolari, se svolto in maniera antioraria, simboleggia un inno alla morte. Sembra che le ultime azioni vogliano sfidare quel tempo fluido e continuativo della prima parte e insistere e persistere in una dinamica più attiva, ossessiva e quasi rabbiosa: i passi diventano sempre più marcati, si staccano dal pavimento con salti che rompono lo schema corale. Si va verso una direzione di rarefazione, isolamento, dispersione: tutti sentimenti che completano il senso di offuscamento dato dalla nuvola di fumo che ha segnato un netto distacco tra la prima e la seconda parte, quasi sancendo un primo e un secondoatto  ma senza transizione e finali.
Però le scarpe − quelle che due performer hanno lasciato ai lati del palco durante la prima camminata in buio dal fondale alla platea − sono ancora lì come cimeli del senso e reperti dell’origine. Camminando con le scarpe, nella scena iniziale, i danzatori avevano creato con i calpestamenti i rumori di qualcosa che si rompe, come le uova che si schiudono per la nascita di una nuova vita, dando l’avvio a un viaggio che si fa con i piedi.
Nella seconda parte, invece, il calmo paesaggio marino iniziale si è trasformato in una tempesta di flutti che salgono, scendono e s’infrangono, tornano indietro fino a scomparire, avvolti nella nube dell’ignoto.
Nessun finale è annunciato, nessun sospiro di ritorno alla realtà: le immagini sembrano restare impresse nella nube tanto che gli spettatori serbano ancora energia per continuare a immaginare.
Il tempo oramai si è perso, dimenticato, la mente è rasserenata. Il rito si è compiuto.








Napoli Teatro Festival Italia
Andante
regia
e ideazione Igor Urzelai, Moreno Solinas
realizzazione Giorgia Nardin, Eleanor Sikorski, Moreno Solinas, Igor Urzelai
interpretazione Margherita Elliot, Fionn Cox-Davies, Moreno Solinas, Igor Urzelai
drammaturgia Simon Ellis
disegno luci Seth Rook Williams
suono Alberto Ruiz Soler
scenografia e costumi Kaspersophie
profumo Alessandro Gualtieri
training vocale Melanie Pappenheim
manager di produzione Hannah Blamire
produttore di compagnia Sarah Maguire
coproduzione Igor and Moreno, The Place, TIR Danza
durata 1h 15’
Napoli, Teatro Nuovo, 25 giugno 2019
in scena 25 giugno 2019 (unica data)

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