“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Sunday, 21 April 2013 20:14

Dove neanche la Merlin...

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Dove va oggi il mestiere dell’attore? Che direzione ha imboccato? Quale dignità possiede oggi quel lavoraccio un tempo esecrato come fosse propaggine del demoniaco, eppure riconosciuto come magistero artistico? Oggi, al pari di altre professionalità, è vilipeso dal contingente, dalle leggi di mercato per le quali un teatro, un buon teatro, può arrivare a chiudere ed un attore, un buon attore, può rimanere orfano di scritture.

Quali alternative restano, dunque, ad un teatro e ad un attore che non vogliano chiudere e morir di fame? Vendersi, offrirsi in fitto, in una parola prostituirsi; farlo magari accettando ruoli non consoni allo studio ed al talento, in nome della sopravvivenza. Iperbolica ed espressionistica visione della condizione teatrale viene offerta dal ritorno al Bellini di Dignità autonome di prostituzione, spettacolo – e non sappiamo dirvi quanto la definizione semplice di “spettacolo” ci suoni invero riduttiva – di Luciano Melchionna che affastella una pletora di teatro e di teatranti menando le danze per quasi quattro ore in un tourbillon avvolgente e seducente, come si conviene a chi voglia far del meretricio un’arte.
E così, il Bellini si trasforma in un bordello, enclave extraterritoriale di piaceri illeciti: poltrone divelte, anfratti e disimpegni in guisa di sordide alcove per celebrar rituale da suburra, in cui entreneuse e lenoni tentano di blandire, di concupire, d’accalappiare, d’adescare spettatori clienti d’un ricettacolo di perdizione chiamato arte.
L’opera indefessa di concupimento prende il via già dal foyer, in cui si consumano le prime “lepidezze postribolari” (e ringraziamo chi di dovere – Daniele Luttazzi – per locuzione non nostra, ma alla cui icastica efficacia non ci va proprio di rinunziare!), mentore una coppia d’anfitrioni lascivi e ammiccanti, mentre tre impostate figure sembrano come imbalsamate sugli scanni in imponenti abiti di scena.
Si dispone così il pubblico all’ingresso tra quella vil schiatta adusa a prostituirsi ad ogni replica, quella perduta gente che ogni sera fa mercimonio del proprio corpo, della propria voce e di quel frammento d’ineffabile che chiamasi talento, in cambio d’un obolo che chiamasi biglietto e che qui trasfigura in dollaro di cartastraccia quale mercede per la prestazione offerta.
Mandria brada e informe che s’affida a improbabili custodi di greggi, il pubblico si distribuisce al pascolo in una platea di poltrone divelte e ammonticchiate a lasciar spazio e libertà al 'puttanificio attoriale', che per prima cosa avverte il bisogno di dichiarar programmaticamente la nobiltà necessitante della mission a cui s’è votato: “È nella crisi che nascono l’inventiva e le grandi scoperte”, si tuona dal palco, suggerendo la visione d’un mondo in cui incompetenza fa sinistramente rima con impotenza ed in cui pertanto insorge la necessità di pagare per l’arte come si farebbe per il piacere sessuale proibito.
Una spettacolarizzazione di luci e voci vagamente psichedelica sancisce che ormai il bordello è aperto… E, come in ogni bordello che si rispetti, non può mancarvi la musica, gentilmente fornita dai Gentlemen’s Agreement. A questo punto, ormai varcata la soglia del non ritorno d’un quartiere a luci rosse, di buon grado ci immoliamo – e, va detto, senza che la cosa ci dispiaccia affatto! – al voyeurismo teatrale; ci abbandoniamo di buon grado alla lascivia, alla voluttà, alle mollezze, ai piaceri che in noi, puttanieri dell’arte, mendicanti di storie e di visioni, suscitano un innato interesse, una intrigante curiosità, consci di dover passare attraverso la caudina forca della contrattazione; ma qui sottentra l’animo meretrice del cronista, dello scribacchino mendicante, incline a prostituirsi più degli attori e delle prostitute stesse, pur di placare la propria libidine guardonesca. E così, amministriamo le nostre sostanze in maniera parca e oculata, ben decisi a consumare quanti più amplessi di visione ci sia possibile.
Il Bellini sventrato, attraversato in ogni anfratto, cela e scopre un postribolo in ogni angolo, adatta a piccola scena ora un camerino, ora una latrina, ora un vano di disimpegno, si dispone a farsi penetrare nei suoi interstizi, profanato nella sacralità rituale della liturgia istituzionalizzata per divenir alcova di arti prezzolate, scena d’un meretricio terribilmente seducente.
E così cominciamo il nostro “Puttan tour teatralizzato”; prima tappa: La Grazia di una splendida Betta Cianchini, che ci accoglie in una povera stanza in cui culla un bambino che non dorme mai. Mentre da fuori il crepitar di voci e di suoni ci informa che il quartiere a luci rosse che ha trovato asilo all’interno del Bellini ha preso a mulinare a pieno regime, ci immergiamo nella visione della carnalità esposta di questa madonna irredenta, sofferta e dolente, che racconta della maternità dal di dentro, germogliata come un battito d’ali, e che si trasfonde nel rancore d’un atto d’accusa verso un dio assente, minacciato di “strascino” in un’invocazione che è preghiera velata di nero.
Piacevolmente segnati dalla nostra deflorazione di giornata, passiamo oltre e troviamo alfin ricetto nel privée di Paola Sambo (La Russa), monologo d’un’attrice ferita dall’arte e dalla vita, ai cui orli consuma i propri scampoli d’esistenza, tra lo spegnersi dei riflettori e lo sfiorire delle membra che ci ricordano una Bette Davis crepuscolare; si mostra al fioco lume d’un camino, ultimo riverbero d’una stella che più non splende, che s’appresta all’uscita di scena, all’ultima luce d’un faro sempre più fievole. Come Glenn Close nell’ultimo fotogramma de Le relazioni pericolose si strucca davanti allo specchio ritrovandosi perita, così ella compiendo il medesimo gesto s’appresta all’ultimo passo che la condurrà fuor di ribalta. Anche per la prostituzione (teatrale) giunge il momento dell’addio…
Per noi è invece ancora tempo d’inseguir la nostra bramosia di visione ed è così che ci imbattiamo ne La signora delle pulizie, Lina Bernardi, che ci riceve in una toilette; la performance declinata in salsa spiccatamente romanesca viene però sporcata da chi ne fruisce. Eppure la Bernardi, con consumata maestria sa interpretare il momento ed improvvisa un excursus fuori programma che ripaga ampiamente dei “dollarini” elargiti. Riflessione a margine: anche per consumar rapporti da postribolo andrebbe raccomandato agli avventori di mantenersi al di sopra della soglia minima del bon ton.
Assistiamo poi a L’Onanista, riproposizione di un estratto del Lamento di Portnoy di Philip Roth, nell’interpretazione di Angelo Tantillo, in cui la masturbazione diventa tema insistito d’un monologo a ritmo di tip-tap, fino al suo truce epilogo.
Il nostro occhio potrebbe dirsi appagato, eppure ancora andiamo in giro animati da una compulsione difficilmente frenabile e, vagando di alcova in alcova, ci imbattiamo nell’anarchico interpretato da Marco Mario De Notaris, che dà vita ad una appassionata lectio antiscolastica pro anima, un monologo politico sulla scuola, tratto da Giovanni Papini; in una saletta le cui porte e pareti sono foderate di scritti, lui, maestro vestito da alunno, invita a diffidare dei casamenti di grandi dimensioni, prigioni del pensiero in cui gli uomini vengono rinchiusi: scuole, ospedali, chiese, conventi, manicomi, parlamenti. Ammonisce che “la civiltà non è venuta fuori dalle scuole […] ma dalla ricerca solitaria e pazzesca”; la scuola, ovvero la “pubblica ostruzione” al sapere ed al pensiero, la scuola che non cerca la conoscenza, ma si vanta di trasmetterla, non è altro che un falansterio di reclusione del pensiero, di privazione della libertà.
Cronista puttaniere, scribacchino mendicante, potrei dirmi soddisfatto, eppure vago ancora all’accatto per il teatro, la brama non ancor paga di stordimento teatrale, fregola di scrittura viagra naturale, ferormoni della conoscenza e della fruizione spettacolare ancora a mille, sguardo pornografico panoramicamente gettato all’intorno, ramingo elemosino ancora visione, ne ottengo compassionevole mercede – potenza della comunicazione e d’un taccuino in bella mostra – per diretta intercessione del “Papy”, ovvero il regista, ideatore, animatore, ovvero amministratore del bordello, Luciano Melchionna, ovvero colui che dirige questa macchina mastodontica che è giostra dalla quale scenderemo felici di esserci saliti, tristi che il nostro giro sia terminato.
Chiudiamo in bellezza: Irene Grasso, La ritrattista, introdotta dal brillante lenone Cerebro (Gabriele Guerra); è un monologo del potere, la sanzione verticistica della gestione del lavoro e attraverso il lavoro, del tempo. Riprende le logiche mercimoniche della prostituzione che sono proprie degli ambiti lavorativi ipercompetitivi, dominati da rampantismo e clientele, i meccanismi perversi delle prebende vitalizie, traducendosi in una veemente filippica che potrebbe benissimo essere manifesto e sottotitolo all’intero spettacolo.
Ormai satolli di un’orgia di visioni, ci indirizziamo al gran finale che capovolge le posizioni: pubblico in palco, le voci di Adele Tirante, Autilia Ranieri, Valentina De Giovanni, Momo, a cantare da un palco issato nel mezzo della sala e dai palchi del loggione; ed infine le clownerie di Gnegno (Adriano Falivene), a consegnare il gran finale alla pertinenza del varietà.
L’ora è tarda, il viaggio al bordello è stato lungo e impegnativo, le tasche son vuote, gli occhi pieni… gli echi del piacere cominciano a spegnersi lungo gli anfratti d’un teatro, come strade vuote d’intorno alla casa chiusa dell’arte, in cui s’è stabiito per convenzione che il piacere dovesse avere un prezzo.

 

 

Dignità autonome di prostituzione
spettacolo di Luciano Melchionna
da un format di Betta Cianchini e Luciano Melchionna
con Luciano Melchionna, Betta Cianchini, Daniele Russo, Gaia Benassi, Gabriele Guerra, Lina Bernardi, Valentina De Giovanni, Paola Sambo, Adelaide Di Bitonto, Adriano Falivene, Annarita Ferraro, Marco Mario De Notaris, Irene Grasso, Momo, Autilia Ranieri, Angelo Tantillo, Gina Perna, Adele Tirante
luci
Camilla Piccioni
costumi Michela Marino
fonico Luigi De Martino
assistenti alla regia Roberta Caldironi, Roberto Arabiano
direttore tecnico Salvatore Palladino
ufficio produzione Rino Di Martino, Alessandra Attena
produzione esecutiva Vanessa Gasbarri
lingua italiano
durata 3h 45'
Napoli, Teatro Bellini, 19 aprile 2013
in scena dal 19 aprile al 12 maggio 2013

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