“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Friday, 11 January 2019 00:00

Donna Elvira o la ricerca del teatro

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Ritorno a ‘casa’ per Toni Servillo con lo spettacolo Elvira 40, dopo due anni tra i palcoscenici non solo nazionali, in veste (doppiamente) di attore e regista. Una pièce, già scelta significativamente da Strehler per inaugurare nel 1986 il Teatro Studio di Milano, nata dalle lezioni tenute dal regista e attore francese Louis Jouvet presso il Conservatorio nazionale di arte drammatica di Parigi fino al 1940, stenografate da Charlotte Delbo (spedita dai nazisti nel campo di concentramento per la sua attività clandestina di resistenza durante l’occupazione nazista) e pubblicate poi tra il 1965 (Molière et la comédie classique) e il 1968 (Tragédie classique et théatre du XIX siècle). In particolare dall’opera su Molière nasce il testo per la messa in scena, composto da Brigitte Jacques e debuttato sulle scene nel 1986 a Strasburgo.

L’opera drammatizza le lezioni tenute da Jouvet con la sua allieva, l’attrice e doppiatrice Paula Dehelly (anche lei perseguitata dai nazisti in quanto ebrea), Claudia nello spettacolo, e altri due allievi/attori nel ruolo di Don Giovanni e Sganarello. Sette lezioni incentrate sulla costruzione di un monologo, quello in cui, nel IV atto del testo di Moliére, Donna Elvira (già amante passionale di Don Giovanni all’inizio del dramma) si precipita in piena notte da quello che rimane il suo amore – seppure profondamente mutato – per scongiurarlo di salvarsi, di cambiare finalmente vita per evitare la dannazione certa verso cui sta sprofondando.
Lo spettacolo apre uno squarcio nel ‘mestiere’ del teatro, portandoci anche con l’allestimento scelto dalla regia nel bel mezzo delle prove: entrati in sala il palcoscenico senza sipario si presenta spoglio, una pedana rialzata al centro, alcune sedie, una scrivania e dei copioni lasciati a terra, e anche le prime file di sedie, coperte da lenzuola, rientrano nello spazio scenico attraversato dagli attori, proprio a ridosso degli spettatori, quasi tra di essi.
Dunque, una messa in scena de la messa in scena, ovvero del faticoso percorso che conduce l’attrice, guidata dal regista, alla elaborazione del personaggio, alla continua e rinnovata esplorazione e scoperta dei significati che il testo contiene in profondità, fino alla sua espressione attraverso il corpo, i gesti, la voce dell’attore, capace come dev’essere di riprodurre forze in grado di scuotere lo spettatore. Uno scavo sempre insoddisfacente, sull’orlo continuo del fallimento, fatto di tentativi anche estenuanti e frustranti che implica – secondo il metodo di Jouvet – lo scavo altresì dell’attore, della sua stessa personalità ed esperienza, della sua sensibilità, in quanto: “Recitare è l’arte di smuovere la propria sensibilità per trovare nuove voci, nuove strade, nuovi punti di partenza”.
Una dimensione teatrale che si condensa nella ricerca di quello che spesse volte durante lo spettacolo viene definito “sentimento”, che si situa dunque tanto al di là della costruzione meramente tecnica del personaggio, quanto al di là della resa enfatica e falsa, volta piuttosto a mimare la forza anziché riprodurla dentro, anziché farne la molla necessaria che muove l’azione scenica. Un “sentimento” che deve essere vissuto dall’attore, la cui presenza e il cui respiro deve farsi tutt’uno con il testo, con le parole del suo personaggio, con le sue motivazioni e spinte, fino a giungere ad uno “smarrimento incosciente”.
Una ricerca verso l’incognito, verso una resa assoluta ancora non esistente, che in realtà costituisce più una tensione che un approdo definitivo: “Non l’ho mai visto” dice infatti a un tratto Jouvet a Claudia, anche a consolare un momento frustrante delle prove, in cui l’attrice dubita di poter riuscire a realizzare le indicazioni del maestro.
Ma alla fine non c’è alcuna catarsi; piuttosto c’è l’orrore della guerra, che arriva dall’esterno, da una radio che manda in onda voci militaresche in tedesco (l’occupazione nazista di Parigi) e da cui il lavoro svolto da Jouvet finché sarà possibile vuole preservare, come una difesa, uno spazio sacro immune da quella barbarie che invece alla fine travolge ogni sua possibilità.
La recitazione di Servillo/Jouvet è congeniale all’attore, che infatti nella prima mezz’ora riproduce i cliché di gesti e dizioni che da anni lo caratterizzano, facendoci venire in mente le sue interpretazioni cinematografiche, apparendo enfatico, istrionico, ben lontano da quella forza che pure il suo personaggio-regista va affermando e ricercando. Molto complesso e difficile il ruolo di Petra Valentini, attrice che interpreta un’attrice che interpreta un personaggio teatrale. Anche lei appare all’inizio sopra le righe, affettata sia nel ruolo di allieva-attrice, che nel ruolo di Elvira. Probabilmente una scelta registica che permette di rappresentare l’evoluzione del lavoro teatrale durante le prove. Infatti le due interpretazioni sembrano mutare con lo scorrere del dramma, si ‘asciugano’ e acquistano maggiore forza man mano che le prove proseguono e il lavoro si concentra sempre più febbrilmente sui nodi profondi del lavoro teatrale, guadagnando in intensità.
Una lezione di teatro attraverso il teatro stesso, la drammatizzazione scenica della ricerca di un teatro autentico, espressivo, che non vuole cedere semplicemente al ‘mestiere’, alla tecnica, e che appunto sembra non realizzarsi mai, in una tensione sempre incompiuta verso una autenticità sempre a rischio, in bilico.
Per questo stesso motivo ci sorprende il grande entusiasmo del pubblico, tale da applaudire ad ogni passaggio da una lezione all’altra – spesso inspiegabilmente, se non pensando che è tutto rivolto al divo in scena − persino anticipando il finale durante un semplice rallentamento dell’azione drammatica. Rimane dunque da chiedersi cosa resti di questa importante lezione, di questa tensione che deve caratterizzare ogni autentica ricerca teatrale e artistica in generale, quando invece gran parte degli spettatori, piuttosto che scossa, sembra appagarsi piacevolmente in ciò che già conosce.




leggi anche:
Alessandro Toppi, Dell'attore di Jouvet, dell'Elvira di Servillo (Il Pickwick, 27 gennaio 2017)




Elvira (Elvire Jouvet 40)
di Brigitte Jacques
da Molière e la commedia classica 
di Louis Jouvet
traduzione Giuseppe Montesano
regia Toni Servillo
con Toni Servillo, Petra Valentini, Francesco Marino, Davide Cirri
aiuto regia Cotanza Boccardi
costumi Ortensia De Francesco
luci Pasquale Mari
suono Daghi Rondanini
foto di scena Fabio Esposito
coproduzione Teatri Uniti, Piccolo Teatro di Milano − Teatro d’Europa
lingua italiano
durata 1h 20'
Napoli, Teatro Bellini, 8 gennaio 2019
in scena dall’8 al 20 gennaio 2019

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