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Sunday, 21 April 2013 01:58

OPS! Abbiamo sorriso del tragico...

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Al piano nobile di quel nobile palazzo chiamato de’ Liguoro, che insiste in Rione Sanità e nelle cui nobili stanze, impilati in scansie e scaffali, polverosi tomi variamente almanaccano di quarti di nobiltà, nobilmente s’impresta dimora al teatro; si svestono d’austerità pareti ed arredi e l’ampio salone che vien facile immaginare in altre epoche adibito a compìti trattenimenti nobiliari, s’atta a farsi scenario e platea, le stanze d’intorno a far da foyer e disimpegni di scena, l’affiatamento d’una compagnia – che pare proprio divertirsi a prodursi in azione – a riempir di nerbo drammaturgico l’insolita ribalta.

Ed è proprio questo – fra gli altri, ma non il solo – uno degli aspetti che maggiormente suscita plauso condiscendente: che chi allestisce, cura, recita, o a qualsiasi titolo partecipa ad OPS! One Parent Show lo fa interpretando la propria partecipazione come un divertissement. E chi vi assiste se ne accorge, lo percepisce e ne resta segnato in positivo portandosi dietro una traccia sul viso sotto forma di bonario sorriso.
Sorriso che nasce dalla nobiltà dell’intento perseguito: assumere qualche classico greco come punto di partenza e su innervarvi drammaturgia d’ordito originale che, riproponendo la mitopoiesi propria dei tragici greci – Euripide, Eschilo, Sofocle – ne germina con creazione sui generis in cui la tragedia si ammanta di grottesco, s’intride di comico e ciononostante non rinuncia mai del tutto al senso del tragico. La riuscita di OPS! One Parent Show risiede giustappunto in questa capacità di condurre una ricerca raffinata di equilibrio fra i propri riferimenti illustri e la sostanza piena – e pienamente aderente al reale e all’attuale – alla luce della quale li si ripropone.
Nobile l’intento, felice la resa; l’ampio salone dell’austera magione si presta a divenire palco trasfigurato, accogliendo nella finzione teatrale una riunione di autoanalisi per genitori single chiamati a raccontare all’uditorio le proprie esperienze di vita, così come s’usa fare nei gruppi d’aiuto psicoterapico. Il tutto avviene sotto l’egida d’una sorta d’imbonitore, a metà fra il simposiarca di una riunione di autocoscienza e lo schizzato ammaestratore di pulci di un gruppo di vendita multilevel, il quale ammicca al pubblico riunito in circolo paventandone partecipazione attiva e così ingenerando quel sottile gioco psicologico di timore che per solito s’impossessa di quegli spettatori che presentono la propria timidezza in procinto d’esser data in pasto ad una platea cui venir offerti come estemporanei complementi di scena; a corroborar tale viatico le note di Gente come noi sembrano voler suggerire l’afferenza inclusiva di ciascuno nel cerchio magico dell’autocoscienza (in fin dei conti, non siamo forse tutti “casi umani”?).
Il nostro imbonitore si presenta come Oreste Bencivenga, professione “schiattamuorto”, anchor-man d’occasione per quello che potrebbe assomigliare anche al format di un reality-show che strizzi l’occhio alla tivvù del dolore e alla spettacolarizzazione dei sentimenti che inondano schermi beoti. Sfilano dunque in rassegna i casi umani che ricalcano a grandi linee i temi fondamentali di Medea, Edipo re, dell'Orestea, ammiccando ai nomi (con Medea che diviene mediante storpiatura infantil-dialettale “Amedea”, Edipo diventa “Eddy” e Giocasta “Gina”) e che trasfigurano i personaggi, e con essi i temi fondamentali della tragedia greca, in una materialità contemporanea, in cui rispetto al remoto passato sono mutate condizioni e convenzioni sociali, nonché – com’è ovvio – i contesti culturali di riferimento, ma non le componenti endemiche della psiche di quel genere inscrivibile sotto la dicitura univoca e varia di Umanità.
Col pubblico dinamicamente coinvolto a prender parte alla riunione/rappresentazione, gli epigoni del tragico adoperano i sintagmi del comico per raccontare i propri dolenti vissuti, animando un contesto dalle parvenze manicomiali, in cui la teatralizzazione farsesca del dramma assume connotati ridanciani pur nell’efferatezza e nella crudezza degli accidenti narrati: si parla di parricidio, di omicidio, d’incesto con una leggerezza quasi pochadesca, eppure non si ha mai la sensazione di uno svilimento del classico, ma anzi la rielaborazione grottesca funziona e diverte, avvalendosi di trovate efficaci (valga per tutte l’Orestea raccontata per riferimenti numerici desunti dalla smorfia napoletana), conquistando progressivamente il favore del pubblico.
OPS! ha il merito di dimostrare che ci si possa accostare al classico spogliandosi di quel timore reverenziale che ce lo fa percepire come un monolite a cui volgersi con deferenza seriosa e che le tragedie umane sono trasversali a tutti i tempi; quel che muta è il modo di raccontarle e quel tratto di leggerezza a cui hanno improntato la messa in scena Ettore Nigro ed Alessandro Errico si può tranquillamente derubricare come esperimento riuscito.
Ovviamente non si rincorre la pretesa di un approfondimento minuzioso delle tematiche e dei più reconditi risvolti, che restano allo stato d’abbozzo liminare, ma si conduce operazione ironica ed intelligente che fa da promemoria per ricordare che nel classico sono tuttora rintracciabili le chiavi di lettura del moderno. Fornite per ammicco, hanno dato modo di sorridere del tragico.

 

 

OPS! One Parent Show
di
Alessandro Errico
regia Ettore Nigro, Alessandro Errico
con Maria Luisa Coletta, Silvio De Luca, Angela Garofalo, Raimonda Maraviglia, Monica Palomby, Margherita Romeo, Daniele Sannino, Giorgio Sorrentino
produzione Teen Thèâtre
in collaborazione con corso di drammaturgia di Asylum Anteatro ai Vergini
a cura di Massimo Maraviglia
scena Fabiana Fazio
costumi Monica Palomby
grafica Luciano Correale
lingua italiano
durata 1h
Napoli, Palazzo de’ Liguoro, 18 aprile 2013
in scena dal 18 al 21 aprile 2013

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