“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Monday, 08 October 2018 00:00

La storia dello sguardo secondo Mark Cousins

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Grazie all'editore Il Saggiatore è stato pubblicato in lingua italiana, con la traduzione di Alessandro D’Onofrio, il volume Storia dello sguardo (2018) del nord-irlandese Mark Cousins, autore di The Story of Film: An Odyssey (2011): un monumentale documentario sulla storia del cinema in quindici episodi dalla durata di un’ora cadauno trasmesso originariamente dall'emittente televisiva digitale britannica More4, costola di Channel4, presentato al Toronto International Film Festival nel 2011 e passato in Italia su Sky.

Di Cousins è stato pubblicato in lingua italiana anche il suo La storia del cinema (Utet, 2017), libro che ha spinto il regista Bernardo Bertolucci a dichiarare: “Un’altra storia del cinema – qualcosa di cui non credevo di aver bisogno finché non ho letto questa. Mark Cousins scava in profondità e il suo libro diventa un inseguimento infinito avvolto dai misteri dei film... e dei loro creatori”. Al Festival di Cannes del 2018 risale invece la presentazione dell’ultima prova audiovisiva di Cousins, il controverso The Eyes of Orson Welles (2018), realizzazione che non ha convinto diversi studiosi del grande regista americano: al nord-irlandese viene imputato di non aver tenuto sufficientemente conto dei recenti studi sull’opera di Welles, come ad esempio quelli scaturiti dal ritrovamento nel 2013 della pellicola che si credeva persa per sempre Too Much Johnson (1938) – sulla scoperta di tale opera si veda il saggio di Massimiliano Studer, Alle origini di Quarto potere. Too much Johnson: il film perduto di Orson Welles (Mimesis, 2018), di cui ci siamo occupati su Il Pickwick.
In tutti i modi Mark Cousins è persona abituata non solo a indagare le immagini cinematografiche ma anche a ragionare sul contesto in cui sono state prodotte e si sono date a vedere ed è proprio all’atto della visione che è dedicato il suo Storia dello sguardo pubblicato in lingua italiana nel corso del 2018 (ed. originale The Story of Looking, 2017). “Che aspetto aveva il mondo visto da uno dei primi Homo sapiens? Com'era il cielo che Galileo scrutava col suo telescopio? Che cosa videro gli astronauti dell’Apollo 8 quando entrarono nel campo gravitazionale della Luna? Perché siamo stregati dal sorriso enigmatico di Monna Lisa?”. Dalla notte dei tempi all'era digitale le modalità con cui costruiamo le immagini e recepiamo l’oggetto della visione è decisamente mutato ed “esplorare l’evoluzione del processo visivo equivale a ripercorrere la storia dell’uomo”.
Cousins passa in rassegna alcuni tra i momenti più significativi della storia visiva riflettendo su come e perché il modo di guardare è mutato nel corso dei secoli. “Album di fotografie e galleria d’arte, road movie e grammatica del linguaggio visuale: Storia dello sguardo è un emozionante viaggio per parole e immagini che attraversa l’arte e la letteratura, il cinema e la fotografia, la tecnologia e la scienza. Un percorso alla fine del quale non potremo più guardare il mondo con gli stessi occhi”. L’atto del guardare è indagato dall'autore sia ragionando su alcuni momenti visivi dalla sua storia personale, sia attraverso le tappe che nel corso dei secoli hanno condotto all'attuale modalità di guardare. Troviamo, ad esempio, Isaac Newton elaborare il suo pensiero a partire dall'osservazione dei fenomeni naturali, esempi del potere dello sguardo e delle immagini nel XVI e XVII secolo, riflessioni sul ruolo della visione nel mondo di Versailles e nell’epoca illuminista, ragionamenti sul diffondersi della fotografia e del cinema fino ad arrivare ai nostri giorni.
La parte del libro che affronta la storia dello sguardo nel Novecento si apre con un’immagine tratta dalla celebre sequenza di Un chien andalou [Un cane andaluso] (1929) di Luis Buñuel in cui una mano armata di rasoio si appresta a lacerare un occhio di una donna. La scena del film, in cui si ricorre a un montaggio che alterna le riprese dell'occhio femminile con quelle della lacerazione del bulbo oculare di un vitello morto, viene scelta dallo studioso come “metafora del violento accrescersi del volume delle immagini osservabili in quegli anni”. A quell'inizio secolo si deve la messa in commercio di apparecchi fotografici leggeri e relativamente economici che portano a un incremento impressionante delle immagini disponibili: se già negli anni attorno al 1930 si realizzano circa un miliardo di foto l’anno, sul finire del secolo, diventeranno, con le tecnologie digitali, centinaia di miliardi e al proliferare esponenziale del numero di fotografie scattate si aggiunge la pratica della condivisione istantanea e potenzialmente globale.
“Inizialmente, nei primi anni del XX secolo, lo tsunami delle immagini era più simile a un’invasione dell’occhio piuttosto che a una fuoriuscita da esso, ma le cose cambiarono presto: le persone comuni, quelle che gran parte della storia dell’umanità erano state esclusivamente consumatrici visive, iniziarono a produrre immagini”. L’inizio del Novecento presenta anche altri cambiamenti importanti nella storia dello sguardo; nella narrazione proposta da Cousins l’atto del vedere si incontra con i ragionamenti di Albert Einstein su spazio e tempo, con le particolari fotografie di Arthur Eddinghton, con gli studi sui colori e la luce di Niels Bohr, con le ricerche sulla visione microscopica e atomica, fino a giungere all'accresciuta importanza della visione negli ambiti politici e sociali nel XX secolo.
Oggigiorno il guardare sembra aver invaso ogni cosa, si pensi ad esempio a come si sono sviluppate ed estese le pratiche di sorveglianza visiva che pur vantano una lunga storia; lo studioso ricorda come per millenni i palazzi del potere si siano dotati di nicchie di osservazione, l’istituzione di agenzie di apparati di controllo della popolazione nella Francia della Rivoluzione, il ricorso a metodici controlli della corrispondenze nel Regno Unito negli anni Quaranta dell’Ottocento, la schedatura fotografica delle suffragette inglesi negli anni Dieci del Novecento o, ancora, le censure delle lettere dal fronte nel corso dei due grandi conflitti mondiali, la diffusione delle riprese a circuito chiuso negli anni Sessanta e Settanta e via dicendo. Se la visione votata al controllo ha una lunga storia, occorre però prendere atto di come negli ultimi decenni essa abbia raggiunto livelli prima impensabili: “Nel XXI secolo le nuove tecnologie hanno permesso un’osservazione dalla portata senza precedenti. Esistono circa trenta milioni di videocamere di sorveglianza negli Stati Uniti, quasi una ogni dieci abitanti”, a ciò si aggiungano i sistemi di localizzazione satellitare e le mappature fotografiche disponibili in internet.
Nella parte finale della sua storia della visione, l’autore, oltre a denunciare i pericoli insiti nell'ipertrofia visiva contemporanea, non manca di mettere in evidenza anche gli aspetti positivi. “Forse guardiamo troppe cose, questo tipo di sguardo sta sostituendo altri generi di esperienze vitali, più naturali o capaci di arricchirci? Le nuove scoperte riguardanti la neuroplasticità sembrerebbero indicare che chi ha usato gli smartphone a partire dalla preadolescenza e che, grazie alla fibra ottica e ai satelliti, ha una sensazione più limitata dell’altrove, stia subendo dei mutamenti celebrali. Se ciò fosse vere si tratterebbe di una notizia preoccupante, forse, ma probabilmente è troppo presto per fare valutazioni del genere e gli interessati dovrebbero cercare di non abbandonarsi a millenarie fobie legate allo sguardo. Sì, c’è un’inondazione in corso; sì, vediamo nei modi più svariati, come mai prima d’ora, ma si tratta di un cambiamento anche tipologico? Il vedere così tante cose minaccia le nostre coscienze o le innalza a un nuovo livello?”.
Più che un saggio vero e proprio, di cui non ha il rigore, quello di Cousins appare come un racconto impressionistico affascinante sulla visione che, nonostante la mole, si legge tutto d’un fiato e che non manca di fornire acute suggestioni che spronano all'approfondimento.

 





Mark Cousins
Storia dello sguardo
Il Saggiatore, Milano, 2018
pp. 545

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