“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Thursday, 04 October 2018 00:00

Una Malacrescita senza via di uscita

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Al Parco archeologico di Cuma, a inaugurare la quarta edizione dell'Efestoval, Festival dei vulcani, è andato in scena Mimmo Borrelli – anche direttore artistico della rassegna – con il monologo Malacrescita, tratto dalla tragedia: La madre: ’i figlie so’ piezze ’i sfaccimme, testo già noto e premiato nel 2013 con il Premio Testori.

Nella stupenda cornice della Città bassa del Parco è montato il palco: una semplice pedana ricoperta di bottiglie allineate in diverse file, alcune con dei fiori che sporgono; uno sgabello, alcuni giocattoli e altri oggetti sono sparsi a terra, a suggerire un luogo a metà tra un basso, uno scantinato e una discarica. In un angolo del palco ci sono degli strumenti e oggetti musicali per il suono e i rumori, eseguiti in scena da Antonio Della Ragione. Una luce rossa illumina gli scavi che si vedono poco distanti sullo sfondo del piccolo palco. E rosso sembra essere il colore dello spettacolo.
Nel monologo sono i figli a raccontare la storia della madre, la storia di Maria Sibilla Ascione e delle sue violenze, quelle subite dai maschi e dalla società, violenze fisiche ma anche psicologiche; ma soprattutto ci sono quelle commesse a sua volta contro il frutto non voluto delle precedenti, contro quegli stessi figli che, anziché lasciati morire, sono stati nutriti a vino, allevati con incuria e astio, con la stessa violenza che li ha generati e che, solo, non è riuscita a ucciderli prima della nascita.
Il linguaggio barocco è come sempre un fiume in piena in cui le parole si richiamano e rincorrono musicalmente, si attorcigliano e si scontrano provocando continue ristrutturazioni di senso: il testo passa d'un tratto dalle invocazioni alle imprecazioni, ora tremendamente osceno ora dolcissimo, sapientemente scurrile o profondamente straziante, tutto insieme, in una sovrabbondanza che non si riesce a trattenere dal vivo ma lascia immagini e, più ancora, tonalità e stati d'animo cupi molto intensi.
Mimmo Borrelli in scena procede con furia come nei suoi testi, alternando registri che si muovono tra polarità opposte, in maniera schizofrenica. Per un verso, ci sono rantoli bassi e intensi che sembrano smuovere le viscere e ribollire dalle profondità di una vita elementare, al confine con il biologico, come se fossero sputi di una brutta tosse che espellono pezzi di materia organica ancora calda, anzi infuocata. Infuocata come la terra dei rifiuti tossici da cui risalgono esalazioni pestifere e mortali, la terra anch'essa violata in cui è ambienta la storia di Maria Sibilla Ascione. Le stesse immagini che si susseguono attraverso il testo ci riportano le viscere, viscere di parto o di mestruo, la grotta dove avviene la scoperta del sesso, lo stupore e l'imbarazzo, il desiderio e la violenza, tra la spazzatura, tutto mischiato insieme in un caleidoscopio che rimescola un magma opprimente, oscuro e inestricabile, che schiaccia letteralmente lo spettatore, come ha schiacciato questa Medea napoletana e i suoi due gemelli.
Oppure si arriva alla tonalità opposta di toni acuti come squittii, vertiginosi come una follia sfrenata e deformante, che si incanala in immagini ossessive di infanzia, ricordi tremendi e dolorosi, nella ripetizione di frasi mostruose che continuano psicotiche a risuonare nella memoria, continuando a seminare deserto, solitudine, abbandono.
I figli stessi, a differenza che nel dramma, diventati i narratori, ripetono come in un tentativo di esorcismo le parole di assenza, di violenza della madre e del suo mondo, di cui sono uno scarto non voluto e, insieme, l'agnello sacrificale. Quei figli impazziti, trafitti dal veleno, fisico e morale, ci restituiscono tutta la forza di un dolore irrimediabile e senza via di uscita, che sembra destinato a trasmettersi e riprodursi. La loro testimonianza diretta costituisce una testimonianza particolare tuttavia, in cui essi stessi spariscono, diventando puri corpi, puri suoni, pure urla di dolore scemunito, reso folle come uno spasma, mero vibrare di nervi, escrescenza di vita spuntata da una madreterra malata. Un monito per tutti.

 





leggi anche:
Michele Di Donato, Malacrescita - Le viscere e la scena (Il Pickwick, 9 marzo 2013)




Efestoval
Malacrescita
da La madre: 'i figlie so' piezze 'i sfaccimme
di
Mimmo Borrelli
regia Mimmo Borrelli
con Mimmo Borrelli
musiche in scena Antonio Della Ragione
oggetti in scena, elementi e spazio scenico Luigi Ferrigno
disegno luci Gennaro Di Colandrea
lingua dialetto flegreo
durata 50’
Pozzuoli (NA), Parco Archeologico di Cuma − Città bassa, 5 Settembre 2018
in scena 5 Settembre 2018 (data unica)

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