“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Monday, 10 September 2018 00:00

Napoli incontra Macondo: contrasti e incantesimo

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“Tuttavia, prima di arrivare al verso finale, aveva già compreso che non sarebbe mai più uscito da quella stanza [...] e che tutto quello che vi era scritto era irripetibile da sempre e per sempre, perché le stirpi condannate a cent'anni di solitudine non avevano una seconda opportunità sulla terra”.

 


1967. Gabriel García Márquez pubblica Cent’anni di solitudine, giunto nella sua edizione italiana l’anno successivo. Opera imponente e poetica, che racconta sette generazioni della famiglia Buendía, radicata nell’entroterra sudamericano, nel suo colore e nella sua tradizione e sospesa tra la realtà e il mito.

I cent’anni di solitudine della famiglia Buendía, consumati tra avvenimenti inspiegabili alla logica ma che nell’universo marqueziano diventano assolutamente possibili, grandi scoperte, intrecci vorticosi e poi ritorni. Sempre lì dove si è stati chiamati dal destino, loro che del destino sono pregni. E pregni di quella magia che fa di quest’opera il monumento del realismo magico. Una storia familiare e secolare ambientata nel mondo magico e reale di Macondo.
Macondo. Come descrivere questa cittadina fantasma, eppure inebriante di vita, fondata da José Arcadio Buendía, capostipite della prima generazione. Il metamondo circolare rovente di sole e di calura estiva, eppure dove per contrasto domina il ghiaccio.
Un mondo nel mondo fatto di contrasti.
Terra di nessuno, isolata nell’entroterra colombiano, eppure rifugio ove tutti fanno ritorno, anche solo per morirvi in pace. Gli sprazzi del mondo fuori, le grandi scoperte, la modernità lo sfiorano a distanza, lo toccano piano senza entrare veramente nei suoi labirinti, nelle sue storie.
Macondo. Regno della famiglia Buendía. Altro micromondo nel mondo, dove i nipoti hanno lo stesso nome dei nonni e spesso le stesse caratteristiche legate ad uno strano modo di avere a che fare con la vita e con la sua astralità.
Eppure nonostante la sua monumentalità e la teatralità insita nello stile di Márquez, sontuoso e prolettico, le vicende dei Buendía hanno conosciuto poche trasposizioni cinematografiche e teatrali. Troppa la complessità introspettiva dei suoi personaggi. Troppi gli intrecci tra il detto e il non detto, il vero e il falso, troppe cose da dire e far comprendere.
Il 5 Settembre le vicende dei Buendía sono arrivate a Napoli, in una manifestazione organizzata dal Teatro Il Pozzo e il Pendolo e dal Comune di Napoli, nella cornice storica e poetica del Maschio Angioino, in una scenografia scarna e minimale. Solo un attore al centro della scena, Paolo Cresta e due musicisti sullo sfondo, i Ringe Ringe Raja. Uniche voci di una storia così polivalente.
Napoli diventa Macondo. Cosa può scaturire da quest’incontro inedito ma dopotutto non così sorprendente? Anche Napoli è terra calda e piena di colore, abitata da personaggi insoliti, famiglie monumentali, zingari e gente che gioca col destino a chi ne sa di più sulla vita.
Anche Napoli è metamondo. Terra inclusiva ed esclusa. Troppe le sue voci e le sue storie.
E cosa succede se quell’incontro avviene al Maschio Angioino, che era antica fortezza, che al suo interno è fatto di cortili e labirinti che ti stringono e che forse poco si addicono alla libertà totalizzante di Macondo?
Contrasti.
Eppure basta poco. Forse non è molto rischioso mostrare su un palco così spoglio di scenografie, un attore vestito di nero che recita (non legge) brani scelti dal libro, e interpretando ingloba in sé tutto quel colore, quella vita e quelle storie accompagnato da due musicisti che traducono quelle parole in melodia.
La scrittura di Márquez è talmente evocativa e potente che basta lei sola per innescare l’incantesimo. Le sue parole, tessute insieme, sono pura musicalità. Le immagini da lui costruite di questo mondo di caldo, di odori inebrianti, di contrasti si generano in maniera naturalissima nelle menti di chi le ascolta, solo riportando, pure, le sue parole così incisive, i suoi disegni.
Non servono artifici o strumenti retorici. Macondo rivive tra queste alte finestre, queste scalinate, questi cortili. Macondo è città aperta.
Così rivivono le vicende di Aureliano Buendía e della scoperta del ghiaccio, di José Arcadio che parte con gli zingari, di Melquíades che torna dalla morte, di Amaranta e le sue premonizioni. Di Pilar Ternera e le sue passioni.
Forse può sembrare poco rischioso. Forse può sembrare puro omaggio. Ma nelle mani di quell’unico attore protagonista, che in sé racchiude tutti i personaggi di questo microcosmo stratificato di storie, c’è un’enorme responsabilità. Avvicinarsi alle parole di Márquez, così pure, messe lì a scorrere come un fiume incessante, disegnare sul proprio volto tutti quei personaggi e le loro rughe, i loro racconti, richiede esperienza e cura.
Paolo Cresta è stato sapiente direttore d’orchestra di questa composizione a mosaico.
Trattare anche solo un pezzetto di essa con superficialità o approssimazione avrebbe portato al disastro.
Cresta ha accarezzato le parole di Márquez e le sue creazioni con pazienza, cucendosele addosso, sentendole sue, e non facendo perdere mai la loro autenticità. Il loro essere vive.
Nel contesto del teatro odierno, molto più libero dalla censura, che mira spesso a sorprendere in maniera estrema, ad essere irriverente e eccessivo, a dire tutto e il contrario di tutto, due sono le direzioni più marcate: lo sperimentalismo, che spesso tende all’esagerazione, al puntare tutto su metafore e analogie ridondanti. E il purismo, più semplice e silenzioso. Meno appariscente.
Talvolta riportare in maniera diretta senza artifici una storia di per sé così complessa, può essere estremamente difficile.
Ma a volte basta la semplicità per innescare l’incantesimo.
“Cosa ti aspettavi?” sospirò Ursula. “Il tempo passa”. “Così è”, ammise Aureliano, “ma non tanto”.






Brividi d'Estate al Castello
Cent'anni di solitudine
di
Gabriel García Márquez
adattamento e regia Annamaria Russo, Ciro Sabatino
con Paolo Cresta
musiche dal vivo Ringe Ringe Raja
lingua
italiano
Napoli, Spalti del Maschio Angioino, 5 settembre 2018
in scena 5 settembre 2018 (data unica)

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