“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Wednesday, 05 September 2018 00:00

Scene da un matrimonio con visuale ristretta

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Il 3 luglio, alla prima di Scene da un matrimonio con la regia di Andrej Konchalovskij il teatro Mercadante accoglie gli spettatori con il palco già allestito, visibile al pubblico. Il sipario non cela le sue sorprese così da dare il tempo, a chi è curioso e osservatore, di rubare una fotografia e guardare con attenzione la scena.

In un unico ambiente che funge da soggiorno e da cucina, con un balcone e altre due stanze di cui si intravedono le porte e, dietro una di esse, la gamba di un comò è dove si svolge gran parte della rappresentazione e della vita dei due coniugi, dall'inizio della crisi passando per il divorzio e il successivo riavvicinamento. Un divano e una poltrona giallo paglierino, una vecchia radio, un tavolino con i liquori, un mobile e delle fotografie alla destra, una cucina di un beige chiaro con tutto ciò che serve e acqua corrente, un frigorifero funzionante e un tavolo.
Sul palco nessun altro oltre la coppia, assoluta protagonista con i suoi drammi quotidiani. Ogni cambiamento, di elementi o di scena, avviene davanti al pubblico.
Scene da un matrimonio è un omaggio a Ingmar Bergman e al suo celebre film del 1973 con Liv Ullmann e Erland Josephson, successivo alla serie televisiva: lo spettacolo riprende a piene mani la trama dell'originale scandendolo in episodi, i cui titoli vengono annunciati dagli stessi attori.
Mancano, però, alcuni passaggi fondamentali rispetto al film, per ovvi motivi di tempi o semplici scelte, che tolgono drammaticità ad alcune situazioni ma soprattutto nascondono quello che è il vero rapporto tra i due, che si regge su basi errate, cose non dette e felicità di facciata.
In particolare, nel film la prima parte è di fondamentale importanza: i due coniugi vengono intervistati perché validi rappresentanti della coppia perfetta e felice. Ma è proprio qui che arriva chiaro il primo elemento che preannuncia lo sviluppo della relazione: Marianne, alla domanda della giornalista di parlare di sé, non riesce a pronunciarsi circa le proprie qualità personali descrivendosi come moglie di Johan e madre di due figlie, salvo aggiungere di essere un avvocato divorzista, scelta quanto mai peculiare. Una vita dedicata al marito, che non ha alcun freno nel parlare bene di sé in ogni aspetto. Non meno rilevante è il racconto del loro incontro: la scelta di stare insieme per compensare la solitudine e la tristezza di due precedenti matrimoni naufragati: e da lì una casa, i figli e una serenità di facciata, che si mantiene su un precario equilibrio in cui lei, Marianne, annulla la sua identità e lascia che l'ego del marito prenda il sopravvento.
Un altro punto importante che nella trasposizione teatrale viene tralasciato riguarda sia il dialogo di Marianne con una donna che decide di divorziare ora che i figli sono cresciuti, lasciandosi finalmente alle spalle un matrimonio senza amore, sia la scena finale in cui i due, ormai risposatisi, si ritrovano su un letto davanti al fuoco, insieme, ancora innamorati e amanti, a confessarsi quanto i loro nuovi coniugi non rispecchino quanto desiderato: nel film del '73 decidono inizialmente di andare nella casa in montagna che usavano da sposati, ma i ricordi sono così forti da sembrare palpabili, e il dolore di quanto è stato rende il soggiorno troppo difficile, così che andranno a passare quei giorni insieme a casa di un amico, in un ambiente neutro che possa essere riempito di nuove avventure.
Tolte le differenze piccole ma significative tra il prodotto cinematografico e quello teatrale, lo spettacolo si rivela certamente seguibile, forse più leggero di quanto dovrebbe, la stessa scena di violenza non ha la stessa carica, e gli attori non riescono sempre a dare il giusto tono alla rappresentazione. È soprattutto lei, russa, che risulta forzata nel parlare per le evidenti difficoltà che ha con la lingua italiana (da capire il perché di questa scelta visto che ai fini della questione la nazionalità ben poco conta), che rendono a tratti fastidioso il suo parlare e meno di impatto la sua recitazione, per esempio nella disperazione che dovrebbe seguire alla scoperta delle volontà del marito di abbandonarla per una donna più giovane.
L'omaggio a Bergman è, certamente, da valutare con positività perché si tratta di un grande regista che ha saputo rendere con maestria le contraddizioni e i limiti umani, le differenze che in una coppia possono portare a un equilibrio o a uno sgretolamento, la voglia di sentirsi vivi andando contro a quello che vorrebbe la morale comune e le leggi non scritte della società. Entrambi i prodotti portano in scena le difficoltà di un rapporto di coppia duraturo dovute agli anni, agli eventi, ai diversi punti di vista, alle cose taciute e alle convenzioni sociali, con la differenza che il film riesce a dare un respiro ampio e diversificato alla questione attraverso la rappresentazione di diverse situazioni e conseguenti reazioni, senza mai dare un giudizio morale. Lo spettacolo teatrale lascia da parte tutto questo, per concentrarsi su quella coppia e sulle loro problematiche, risultando a tratti divertente per il pubblico senza motivi apparenti, a dimostrazione del fatto che il dramma non si compie.

 

 

 

 

Napoli Teatro Festival Italia
Scene da un matrimonio
di Ingmar Bergman
regia Andrej Konchalovskij
con Julia Vysotskaya, Federico Vanni
scene e costumi Marta Crisolini Malatesta
luci Gigi Saccomandi
foto di scena Marco Ghidelli
produzione Teatro Stabile di Napoli – Teatro Nazionale, Fondazione Campania dei Festival – Napoli Teatro Festival Italia
lingua italiano
durata 2h 10'
Napoli, Teatro Mercadante, 3 luglio 2018
in scena 3 e 4 luglio 2018

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