“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Tuesday, 16 April 2013 12:11

The revolution will not be televised (parte terza)

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III

   “ahahah” e poi “eheheh”, ridono ancora di gusto i miei aguzzini, forse hanno sentito questo mio pensiero, avranno inventato qualcosa per sentire i pensieri dei reclusi, ma hanno ragione forse, la rivoluzione fa proprio ridere, vecchio mito della nostra epoca, verrà il tempo della rivoluzione! e tutte queste ridicole figure verranno spazzate via, sì! sembra proprio un pensiero religioso, sembra proprio un’idea apocalittica, la fine dei tempi con la rivoluzione e un mondo nuovo dove tutti saranno giusti e sederanno l’uno accanto all’altro in perfetta armonia, ma non è così! il mondo è uno sforzo e noi siamo piccoli uomini, la rivoluzione va pensata già accompagnata con il mondo nuovo, senza orizzonte non c’è figura, ecco cosa manca alle idee rivoluzionarie della mia epoca, comunque a me la rivoluzione piace sempre pensarla, ma il tempo della rivoluzione dove si posiziona? è una frattura? si porrebbe in continuità? o cambierebbe la nostra percezione del tempo?, ancora la necessità di fissare l’attenzione,

 

   i miei aguzzini ridono e io, seppur sveglio, posso sentire uno scarafaggio che mi cammina sulla faccia, mi fanno compagnia,

 

   comunque,

  

   e mi fanno compagnia perché il silenzio spesso mi turba,

 

   l’ultima volta che ho visto tante persone è stato quando due persone un uomo e una donna sono entrati all’improvviso nella mia cella, senza sorridere né dire nulla, mi hanno fatto cenno di alzarmi, io con molta fatica sono riuscito a mettermi in piedi, il dolore alla schiena è spesso insopportabile e poi avevo anche uno stiramento alla gamba sinistra che mi aveva procurato il tipo con gli occhialini scuri, poi mi hanno preso sottobraccio, di tanto in tanto mi lasciavo andare, le forze fluivano via e mi lasciavano acido lattico ovunque, ma loro mi sostenevano, in poco tempo mi hanno portato nel posto dove mi lavano, lì un nuovo impiegato, una donna, mi ha spogliato, potevo sentire il suo profumo attraverso i grumi di frammenti di ossa calcificati che formano l’ammasso del mio naso, volevo piangere e abbracciarla poi mi sono vergognato, ho avuto un accenno di erezione, appena appena, sentivo qualcosa che mi stringeva lo stomaco e il respiro mozzarsi, non mi masturbo più oramai da tempo, non ne ho più le forze, e così avevo dimenticato quasi quella sensazione, ma lei non mi ha neanche guardato negli occhi, il suo compito era soltanto lavarmi ma il fatto che fosse una donna doveva essere un loro esperimento, l’altro, l’uomo, appuntava qualcosa su una cartella, in quel momento qualche lacrima mi è scesa dagli occhi, avrebbe potuto (anche se in maniera distaccata) soddisfarmi, credo che sarebbe bastato proprio poco, pochi gesti su e giù, sarebbe stato un atto di pietà cristiana, ma non ho avuto la forza di chiederglielo,

 

   e comunque non so se sarei sopravvissuto a questo orgasmo (quanti mesi sono passati?),

 

   dopo che ero ben lavato, mi hanno rivestito con abiti profumati e mi hanno portato in una sala, sentivo freddo e i vestiti, troppo larghi, mi davano l’impressione di una misura di accortezza, il mio corpo nudo ed esposto avrebbe procurato troppo ribrezzo, dinanzi a me c’era una commissione formata da almeno dieci persone, ma non vedevo bene, la vista mi raddoppia la visione continuamente, non riesco a fissare alcun particolare a lungo, per cui potevano essere dieci massimo venti persone, riconoscevo soltanto l’uomo dagli occhialini scuri seduto al centro (che poi a tratti divenivano due, a causa della mia vista), gli altri non mi ricordavano nulla, forse li avrò anche visti, forse era uno di loro che mi aveva spappolato il naso o che mi aveva fatto ingurgitare litri di acqua salata, anzi sicuramente saranno stati loro, in gran completo, la squadra tutta dinanzi a me, ma non ho provato paura, ho visto tanta gente che era lì per me e ho cercato di sorridere, non voglio pensare a quale orribile smorfia doveva assomigliare quello che io chiamavo sorriso,

 

   ho provato a sorridere per farmi beffe di loro, ma lo so: anche se hanno capito che quella disgustosa smorfia di un volto deformato e quasi sdentato era di beffa e di sfida, loro non hanno provato nulla, probabilmente non si sono neanche offesi, loro sono i grandi rappresentanti del nostro tempo, quelli che per fare carriera avranno visto e fatto cose ben peggiori o comunque più importanti, non si arriva al punto in cui si trovano loro senza un lungo curriculum, non c’è che dire: sono i migliori, non come i minuscoli aguzzini che mi tormentano giorno dopo giorno, che mi buttano a terra la roba da mangiare o ridono per la puzza del mio corpo, non come uno di questi servi (loro sì! che sono i peggiori) dei quali prima o poi mi ciberò, ci ciberemo tutti quanti,

 

   qual è il suo nome?

  

   (fisso l’attenzione, spremo la testa, non la barca dei pescatori, non il sorriso di Alessandra, pareti bianche e linoleum a quadri, no! ecco, faccio un respiro profondo)

   mi chiamo D.

   (la mia voce è chioccia e ridicola, mi viene da ridere a sentirla, ma loro sono serissimi e così penso a quando chiudevo gli occhi e sentivo il corpo di Alessandra al mio fianco)

  

   per quale motivo si trova qui?

  

   (loro lo sanno ovviamente, è come un esame, ma non gli darò soddisfazione)

   perché amo la vita e gli uomini e credo in un mondo migliore

   (mi dispero per la banalità della mia risposta, mi viene di nuovo da ridere, ma loro sono serissimi e così ricordo quando la sera si stava con gli amici a bere a non finire e si cominciava con il parlare di politica, letteratura e poi si finiva ubriachi a litigare o ad abbracciarsi, Alessandra, dov’è il tuo sorriso?)

  

   come trova le condizioni della detenzione?

  

   (non vedo bene il volto dell’intervistatore ma l’inflessione della sua voce sembra ironica, devo trovare la risposta più adeguata, devo concentrarmi assolutamente ma fa un dannato freddo e la schiena mi fa troppo male)

   eccellenti, signore, eccellenti

   (dico con voce rauca ma sorrido apertamente, immagino il disgusto loro nel vedermi con quell’espressione, spero che li faccia infuriare, ma loro sono serissimi e così mi immergo nel tepore del corpo di Alessandra, piccolo ed esile, nei suoi sorrisi ingenui ma efficaci, nella sua capacità di tirar fuori il vero delle sensazioni, nelle sue piccole mani)

  

   bene, questo è veramente importante, oggi sono qui con noi gli ufficiali degli organi di vigilanza e valutazione, devono stilare un rapporto sulle condizioni dei detenuti politici di questa struttura, lei lo sa che è necessario sempre muoversi nel solco segnato dalla legge?

  

   (a questa domanda provocatoria non devo rispondere, ma, mentre cerco di mantenere la concentrazione e di non crollare psicologicamente dinanzi a loro, le forze cominciano a venirmi meno, non resisterò a lungo in piedi)

   certo, la mia condizione è il simbolo del nostro meraviglioso stato di diritto

   (la risposta è uscita da sola, ma mi compiaccio della mia ironia, stavolta sono sicuro, mi aggrediranno, poi la gamba destra mi cede, cado quasi a terra, loro sono serissimi ma non riesco a pensare a nulla, Alessandra dove sei finita?)

  

   perché lei ha ucciso sistematicamente gli uomini che difendevano valorosamente il nostro paese? se vuole le ricordo i nomi di queste persone, otto in tutto, e anche i nomi dei loro familiari, delle loro mogli, dei loro figli, dei loro genitori, dietro ogni nome, una storia, dietro ogni persona da lei uccisa, una famiglia distrutta, non lo sa, forse?

  

   (ancora la stessa domanda e io rispondo alla stessa maniera)

   posso anche, con uno sforzo enorme, provare dispiacere per quelle persone, che per uno stipendio da fame fanno uno dei lavori più infami, ma in quel momento era necessario, non me ne pento, se è quello che volete sentirvi dire, e non riuscirete a commuovermi, se è quello che vi attendete, sono debole ma non fino a quel punto

   (retorico e inutile e poi con quella voce che mi esce poco credibile, il freddo mi intorpidisce, il mio minuscolo corpo si raggrinzisce, cado a terra, una solerte guardia mi tira su e un po’ disgustato mi tiene in piedi afferrandomi sotto la spalla sinistra)   

 

   perché ha dato ospitalità a un gruppo di ribelli che venivano da fuori?

  

   (non ce la faccio più, le gambe mi cedono ancora, una scarica improvvisa e rumorosa di diarrea gonfia il largo pantalaccio che indosso, riesco ancora a provare vergogna, questo mi rende contento e ancora umano)

   perché ho guardato nel fondo dei loro occhi e loro erano come me e poi soprattutto perché… perché…

   (la casa dei pescatori a Procida è dove potevo sentire il profumo della pelle di Alessandra, dove potevo toccare gli alberi di limone e giocare a carte con qualcuno, erano momenti belli quelli in cui si poteva respirare ancora l’aria del mare),

 

   sono di nuovo nella mia cella,

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