“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Tuesday, 17 July 2018 00:00

Il cinema francese nei rimossi anni di Vichy

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Lo storico Henry Rousso nel formulare l’etichetta “Sindrome di Vichy” fa riferimento alla difficoltà dei francesi di fare i conti apertamente “con un periodo di occupazione che portò all’identificazione e assimilazione del fascismo nel proprio corpo territoriale, socioculturale e politico, un’afflizione della memoria e dell’identità collettiva che si manifesterà in Francia a partire dal secondo dopoguerra sotto forma prima di lutto, poi di rimozione gollista e infine di riemersione traumatica a partire dagli anni Settanta.

In particolare, il collaborazionismo, le perversioni e le storture di un’epurazione selvaggia prossima a un regolamento di conti restano ancora oggi un tabù per la società francese, nonostante l’emersione di una mole impressionante di documenti al riguardo”.
In attesa che i francesi facciano i conti con una delle pagine più vergognose della loro storia recente, occorre ammettere che al di qua delle Alpi, comunque, le cose non vanno molto meglio, non avendo nemmeno questo Paese saputo fare davvero i conti nel profondo con un ventennio infame che ha segnato nel profondo l’immaginario nazionale, basti pensare alla pressoché totale rimozione del passato coloniale e di come questa coscienza sporca del Belpaese sia del tutto assente nel dibattito politico a proposito dei fenomeni migratori contemporanei.
Cosa è successo nella Francia degli anni di Vichy nell’ambito di quel potentissimo costruttore di immaginario che è il cinema? Simone Venturini, docente presso l’Università di Udine, nel suo libro Il cinema francese negli anni di Vichy (Mimesis, 2018) ricostruisce il contesto produttivo e culturale del cinema transalpino di quel periodo e fornisce al lettore le schede filmografiche di un’ampia selezione di opere e autori utili a fornire un’immagine complessa di una produzione cinematografica “contraddistinta dall’oscillazione tra il collaborazionismo e la resistenza, tra l’Occupazione e la Liberazione”.
Quando nell’estate del 1940 viene istituita in Francia la Repubblica di Vichy, nell’ambito di una più ampia operazione di colonialismo culturale ed economico portata avanti dalla Germania nazista, prende il via anche una vera e propria ristrutturazione del cinema francese. Il calo produttivo in tempo di guerra è evidente: si passa dal centinaio di pellicole prodotte annualmente nel periodo 1935-1939 a poco più di duecento lungometraggi di finzione prodotti tra il 1940 e il 1944 dall’industria cinematografica francese.
La riorganizzazione del cinema francese all’epoca di Vichy pur riprendendo le basi progettuali stese da Guy de Carmoy nel 1936 per conto del Conseil National Economique, viene totalmente subordinata alle volontà degli occupanti. Riconosciuta alla Continental, guidata dal tedesco Alfred Graven, una posizione privilegiata, la produzione prende realmente il via sul territorio solo quando la casa di produzione franco-tedesca ha “messo in cantiere le produzioni e assunto una posizione di dominio, basata sull’integrazione verticale, sulle risorse tecniche e artistiche (non pochi dei migliori professionisti; materie prime pressoché illimitate; gli studi migliori) e su un capitale sempre più vertiginosamente in aumento”. Dalla Continental non vengono comunque prodotti film esplicitamente di propaganda.
“La zona settentrionale deputata alla produzione (Parigi) era occupata e gravitava attorno all’impero Continental, con le debite e non così poco estese eccezioni. La zona meridionale, sotto la tutela di Vichy, ospitava stabilimenti, laboratori, artisti e tecnici residenti o in fuga dalla guerra e dall’Occupazione”.
Il calo della produzione francese e l’interdizione alle pellicole inglesi e americane vengono in parte compensati dalla massiccia diffusione di opere italiane e tedesche. Dal settembre del 1941 nella Francia occupata e dal 1942 nel resto del Paese, viene vietata anche la proiezione dei film francesi realizzati precedentemente all’ottobre del 1937. È in tale contesto che si spiega sia l’enorme diffusione delle pellicole tedesche sul territorio francese che la presenza massiccia nelle sale di opere francesi di recente produzione.
“Il numero delle presenze e degli incassi aumentò progressivamente, raggiungendo e superando le cifre registrate negli anni Trenta e il pubblico privilegiò e premiò i film francesi. Il cinema era parte integrante di una sorta di paradosso che investì le arti e il sistema della produzione e del consumo culturale durante il periodo di occupazione e di attuazione dei piani di rinascita nazionale. Rispondeva a un bisogno esistenziale di scuotersi da dosso la realtà quotidiana e l’umiliazione. Fu così paradossale che una fioritura culturale dovesse avvenire durante un periodo di sottomissione. E un ulteriore paradosso si rivelò la possibilità per il cinema francese di raggiungere ampi pubblici, inserendosi in maniera inedita nel mercato privato del cinema anglo-americano, operazione in realtà prevista e sorretta dagli stessi occupanti e di cui beneficiavano”.
La produzione francese del periodo si concentra soprattutto sulle commedie leggere, sugli adattamenti letterari, sui melodrammi, sul realismo nero dei polizieschi e su opere di ambientazione storica e fantastica.
Anche se la cinematografia transalpina all’epoca di Vichy si trova a fare i conti con l’abbandono del Paese di cineasti del calibro di René Clair, Julien  Duvivier, Jean Renoir, Jacques Feyder e di divi come Jean Gabin, Michèle Morgan, Louis Jouvet e Jean-Pierre Aumont, l’apporto della “vecchia guardia” nazionale alle nuove produzioni non viene meno: gli oltre duecento film prodotti ne periodo vengono diretti da un’ottantina di registi e di questi soltanto una ventina sono all’esordio dietro la macchina da presa. Tre quarti dei nuovi film vengono dunque realizzati da registi di lungo corso ricorrendo a maestranze altrettanto esperte.
È un universo cinematografico interessante quello ricostruito da Venturini e la presenza di oltre trenta schede di film rappresenta un invito alla visione che deve assolutamente essere preso in considerazione.

 

 





Simone Venturini

Il cinema francese negli anni di Vichy
Mimesis Milano-Udine, 2018
pp. 224

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