“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Saturday, 09 June 2018 00:00

Il cinema del reale

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“Quella del cinema del reale è la tendenza che più di ogni altra nel cinema contemporaneo produce nuove immagini del mondo, nuovi sguardi e nuovi interrogativi sul reale e le sue conseguenze”.
(Daniele Dottorini)

 
 

Un longevo quanto ingenuo luogo comune vuole che il cinema si sia trovato sin dalle sue origini a dover scegliere tra un indirizzo volto alla “presa del reale” e uno votato alla sua “reinvenzione fantastica”. Insomma, la solita storia che vuole da una parte i fratelli Lumière e il loro sguardo documentario sulla realtà e dall’altra Méliès con la sua idea di cinema come creazione di mondi fantastici e immaginari. Sappiamo quanto in realtà queste due linee si siano intersecate lungo tutta la storia del cinema e, soprattutto, continuino a farlo ai nostri giorni.

Se alcuni studiosi mettono in luce come la rilocazione/espansione del cinema nello scenario delle nuove tecnologie palesi ancora problematiche profondamente cinematografiche, altri ravvisano nell’immagine contemporanea un superamento di quella novecentesca. Quell’alleanza tra l’ordinario e lo straordinario garantita dal cinema parrebbe essere entrata in crisi a causa dell’egemonia esercitata dalla dimensione fantastica dell’immagine nella produzione contemporanea. L’universo audiovisivo nell’era del digitale e della rete sembra aver fatto saltare le nette distinzioni tra cinema, televisione, giornalismo, editoria ecc. Tutto coesiste, si interseca e ibrida nel medesimo ambiente mediale. In tale scenario la distinzione tra reale e fantastico risulta decisamente problematica.
Daniele Dottorini, nel suo La passione de reale. Il documentario o la creazione del mondo (Mimesis, 2018) si occupa dell’opposizione reale-finzione, di ibridazione e sperimentazione di forme e linguaggi, della ricerca condotta dal cinema a proposito di questioni come quelle “della Verità, del Reale, dell’Incontro, della Relazione, della costruzione dello spazio sociale, affettivo e culturale, della percezione del tempo e della durata nell’esperienza contemporanea”, in poche parole intende “interrogare in profondità lo statuto dell’immagine nel mondo contemporaneo”.
L’espressione “cinema del reale” si riferisce a un cinema inteso “come strumento e sguardo che interroga il problema del reale e della verità”. Si tratta del “recupero delle forme e delle possibilità dello sguardo documentario, dalle origini ai grandi maestri Flaherty, Grierson, Vertov; dalla rivoluzione degli anni Sessanta, del Cinéma-vérité, del Direct Cinema, del Free-cinema, fino alle forme del cinema documentario e sperimentale degli anni Novanta e Duemila. Ma è anche la consapevolezza che tali forme possono essere sperimentate come possibilità del cinema di costruire nuove immagini del mondo, nuovi rapporti tra l’immagine e la realtà, nuovi racconti di se stessi e dell’altro. Soprattutto tutto questo è cinema, dunque linguaggio, scrittura, forma”. Il cinema del reale, erede della rivoluzione cinematografica moderna, grazie alla consapevolezza dei linguaggi “si pone come sguardo critico sulle rappresentazioni della realtà, sulle forme mediatiche e sui cliché. Esso riscopre il potere del racconto, la capacità affabulatrice del cinema e dei soggetti filmati, il potere del montaggio nel costruire immagini narranti del mondo”.
Nella prima parte del volume l’autore si interroga sul senso e sulla potenzialità di questo tipo di cinema, sui motivi della passione del reale che ha attraversato il cinema e la cultura del secolo scorso e che, in qualche modo, permane nel nuovo millennio. Successivamente ad essere analizzate sono le forme della spazialità e della temporalità cinematografica indagate a partire dalle immagini che le problematizzano.
Al termine degli anni Cinquanta del Novecento, anche grazie allo sviluppo di apparecchiature di ripresa maneggevoli e in grado di registrare il suono in sincrono, si dilatano la possibilità di rapportarsi con il reale e di liberare i gesti e le parole dei protagonisti. Dottorini si preoccupa di ricostruire quell’ondata di sperimentazioni nel filmare supportata dalla fiducia nelle immagini e nell’atto del guardare che ha investito tutti gli anni Sessanta al fine di verificare quanto il documentario moderno abbia gettato le basi per un cinema del reale contemporaneo fondato, appunto, sulla fiducia nelle immagini e nello sguardo.
In un momento segnato da sfiducia e scetticismo nei confronti dell’immagine, oltre che da profonde trasformazioni del panorama audiovisivo, Dottorini continua a ravvisare, come non mai, un bisogno di verità, “che si incarna in una tendenza sempre più evidente nel panorama audiovisivo contemporaneo, quella del cinema del reale”. “È proprio nel cuore di questa nuova galassia dell’immagine contemporanea che il cinema come interrogazione dell’immagine acquisisce di nuovo il suo senso, come operazione critica e teorica al tempo stesso”.
Non si tratta di recuperare il mito di un cinema in grado di restituire il reale ma “di mostrare la forza scardinante che questo nuovo cinema ha inaugurato” e che si pone alla base delle ricerche contemporanee. Del cinema diretto viene ripresa l’idea di semplificare la pratica cinematografica permettendole di mescolarsi al quotidiano tenendo conto delle nuove possibilità permesse dall’innovazione tecnologica contemporanea. Secondo Dottorini lo sguardo documentario alla base del cinema di questi ultimi decenni si propone come forma alternativa rispetto alle immagini prodotte tecnologicamente che popolano l’epoca contemporanea.
Il cinema del reale sembra proprio recuperare quello stupore, quella meraviglia nei confronti del reale che già era alla base del cinema dei primordi. “Lo stupore è un sentimento che implica rispetto verso ciò che si guarda, la capacità di accompagnare senza guidare. In fondo guardare significa anzitutto avere cura, preoccuparsi di. [...]. Il reale è dunque ciò che si apre nella dimensione dell’evento e dell’incontro, il cui fondamento è la fiducia reciproca (il rispetto, l’amicizia). L’evento coinvolge filmante e filmato, al di là di ogni ingenuo tentativo di annullare il proprio sguardo”.

 

 


Daniele Dottorini
La passione del reale. Il documentario o la creazione del mondo
Mimesis, Milano-Udine 2018
pp. 239

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