“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Monday, 23 April 2018 00:00

Non è stato nessuno

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Esistono mondi nei mondi, città nelle città. Regni chiusi da cancelli e alti muri, dove la città libera si interrompe improvvisamente per riprendere a vivere oltre il muro opposto. Sfidando le leggi anche del tempo, le città dei reclusi lasciano entrare ed uscire persone, abitanti delle nostre città. Qualunque sia il ruolo che indossi ogni persona, ogni volta che attraversa il muro, subito comprende che ciò che valeva fuori dentro non vale: la quotidianità è differente, le relazioni umane sfalsate, le leggi facilmente aggirabili, lo Stato non è più Stato.

L’aria, andato in scena al Teatro TaTÀ di Taranto apre un buco nel muro di un carcere, non per far evadere un detenuto in carne ed ossa ma per farne venir fuori i pensieri, i sentimenti, le paure, la sua storia di uomo. La cella che sfonda è quella in cui si ritrovano, arrivando uno per volta e ognuno con il suo passato, quattro detenuti. Sistemano le lenzuola sul letto, subito, appena arrivati. Ma per svuotare la valigia della loro storia personale ci mettono del tempo. Il tempo di conoscersi e fidarsi dei nuovi compagni di vita che il caso ha scelto. Così viene fuori il passato, insieme alle fotografie e agli effetti personali sistemati sulla cuccetta.
Lo spettacolo fonde momenti di dialogo tra i detenuti a momenti di monologo in cui ognuno dei quattro uomini risponde ad un’intervista. È la nostra curiosità a porre le domande e le risposte sono dirette agli spettatori. La domanda fondamentale è sempre “che cosa hai fatto per meritare questo?”. Ma non tutti rispondono facilmente. C’è chi con la curiosità degli altri non vuole averci a che fare e si dispera dentro sé stesso, fino a compromettere i propri nervi.
Nello squarcio di vita in una cella stretta, delimitata nello spazio scenico dalla posizione dei letti a castello, assistiamo al precario equilibrio che ogni giorno regola la quotidianità della detenzione: l’ultimo che arriva pulisce, ogni momento è giusto per una rissa se i poliziotti non vedono, ci si allena con la scopa e le bottiglie d’acqua, qualcuno di tanto in tanto sparisce per qualche giorno e improvvisamente muore. È proprio la morte improvvisa e mai raccontata dei detenuti all’interno delle carceri italiane a dare impulso ad uno spettacolo come L’aria. Accade di vederlo in scena a Taranto nella settimana della confessione del carabiniere che ha falsificato i verbali del caso Cucchi. Pestaggi e omicidi da parte delle forze dell’ordine che hanno per vittime persone affidate allo Stato, restano segreti protetti dalle pareti, dai cancelli o dai colleghi e superiori che non raccontano e modificano la verità, fino a che a compiere il delitto non è stato nessuno. “È stato morto un ragazzo” hanno detto di Federico Aldrovandi.
Prima di giungere a questo evento drammatico che capita solo a chiusura di spettacolo, L’aria ci dà il tempo di affezionarci ai personaggi. I motivi della detenzione di ognuno di loro hanno sempre una doppia chiave di lettura, una sorta di giustificazione che rende il personaggio più umano ai nostri occhi e meno severamente giudicabile. Nicola, ladruncolo per caso, rimasto senza lavoro né soldi. Mario, omosessuale napoletano sfruttato sessualmente e umiliato. Rosario che difende la sua donna, Carmine, papà. Tutti con sogni di libertà, repressi nella cella e frustrati in quell’unica ora d’aria in cui si può guardare il cielo.
Lo spettacolo, che pur affronta una tematica molto impegnativa è facilmente fruibile grazie alla scrittura leggera di Pierfrancesco Nacca che ne è anche uno degli attori e al lavoro registico di Giulia Paoletti. Alcune scene sono recitate con una certa allegria, altre hanno un’impronta cinematografica. La contemporaneità degli eventi e lo spazio angusto sono realizzati con la presenza costante di tutti e quattro gli attori in scena. Il momento più affascinante è il ralenti di una rissa in cortile, costruito ad arte, durante le interviste ai detenuti. Ottima la prova degli attori che fanno un lavoro di squadra eccellente accompagnandoci poco alla volta nelle vite di quattro personaggi difficilmente avvicinabili ma che poi finiamo con l’amare.
L’aria, bucando una cella di un qualsiasi istituto penitenziario, fissa il suo obbiettivo sugli uomini reclusi. Nell’unica scena in cui sono presenti i poliziotti, essi indossano i passamontagna e da uomini brutali, usano violenza su uno dei quattro ragazzi che abbiamo imparato a conoscere. Lo spettacolo, bello nella messinscena appare in questo un po’ semplicistico. Pierfrancesco Nacca non sembra voler fare una distinzione netta tra buoni e cattivi, avendo trovato del buono nelle persone giudicate e condannate a detenzione e del cattivo tra i rappresentanti dello Stato, ma appare evidente un certo partito preso, favorevole ai detenuti e contro i poliziotti che vediamo in scena solo nelle vesti dei picchiatori. Bisognerebbe, a parer mio, andare oltre e accendere la luce su tutto il sistema carcerario italiano. Esistono storie di lavoratori che con passione adempiono al loro compito e che spesso cadono in depressione o decidono di suicidarsi perché non reggono più lo stress di recarsi ogni giorno in quella prigione separata dal mondo. Alcuni hanno dichiarato di avere la sensazione di portarsi il carcere a casa, in famiglia. Anche dall’altra parte della porta della cella esistono storie tragiche, perché tragico è il carcere così com’è, qualunque sia ruolo che ricoprono le persone in questo gioco di parti che si invertono. Per le capacità evidenti di scrivere un buon testo teatrale, forte e accattivante, Nacca avrebbe dovuto spingere la sua ricerca più a fondo.
Tutto sommato L’aria punta il suo fuoco sulla vita di chi il carcere è costretto a subirlo perché giudicato colpevole di un errore e lo fa con delicatezza e precisione. Per ora va bene così. Dedicato a Stefano, a Federico, a Giuseppe e a tutti coloro che si trovano ancora nelle mani dello Stato.

 


 

L'aria
scritto da Pierfrancesco Nacca
regia Giulia Paoletti
con Alessandro Calamunci Manitta, Andrea Colangelo, Pierfrancesco Nacca, Gabriele Sorrentino
con il patrocinio di Amnesty International, Associazione Stefano Cucchi Onlus
foto di scena Rita Di Giorgio
Taranto, Teatro TaTÀ, 14 aprile 2018
in scena 14 aprile 2018 (data unica)

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