“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Thursday, 01 February 2018 00:00

“Tango glaciale” tra sperimentazione e neo tradizione

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Suscita molto interesse la (ri-)messa in scena di uno spettacolo che è stato una tappa fondamentale della sperimentazione teatrale italiana e non solo, Tango glaciale di Mario Martone, in versione reloaded al Piccolo Bellini in anteprima nazionale (la prima ufficiale sarà il 1° luglio al Ravenna Festival 2018).

Anzitutto c'è la curiosità di poter vedere rappresentato uno spettacolo che per motivi anagrafici più di una generazione presente in sala non ha potuto vedere (sebbene non manchino affatto in platea le generazioni che invece hanno potuto vederlo). È ancora più interessante che venga riproposto − quasi come fosse un classico − uno spettacolo di sperimentazione, che per definizione invece si caratterizza per la ricerca di forme e linguaggi nuovi, altri.
Così, grazie alla forte volontà di Marinella Guatterini, che ha saputo far recedere Martone dalle iniziali perplessità, esattamente trentasei anni dopo la prima di Tango glaciale, andata in scena nel gennaio del 1982 al Teatro Nuovo, Raffaele Di Florio e Anna Redi curano un allestimento archeologico più che filologico dello spettacolo, in cui − a parte la digitalizzazione − le musiche, le immagini, scene, azioni, luci, tutto riprende fedelmente l'originale (e me lo conferma anche la vivace spettatrice ottantenne seduta al posto a fianco al mio).
Lo spettacolo rinuncia alla trama di un testo, sostituita da una drammaturgia  composta da dodici scene che rappresentano lo spaccato di un interno di un palazzo borghese; dodici quadri che si susseguono, come in un ascensore che sale uno alla volta tutti i piani di un condominio, dall'esterno della strada fin sul tetto e oltre ancora in un notturno stellato e onirico. Una costruzione teatrale precisa e complessa, che si struttura attraverso la commistione dei linguaggi: suoni corpi immagini colori si corrispondono, si intrecciano o si scontrano, creando ambienti visuali e sonori ben caratterizzati per ciascuna scena, mentre il lessico stilistico ci riporta agli anni '80, ai cartoni animati, alla pubblicistica dell'epoca e alla new wave. Sul palcoscenico ci sono tre attori (affiancati inizialmente da un manichino), due uomini e una donna, i tre giovani protagonisti immessi in questa macchina scenica che alterna colonnati antichi a moderne cucine e bagni, prima e dopo un festino etilico, una lotta/danza con un sassofono e le vacanze al mare a un tango ballato con un aspirapolvere. I testi, molto brevi e spesso reiterati, provengono e ci rimandano a Paesi e tempi diversi, mentre la voce spesso diventa canto. Tuttavia a predominare nel lavoro degli attori sono i corpi, le azioni sceniche, da teatro danza, sullo sfondo delle immagini proiettate, con movimenti spesso ripetuti, che si fondono con i giochi di luce, guidati e, talvolta incalzati dal ritmo delle musiche, in una scrittura che disegna sulla scena desideri, tentativi, nevrosi contemporanee. Il tutto, però, entro la cornice di una macchina ripetitiva e caricaturale, che tutto ricompone nella sua ripetizione, conferendo una sottile ironia, una sorta di elegante distanza dal dramma.
L'operazione, eseguita con grande precisione da parte degli attori in scena e della regia che ha curato l'allestimento, ha innanzitutto il merito di aver permesso di vedere rappresentato uno dei più importanti spettacoli di una stagione teatrale che si muoveva alla ricerca di forme e linguaggi nuovi che scardinavano la scena e che ha nutrito le successive − e può ancora nutrire le attuali − esperienze teatrali. In particolare lo spettacolo evidenzia l'esigenza di dire il presente magmatico e, insieme, la capacità di attraversare i linguaggi della modernità per esprimerlo. Tuttavia la riproposizione filologica di uno spettacolo rischia sempre di assumere un sapore di revival, di antiquariato, per quanto prezioso, e forse questo vale ancor più per le opere di sperimentazione, che si caratterizzano per una ricerca che crea rotture, aprendo a nuove possibilità sulla scena. A meno che questo lavoro nel tempo non sia diventato un classico, a modo suo, una sorta di classico post-moderno, un modello o un esempio per il teatro che è venuto dopo (almeno un certo tipo di teatro). Innanzitutto la percezione dello spettacolo, oggi, è inevitabilmente influenzata da alcuni fattori che portano a connotare quello stile a un'epoca precisa e passata che ora ci appare quasi ingenua e innocente. Ma, soprattutto, la rappresentazione non suscita quell’effetto dirompente, di rottura dei codici che invece realizzò; forse l'impatto dello spettacolo, oggi, non è lo stesso che fu all'epoca, quando cominciavano ad aprirsi questi spazi espressivi (che molto devono anche alla tecnologia per la possibilità di rinnovare i linguaggi), quando cominciavano a essere praticate modalità nuove di fare teatro, che in questi quasi quarant'anni trascorsi sono state riprese, rielaborate e sviluppate in varie direzioni e che non vengono più percepite come novità. Anche quello stesso immaginario pop che fa da contesto storico a Tango glaciale è mutato, si è sviluppato enormemente ed è diventato di gran lunga più devastante, invasivo e, al contempo, normalizzato, a tal punto probabilmente da non farci cogliere in pieno la carica di quelle immagini anni '80. Insomma, la riproposizione dell’opera, ponendo questi nodi della relazione tra passato, presente e futuro, potrebbe avere anche il merito di aprire una riflessione sul valore della sperimentazione e il rapporto con la tradizione, se non addirittura il suo senso, nell’arte e nella società contemporanea.  

 




Tango glaciale reloaded (2018)
di Mario Martone
progetto, scene e regia Mario Martone
riallestimento a cura di Raffaele Di Florio, Anna Redi
elaborazioni videografiche Alessandro Papa
con Jozef Gjura, Giulia Odetto, Filippo Porro
interventi pittorici e design Lino Fiorito
ambientazioni grafiche e cartoons Daniele Bigliardo
parti cinematografiche e aiuto regia Angelo Curti, Pasquale Mari
elaborazione della colonna sonora Daghi Rondanini
costumi Ernesto Esposito
foto di scena Mario Spada
suono Alessio Foglia
realizzazione costumi Nunzia Russo, Violetta di Costanzo
realizzazione calzature
Ernesto Esposito per GEOX
direttore di scena Generoso Ciociola
macchinista Walter Frediani
datore luci Alessandro Caso
sarta
Anna Marino
scenotecnica Retroscena
produzione Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini, Fondazione Nazionale della Danza/Aterballetto
riallestimento nell’ambito di Progetto RIC.CI Reconstruction Italian Contemporary Choreography Anni Ottanta/Novanta (Ideazione e direzione artistica Marinella Guatterini)
in coproduzione con Fondazione Ravenna Manifestazioni
con il sostegno di Torinodanza festival | Teatro Stabile di Torino − Teatro Nazionale
in collaborazione con Amat – Associazione Marchigiana Attività Teatrali, Fondazione Fabbrica Europa per le arti contemporanee, Fondazione Teatro Comunale di Ferrara, Teatro Pubblico Pugliese − Consorzio Regionale per le Arti e la Cultura, Fondazione Toscana Spettacolo onlus, Fondazione Milano – Civica Scuola di Teatro “Paolo Grassi”
lingua italiano
durata 1h
Napoli, Piccolo Bellini, 24 gennaio 2018
in scena dal 16 al 28 gennaio 2018

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