“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Saturday, 20 January 2018 00:00

Per far crescere peschi e ciliegi

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La storia. Una storia di eroismo quotidiano, il più difficile, le cui gesta si svolgono nella piazza centrale di una piccola città, nell’ufficio del sindaco, sull’argine di un fiume. Una storia che ricorda la cronaca, ma affrancandola dalla tristezza, scovando la poesia dentro la prosa. Un eroismo dell’al di qua. Umanissima fierezza fragile.
Il corpo. I corpi di tutti sono il corpo di lei, come dell’assoluto. Dove l’assoluto passa negli occhi accesi e nella sottile muscolatura affettiva dell’anatomia. È questo tremare, la mistica, la vita che lavora alla sua trasfigurazione, la carne e il divino. L’assoluto nell’organico, dentro ogni gesto di Ermanna Montanari, un corpo dell’al di là − attualità dell’ossimoro.
Il lavoro. Il lavoro del teatro, forma raffinatissima della scena delle Albe, che con ritmo perfetto si fa e si disfa davanti ai nostri occhi. La trasparenza dei cambi di scena è artigianato esposto: vedi il martello che batte sul ferro incandescente, vedi come sposto questo tavolo. Ti racconto il modo di raccontarti.

La storia, il corpo, il lavoro. Ed è un altro miracolo di Marco Martinelli ed Ermanna Montanari. Un nuovo spettacolo dentro lo stesso teatro, il vero teatro, dove estetico è già da sempre politico. La storia, il corpo, il lavoro: combinando questi elementi prende vita Va pensiero come un vero e proprio mito contemporaneo. Un racconto di popolo e per il popolo. Uno spettacolo che è spirito collettivo, incarnato paradigmaticamente dalla costante presenza del coro. L’esperienza del coro, con le parole di Nietzsche “è il fenomeno drammatico originario: vedere se stessi trasformati davanti a sé e agire come se si fosse davvero entrati in un altro corpo. (...) L’unica realtà è il coro, il quale produce fuori di sé la visione e parla di essa con la danza, il suono, la parola”. Va pensiero ha addirittura due cori. Sdoppiamento al quadrato: un coro che racconta, che scandisce la storia, come ritmo di poesia; e un coro che canta, canta Verdi, musica della speranza, melodia di voci bianchissime. Poi, dal coro, dal popolo che canta, sorgono diverse individualità, a comporre un arazzo di umanità.
In primis il sindaco, o la Zarina. Di Ermanna Montanari non si dice mai abbastanza, eccedenza pura della sorpresa, e si può dire ancora che offre qui momenti di comicità straordinaria. Vi è una marcata connotazione umoristica del suo personaggio, resa attraverso una soluzione drammaturgicamente interessante: la Zarina interrompe sempre gli altri personaggi, è come se non trovasse il suo tempo, inciampa nelle parole altrui, non sopporta qualsiasi cosa si dica, rigida nel protocollo come nella corruzione. Invoca suo padre, vuole la musica di Verdi e detesta i mini-shorts, ha qualcosa di inattuale, è come se non fosse questo il suo tempo, perciò è destinata all’infelicità, ché si può gioire solo di gioie presenti. Maschera dell’istituzione, che rimette (i peccati?) e sgretola qualsiasi parvenza di integrità.
Intorno alla Zarina, la piccola città. Una stolida segretaria (Laura Redaelli) che sopporta ogni vessazione senza troppo pensare, convinta che l’arte di vivere sia una resa. Un rampante capo dell’ufficio stampa (Roberto Magnani) che si crede visionario, ma è frustrato dal fatto che il mondo si dimostra sempre più furbo di lui. Un imprenditore quasi onesto (Alessandro Renda) ossessionato dal controllo, uomo di sospetto e malaffare. Una consulente molto sopra le righe (Mirella Mastronardi) inquietante entusiasmo harpaxofobico del braccio finanziario abbracciato alla mafia. Un imprenditore ‘ndranghetista (Ernesto Orrico) specchio preciso di quei volti che insanguinano il Bel Paese. Un cittadino fra i cittadini (Gianni Parmiani), amico d’infanzia del sindaco, molto attivo nella lotta contro le nutrie. Un cacciatore di nutrie (Fagio) che compare in scena come una presenza definitiva. Un dottore (Luca Pagliano) che si insinua come principio del dubbio sulle conseguenze di vita e di morte che discendono da decisioni prese a tavolino. Due gelatai in esilio, che accettano un destino errante pur di non piegarsi alle ingiustizie (Salvatore Caruso e Tonia Garante), corpi di coraggio. Ma più coraggio di tutti sta nel meraviglioso Vincenzo Benedetti (meraviglioso Alessandro Argnani) vigile urbano splendente. Sguardo ingenuo, tenacia granitica, disarmante la sua voce − voce del vero essere umano – forza e tenerezza insieme. Incrollabile sincerità cristallina di un eroe qualunque. Eccezionale riscatto di un’epoca.
Tutti insieme, questi personaggi, e gli attori, e i tecnici, fanno la storia, il corpo, il lavoro. Tasselli di un mito dei nostri giorni, essi riportano in vita la voce di Antigone, che ancora ci chiede, dal fondo della caverna in cui è mandata a morire, ancora ci chiede: che ne è stato della giustizia? Urla domande che sono accuse, affermazioni apodittiche, esortazioni: che cosa è la legge, in che modo si rispetta la legge, esiste ancora un senso profondo ed intimo della ribellione al sopruso? Non ha senso porsi tali questioni (che le si chiami politiche, sociali, morali, pubbliche) se non le si prende sul serio, ossia, se non le si prende sulle spalle, se non le si assume in prima persona. Questo modo della politica significa non solo non voltare la faccia, ma nemmeno limitarsi a dire il proprio parere e continuare ad accettare il mondo così com’è, abituandosi all’idea che i giusti perdono sempre. La questione non è rispettare la legge, ma rispettare se stessi, e ricordarci Quanto è antica la nostra terra, sentirne la responsabilità. Siamo ancora al principio della storia, diluvia sulla pianura/diluvia/come ai primordi della creazione. Perché ti occupi del mondo? Perché sì. Perché siamo tutti chiamati ad un modo della politica in cui militante è colui che fa delle proprie scelte una questione di vita o di morte, in cui scendere in campo è una forma del sacrificio, letteralmente dell’azione di fare il sacro. Vuol dire coltivare la terra come luogo dove pregare e dove ribellarsi, e non avere paura di provare a cambiarla, prendendo su di sé la verità.
C’è una parola greca, parresia, che significa questo modo della verità. La parresia designa il parlar chiaro che istituisce un rapporto armonico fra parole e azioni, in cui chi parla ha tutto da perdere, poiché prende una posizione antagonista di fronte ad un oppressore. La parresia dice una verità dal basso, che si accompagna necessariamente ad una forma di coraggio e implica la libera assunzione di un rischio. La verità come parresia personifica, dal momento che è in prima persona che si rischia e che si misurano i risultati del dire il vero. Ecco allora che l’individuo, su cui normalmente si esercita il potere, può divenire il soggetto della reazione all’oppressione. Nella dialettica individuo-società, il singolo, quando dice il vero mettendosi in pericolo, si concentra sulla sua dignità non negoziabile, al fine di realizzare un’opera di verità diretta al mondo. Come dimostra la vicenda di Benedetti, il parlar contro all’oppressione non promette alcuna stabilità, al contrario, trascina l’individuo in un’incertezza imprevedibile rispetto al procedere per inerzia dell’errore. La verità della vita è sempre più difficile di quella della teoria. Eppure è più vera, la verità della vita, e dura più a lungo, dura nei nostri racconti, nel nostro teatro, dove l’individuo fa già coro. Il Pensiero Va a tutte le vite coraggiose, passate e future, e infine cantiamo, che Antigone non muore mai.

 




Va pensiero
di
Marco Martinelli
ideazione e regia Marco Martinelli, Ermanna Montanari
con Ermanna Montanari, Alessandro Argnani, Salvatore Caruso, Tonia Garante, Roberto Magnani, Mirella Mastronardi, Ernesto Orrico, Gianni Parmiani, Laura Redaelli, Alessandro Renda
con la partecipazione del Coro Gli Harmonici di Bergamo
arrangiamento e adattamenti musicali, accompagnatore e maestro del coro Stefano Nanni
incursioni sceniche Fagio, Luca Pagliano
scene Edoardo Sanchi
costumi Giada Masi
disegno luci Fabio Sajiz
musiche originali Marco Olivieri
suono Marco Olivieri, Fagio
consulenza musicale Gerardo Guccini
editing video Alessandro Renda
assistente alle scene Carla Conti Guglia
tecnico luci Luca Pagliano
macchinista Danilo Maniscalco
elementi di scena realizzati dalla squadra tecnica del Teatro delle Albe, Alessandro Bonoli, Fabio Ceroni, Enrico Isola, Danilo Maniscalco, Deniss Masotti
direzione tecnica Fagio
sartoria Laura Graziani Alta Moda
capi vintage A.N.G.E.L.O.
foto di scena Silvia Lelli
organizzazione e promozione Silvia Pagliano, Francesca Venturi
produzione Emilia Romagna Teatro Fondazione, Teatro delle Albe / Ravenna Teatro
lingua italiano
durata 2h 30'
Milano, Teatro dell'Elfo Puccini, 12 gennaio 2018
in scena dal 9 al 14 gennaio 2018

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