“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Monday, 09 October 2017 00:00

La magia di una favola d'inverno

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Racconto d'inverno è il primo dei sei spettacoli del progetto Glob(e)al Shakespeare ideato da Gabriele Russo, presentato allo scorso Napoli Teatro Festival Italia e nuovamente in scena al teatro Bellini dal 3 al 28 ottobre. Ogni sera, due opere del Bardo, adattate da autori contemporanei, vengono rappresentate in una sala completamente trasformata in grande spazio elisabettiano multifunzionale.

Otello / Racconto d'inverno, tre ore di teatro per per due pièce idealmente collegate dal tema dominante della gelosia che si dipana in tutte le sue evoluzioni morbose fino a raggiungere il climax della follia. Ma se nell'Otello del Bardo il 'mostro verde' viene iniettato nella testa del Moro da un elemento esterno (Iago), il cui operare innesca un ordigno esplosivo inarrestabile che conduce l'evento tragico fino a un punto di non ritorno, in Racconto d'inverno, il morbo non ha cause scatenanti apparenti e tutto ha inizio, svolgimento e fine, nei meandri della mente di Leontes, luogo insondabile e terreno di coltura di una passione irrazionale che risponde al nome di follia.
Uno stacco stilistico/temporale divide in modo netto la prima dalla seconda parte di Racconto d'inverno, le quali sembrano infatti appartenere ad opere completamente diverse, infatti la mistura di generi diversi non è qui ottenuta mediante una fusione (come per esempio accade nel Cymbeline) bensì attraverso una successione temporale in cui le caratteristiche di ciascun genere preservano identità e peculiarità.
Nella prima parte si consuma la tragedia ambientata in una Sicilia opulenta e raffinata, in cui i personaggi parlano la lingua dell'alta retorica, e il dramma si carica di suggestioni estremamente tragiche; nella seconda parte (introdotta dalla figura allegorica del Tempo), in un luogo della Boemia, prende vita il genere comico-pastorale che si evolve in un finale da favola cortese.
In questa rappresentazione firmata dalla regia di Francesco Saponaro, l'originaria bipartizione del dramma viene amplificata ed esaltata dall'opera di riscrittura di Pau Mirò ed Enrico Ianniello, che attingendo da registri verbali diversissimi, mescolati con la sapiente anomia di un pittore, arricchiscono l'opera di mille sfumature verbali: la lingua colta attinge al siciliano dei tempi dei principi di Salina, con spruzzi di colore che ne aumentano la ricercatezza, mentre la lingua dei pastori e dei contadini è la mescita di una moltitudine dialettale così corposa ed ebbra di villico colore da riuscire ad andare alla testa.
Le riuscitissime scelte di regia colpiscono per la consapevolezza dell'operato, un inedito e quasi impalpabile filo rosso viene fatto calare nel dramma come trait d'union tra la prima e la seconda parte; si tratta dell'elemento magico introdotto da Leonte e sviluppato fino alla fine da Paolina, moglie di Antigono, che in questa rappresentazione arricchisce il suo ruolo di leale e disinteressato confidente con ambigue pratiche che ricordano rituali magici.
Nel Faust di Goethe il disegno sul pavimento di un pentagramma consente a Mefistofele di entrare sotto forma di cane, ma un'inesattezza nell'esecuzione dello stesso gli impedisce di uscire sotto forma di demonio. È con questo segno che si incatenano i demoni dell'aria, gli spiriti del fuoco, gli spettri dell'acqua e i fantasmi della terra.
Nella prima parte di questa rappresentazione, quando la gelosia di Leonte cede il posto alla pazzia manifesta, e il re appare visibilmente posseduto da un qualcosa che gli opprime la testa, lo vediamo disegnare sull'assito un cerchio, al centro del quale collocherà la sua sedia. Alla vista di Paulina salta sulla sedia, si avvinghia e contorce come in preda al terrore, come se un potere occulto gli si avvicinasse minacciandolo. In un secondo momento Paulina, accertandosi di non essere vista, con consapevolezza alchemica, interverrà sul disegno, cancellandone alcune parti creando, così, delle aperture. Nella seconda parte, un nuovo cerchio verrà disegnato, e sarà quello il luogo del miracolo, della statua che prende vita e della magia che si compie. La trama magica percorre silenziosamente la prima e la seconda parte, e Paulina come una sacerdotessa delle scienze occulte gestisce i rituali del sovrannaturale.
Anche il tema della gelosia/pazzia del re Leonte viene fatto affiorare con una progressione patologica che assume densità dolorose; l'incipiente disagio mentale del sovrano si intravede innanzitutto dalla prossemica, le parole di per sé potrebbero apparire stravaganti e avventante, ma è il fazzoletto (utilizzato in tutta la rappresentazione come termometro che misura l'aggravarsi della pazzia) con cui Leonte si avvoltola dapprima mani e braccia con gesti sconnessi, per poi passare a fasciarsi la testa e infine a tapparsi la bocca, che rivela da subito che in quella forma di gelosia alligna il patologico. I pensieri malati lo tormentano e prendono forma, Ermione, consorte infedele, e Polissene, amico d'infanzia che intrattiene rapporti non leciti con lei, sono il frutto della sua viva immaginazione, talmente viva da farli diventare presenze tangibili e inermi da far muovere come i propri pensieri credono che sia, affinché gli occhi vedano ciò che si è osato pensare.
La concentrazione del tempo della rappresentazione non altera la sostanziale fedeltà all'opera del Bardo; la narrazione, necessaria a colmare i due vuoti temporali e a consentire agli spettatori di restare 'al passo' col presente della rappresentazione, è affidata a due personaggi. Il primo è il Tempo in persona, sorprendente la scelta di Saponaro di non dare un volto e un 'tempo' storicamente collocabile a questa figura allegorica. Egli non ha le sembianze di uomo saggio e barbuto che reca sul volto il passaggio di sé stesso (il tempo, appunto), egli semplicemente non ha le sembianze di un uomo, una corazza futurista lo colloca in un ideale via di mezzo tra uno schermidore, un astronauta e un manichino di De Chirico. La sua voce cala dall'alto per colmare il passato, assegnarci al presente e preparaci al futuro, da quel momento una clessidra posta sull'assito inizierà a scorrere con l'inesorabilità e la noncuranza delle forze superiori impossibili da arrestare.
Un secondo ruolo narrativo è affidato a Paolina, anch'essa dotata (come abbiamo visto) di un qualche potere sovrannaturale, che nella scena dodicesima del secondo atto, subito prima di iniziare il dialogo con un re Leonte visibilmente rinsavito, si rivolge allo spettatore per fare il punto della situazione sui due regni (Boemia e Sicilia).
Il dramma, complessivamente molto ben recitato (un rilievo particolare meritano le interpretazioni di Leonte e di Autolico), si chiude con l'avverarsi dell'oracolo di Apollo e con il recupero di ciò che si era perso: la figlia perduta di Leonte, ma anche la sanità mentale del sovrano. Ciò che non può più essere recuperato a volte può tornare in vita per mezzo della magia, altre volte no. Così mentre il piccolo Mamilio non può tornare dall'avello in cui è stato portato qualche scena prima, quando il pathos ha toccato da vicino gli spettatori, la statua di marmo può, invece, scendere dal piedistallo e mettere la parola fine alla finzione teatrale che è favola “e, proprio perché favola, è verità”.

 

 



Glob(e)al Shakespeare

Racconto d'inverno
di William Shakespeare
adattamento Pau Miró, Enrico Ianniello
regia Francesco Saponaro
assistente alla regia Giovanni Modena
con Luigi Bignone, Roberto Caccioppoli, Rocco Giordano, Tony Laudadio, Mariella Lo Sardo, Vincenzo Nemolato, Francesca Piroi, Marcello Romolo, Leonardo Antonio Russo, Edoardo Sorgente, Petra Valentini
scene Francesco Esposito
costumi Chiara Aversano
light designer Salvatore Palladino, Gianni Caccia
sound designer G.U.P. Alcaro
foto di scena Francesco Squeglia
coproduzione Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini, Fondazione Campania dei Festival – Napoli Teatro Festival Italia
lingua italiano
durata 1h 25'
Napoli, Teatro Bellini, 7 ottobre 2017
in scena dal 3 all'8 ottobre e il 25 ottobre 2017

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