“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Sunday, 08 October 2017 00:00

Gioiosa inquietudine

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Io sono sempre stato aperto agli altri. Mai distaccato, mai pregiudizialmente diffidente. Pronto ad affrontare con il dovuto equilibrio il divenire. Ed è stato così anche con la più sorprendente esperienza della mia vita. Fin qui.
Era l’estate del 2015 quando l’ho conosciuto. Luca Aldovrandi, ottant’anni appena compiuti. Non c’eravamo mai incontrati prima. Quella sera, assieme a un buon gruppo di uomini attempati e di un certo prestigio, quasi tutti, tranne noi, accompagnati dalle mogli sciccose, eravamo stati invitati a cena da un comune amico dell’alta imprenditoria. Al termine della cena ci siamo disseminati sui vari divani del living lussuosamente arredato, e ciascuno di noi intratteneva un amorevole rapporto con una varietà di bicchieri incessantemente tenuti in vita, si fa per dire, da diversi tipi di liquori.

Aldovrandi è seduto di fronte a me, d’improvviso mi fissa e dice: − Non le sembra che il tempo sia un gran mistero? Se considero i miei non pochi anni trascorsi lavorando ad alto livello, ho come la sensazione, se non la certezza, di essere ancora al punto di partenza. Che dire.
− Beh, anzitutto diamoci del tu. Qui direi che è d’obbligo. Ma prima di parlarti della mia concezione del tempo dimmi qual è il tuo lavoro.
− Ingegneria aerospaziale e navale. Ho trenta collaboratori nel mio ufficio. E tu che fai?
− Manager addetto alla gestione delle risorse umane. Ma ancora per poco, sono ormai ultrasettantenne. È ora che lasci il campo ai giovani. Poi vedrò come spendere il mio tempo. A dispetto dell’incertezza.
− A proposito di età, lo sai cosa diceva Picasso?
− No, cosa diceva?
− Che ci vogliono molti anni per diventare giovani.
− Ah, buona! È un’espressione che fa riflettere.
− Davvero? Proviamo allora a riflettere insieme. Potrebbe venirne fuori qualcosa di buono.
− Prima passami quella bottiglia che sembra esserti tanto cara.
− Eccola. È whisky irlandese, dei migliori. Assaggialo, ma intanto vuoi deciderti a dirmi il tuo nome?
− Enrico.
− Bene, vieni con me. Là in fondo a sinistra c’è una porta che quasi non si nota. L’hanno fatto apposta, credimi. Dentro c’è un salotto riservato a pochi eletti. Io sono uno di quelli. Così potremo parlarci.

Quadri di Klimt, Magritte, Mondrian adornano le pareti del salotto. Una delizia per gli occhi. Stimoli per la mente. Luca siede rilassato a braccia conserte su una poltrona, e sembra attendere che io dia inizio alla conversazione, se così la si può chiamare. Ma dopo qualche minuto di silenzio è lui che scopre le carte: − Talvolta il caso supera di gran lunga ogni possibile obiettivo programmato nei minimi dettagli.
− Sto cercando di immaginare dove vuoi arrivare. Vedi di essere più chiaro.
− Semplice, questo nostro casuale incontro e quel poco, ma potenzialmente innovativo, che ci siamo detto sul senso del tempo, mi porta a concludere che noi due insieme potremmo agevolmente elaborare un progetto per avviarci lungo un nuovo percorso esistenziale, dopo aver concluso la nostra precedente esperienza lavorativa. Una ripartenza verso orizzonti da scoprire. Insomma, una sfida al tempo.

Prima c’è stata una puntigliosa ricognizione del lavoro che ci ha impegnato nel corso degli anni: le sue scorribande ingegneristiche aerospaziali e navali e il mio intenso rapporto con le risorse umane. Di tanto in tanto reciprocamente chiediamo chiarimenti, giusto per meglio capire la nostre potenzialità, gli errori da evitare, i presupposti per penetrare la nebulosa − per il momento − che racchiude il percorso di cui ci proponiamo di individuare i contorni.
− Dunque riflettiamo sulle cose da fare, tenendoci lontano da quella sorta di pendolo temporale che potrebbe impedirci di impegnarci in un comune lavoro che tenga insieme le nostre trascorse esperienze per poi superarle − mi dice Luca, con l’aria di chi intravede la realtà a portata di mano.
− Sì, basta col lavoro che fino a oggi ci ha accompagnato con successo, diciamolo pure, in tutti questi anni. Facciamo ripartire il tempo inteso come continuità delle vicende umane e naturali. Ciò che ci permetterà di non lasciarci imprigionare dal suo trascorrere, reale o supposto tale che sia.
− Repetita iuvant, dicevano i nostri padri latini. Noi però dobbiamo fuoriuscire da tale logica. Occorre avanzare nel cambiamento Ho un’idea.
− E dimmela, allora.
− Apriamo una libreria. E la chiameremo Continuità. Che ne dici?
− Sai, Luca, sarà il whisky o forse no, ma sento che stiamo per ribaltare una delle nozioni che da sempre l’umanità tende a ritenere immutabile. Ci sto. I soldi non dovrebbero mancare... i guadagni del nostro lavoro. Quello che è indispensabile è definire in termini sia pratici che filosofici (con un particolare riguardo alla parola di Seneca), se vogliamo, come dare un senso compiuto a questa impresa. Che, per dirla con chiarezza, si propone di farci vivere, e con noi i lettori che ci seguiranno, come se il trascorrere dei giorni, degli anni, sia tutto da scoprire. Senza indugiare nella sterile noia del tempo che ineluttabilmente si ritiene debba per forza passare entro limiti più o meno immodificabili. Ripeto: ci sto.
Fuori, nel living, le voci si intrecciano. Chissà di cosa stanno parlando. A noi non interessa più di tanto. Cerchiamo sin da ora di tracciare col pensiero la rotta del nostro progetto.
− Diamoci un mese di timetable per discutere e organizzarci. E per prima cosa sforziamoci di individuare con precisione la linea culturale che la nostra libreria metterà in vendita − dice Luca visibilmente galvanizzato.
Quanto a me non mi è facile trattenere una certa intima eccitazione che ormai mi ha preso.

Do uno sguardo all’orologio. È passata poco più di un’ora e stiamo per mettere in campo un sogno, un insieme di pensieri e conseguenti proponimenti che ci aiuteranno nel tentativo di interpretare il significato del tempo che passa (ma sarà vero?) in termini umani.
Luca si prende qualche pausa di silenzio. Io mi sento in totale sintonia con le sue considerazioni. Mi è bastato sentirmi aperto nei suoi confronti per il forte interesse che il tema da lui sollevato mi ha procurato.
La bottiglia di blended scotch irlandese sembra osservarci desolatamente. Ma noi siamo in vena di brillanti astrazioni che saranno il motore del nostro futuro. Una folgorazione. Per tutti e due.
Qualcuno apre la porta del salotto. Ci lancia un’occhiata e se ne va. 

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