“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Monday, 02 October 2017 00:00

Né serva né padrona, l'attrice della Commedia dell'Arte

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Felice ritorno a Napoli di Claudia Contin, la storica interprete di Arlecchino, la prima donna a indossare la maschera del più famoso tra i servi, in scena alla Basilica dello Spirito Santo in occasione del Festival Internazionale della Commedia dell'Arte organizzato da Coop En Kai Pan.
La scena, costituita da un fondale e due appendiabiti a fungere da quinte laterali, riportanti i volti e i nomi di due famose donne, Isabella Andreini e Adriana Basile, ricostuisce un camerino, con un leggìo e altri oggetti più o meno scenici (c'è anche da mangiare...), ovvero il laboratorio dove da secoli gli attori, ma in questo caso le attrici, ‘assemblano’ nel tempo − ma “contro lo spirito del tempo”, come ricorda Luca Gatta introducendo lo spettacolo − quelle figure di autentico artigianato teatrale rappresentate dai personaggi della Commedia dell'Arte.

La storica Arlecchino, Claudia Contin, entra in scena alle spalle del pubblico, abbracciando, baciando e giocando con le donne sedute in platea. Non solo un benvenuto al pubblico, ma una delle chiavi di quello che sarà una sorta di spettacolo-seminario, teatro ma insieme pedagogia, con l'abolizione della quarta parete e un contatto con gli spettatori a fare costantemente da “spalla” alla performance da solista.
E se “la padrona dorme... il servitore se la gode...”: così Arlecchino introduce alla gioia della commedia dell'arte. Danze, canti, esibizione di personaggi, di movenze e di storie caratterizzano la rappresentazione della Contin, che sfoggia tutta la sua preziosa maestria tecnica, vocale, gestuale e acrobatica in una galleria di figure che è anche uno spaccato storico significativo sul mondo del teatro e specificamente del ruolo della donna all'interno della commedia dell'arte, dai suoi personaggi alle sue attrici.
E per l'occasione l'attrice sveste i panni di Arlecchino: in scena smette i panni della storica maschera e si muove nel camerino-laboratorio costruendo di volta in volta i personaggi che vanno in scena. Ma prima si racconta in una sorta di “confessione buffa”, come la chiama lei stessa. Arlecchino da trentasette anni, la prima donna-Arlecchino come ama ripetere, spiega come è stata “scelta” dal servitore più famoso del teatro, sempre manchevole di qualcosa, come lo era lei stessa quando cercando un lavoro le ricordavano ciò che non aveva, o che quel che aveva non era abbastanza. Così nasce Arlecchino, mettendo insieme il non abbastanza. 'E se Arlecchino ti sceglie, tocca servirlo'. Trentasette anni in scena con questa maschera, l'attrice in questa occasione si spoglia del suo personaggio per introdurre la galleria di figure che da sempre caratterizzano il teatro dell'arte, ma non solo. Una donna innamorata di Arlecchino, un gesuita-censore che, talvolta eccitandosi, accusa e denuncia la libidine che suscita il teatro e specialmente le donne a teatro, la donna seduttrice, la servetta, la cortigiana (da non confondere con la meretrice), per giungere infine al ritratto delle due donne che sin dall'inizio come fari sovrastano la scena con il significato, anche storico, che la loro opera ha rappresentato: Isabella Andreini, storica attrice, "non era una bellezza naturale ma d'arte, costruita per la scena" e Adriana Basile, compositrice e musicista chiamata per la sua voce divina nelle principali corti d'Italia, dove introdusse il più celebre fratello Giovan Battista.
La Contin si muove tra una figura e l'altra spiegando a parole e rappresentando in scena le alchimie tecniche ed espressive che rendono una cortigiana tanto seducente, che caratterizzano le movenze dell'innamorata o le permettono di raggiungere il fine cui mira, di una donna che seduce i pretendenti tenendoli a distanza e via discorrendo, mostrando al pubblico l'officina, gli 'arnesi' con cui si costruiscono i personaggi secondo una tradizione (opposta alla 'immedesimazione' psicologica e introspettiva stanislavskiana), che si fonda sull'arte, intesa come artigianato, lavoro duro che come una seconda natura non si vede in scena, se non negli effetti, nelle realizzazioni tecniche dei tipi o delle azioni teatrali, ma che invece richiede un esercizio e una disciplina rigorosi. La postura del capo e del collo, o quella del seno, il movimento delle gambe e quello del sedere, il gesto delle braccia che si relaziona al ventre in un gioco sottile e preciso di richiami e opposizioni diventano le coordinate di una 'mappa' delle tipologie espressive possibili che la tradizione della commedia dell'arte sviluppa in laboratorio e poi porta in scena. E così il trucco, i vestiti, e ancor di più la respirazione e il diaframma, l'altezza corrispondente alle voci, il riso e il sorriso, le mani, l'equilibrio delle forze legate alle singole parti del corpo e ai suoi specifici movimenti e posizioni. Perchè essere donna a teatro − afferma la Contin − non è natura, ma arte. Arte dunque come capacità di costruire ed esprimere quelle che sono le doti che si posseggono, mettendole insieme nell'opera d'arte, al di là della 'natura' − quella femminile − 'peccaminosa' o comunque 'inferiore', e dunque interdetta a svolgere i ruoli, i mestieri che si addicono alla 'nobiltà' dell'uomo. E così arriviamo anche al ruolo che la commedia dell'arte ha svolto nella storia: la Contin evidenzia la cooperazione propria delle compagnie dell'arte che per la prima volta inserirono le donne tra gli attori, affrontando e sconfiggendo un tabù secolare che proibiva loro persino la presenza a teatro, non certo il primo se si guarda anche alla carica eversiva o addirittura eretica che si nasconde, ad arte appunto, nelle trame disegnate dai personaggi.
Infine, fortemente simbolica e biografica, risulta la ninna nanna che canta nel finale e con cui culla la maschera del servitore Arlecchino, come fosse la sua creatura, “a volte più facile da servire rispetto alla difficoltà di fare l'attrice”. Ma la maschera rimane in braccio, come una sorta di congedo, chissà, di sicuro la preparazione del saluto finale agli spettatori.
In questo spettacolo-laboratorio l'attrice racconta e mette in scena dunque, attraverso la carrellata di personaggi femminili, reali e teatrali, la morfologia e la genesi di figure portatrici di una carica di energia capace di sfidare e sconfiggere il mondo delle 'convenienze', degli stereotipi e del moralismo ipocrita; un'energia che è liberatrice, di una liberazione che conduce a un'alternativa importante, come dice nel finale: “Né serva né padrona... libera persona!”, per poi lanciarsi in un'ultima felice danza insieme a tutti gli spettatori, un abbraccio felice che mischia i confini, al di là delle barriere.

 

 

I viaggi di Capitan Matamoros
Né serva né padrona
Confessione buffa sulle donne nella Commedia dell'Arte

di e con Claudia Contin
musiche (ri-arrangiate) Luca Fantinutti
produzione Porto Arlecchino Pordenone
Napoli, Basilica dello Spirito Santo, 21 Settembre 2017
in scena 21 settembre 2017 (data unica)

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