“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Saturday, 15 July 2017 00:00

Illusioni barocche, epica brechtiana e onda mediale

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Chi intende approfondire le caratteristiche delle immagini proprie della contemporaneità ed i rapporti che si creano tra queste e gli spettatori, non può prescindere dagli studi di Andrea Rabbito pubblicati in una monumentale tetralogia di saggi composta da: Il cinema è sogno. Le nuove immagini e i principi della modernità (Mimesis, 2012), L’illusione e l’inganno. Dal Barocco al cinema (Bonanno, 2010), Il moderno e la crepa. Dialogo con Mario Missiroli (Mimesis, 2012) e L’onda mediale. Le nuove immagini nell’epoca della società visuale (Mimesis, 2015).

Nell’ultimo lavoro dato alle stampe, Rabbito paragona la situazione dello spettatore al cospetto delle nuove immagini a quella di un surfista costretto a concentrarsi al fine di mantenersi in equilibrio sull’onda ed al tempo stesso a lasciarsi andare assecondandola. È da tale paragone che deriva il titolo L’onda mediale. Nel visionare un film lo spettatore viene influenzato dalla connotazione data alla realtà rappresentata, dall'immedesimazione con l’apparecchio e con i personaggi, ma al tempo stesso il flusso delle immagini non gli permette un tempo sufficiente di riflessione. Il concedere eccessiva attenzione all'analisi critica rischia di compromettere il necessario lasciarsi trasportare dal film ma questo assecondarne il flusso comporta il rischio di accettare passivamente le nuove immagini audiovisive.
Nel suo analizzare le nuove immagini, lo studioso recupera gli studi di Erwin Panofsky (Tre saggi sullo stile) che individuavano nelle poetiche barocche l’ingresso in quella modernità capace, nel tempo, di rivoluzionare le modalità di percezione del reale. Analogie e differenze tra poetiche barocche e cinema sono indagate dal volume L’illusione e l’inganno. Dal Barocco al cinema e riprese da L'onda mediale. Secondo Rabbito se da un lato la rivoluzione barocca si pone a fondamento delle nuove immagini, dall’altro queste ultime sembrano distanziarsi dalla logica secentesca. Il Barocco, con il suo proporsi come doppio del reale, propone una riflessione sulla fallacità e sull'illusorietà delle rappresentazioni mentre le nuove immagini tendono a presentarsi come realtà vera e propria evitando di generare riflessioni. Mentre l’illusione secentesca mira a mettere in crisi le certezze dell’uomo, evidenziando come ogni espressione del mondo possa essere mendace, nelle nuove immagini lo spirito critico dell’illusione viene meno e lo spettatore tende a credere a ciò che vede senza mettere in discussione la realtà rappresentata.
Nel volume Il moderno e la crepa. Dialogo con Mario Missiroli lo studioso, conversando con il regista, si concentra sulla concezione artistica brechtiana che attraverso la forma epica intende contrastare l’abbandonarsi del pubblico all’illusione della messa in scena. La forma barocca e la forma epica brechtiana, sostiene Rabbito, sono in grado di contrastare le illusioni, far riflettere lo spettatore e diffondere una visione della realtà meno parziale.
Ne L’onda mediale sono indagate le “forme di resistenza” all'immagine proprie dalla società visuale contemporanea. In particolare Rabbito si concentra su film come: Otello (1952) e F for Fake (1973) di Orson Welles; Synecdoche, New York (2008) di Charlie Kaufman; La Vénus à la fourrure (2013) di Roman Polański; Dans la maison (2012) di François Ozon; Adieu au langage (2014) di Jean-Luc Godard; Gone Girl (2014) di David Fincher. In tali analisi lo studioso intende individuare come le immagini (classiche o nuove) abbiano creato illusioni e riformulazioni del reale in grado di influenzare lo spettatore.
Se a proposito delle immagini classiche già Max Horkheimer e Theodor W. Adorno (La dialettica dell’Illuminismo) avevano evidenziato la capacità dell’immagine cinematografica di influenzare gli spettatori circa le modalità con cui guardare al reale, con le nuove immagini ed i nuovi strumenti di comunicazione le cose cambiano visto che, secondo diversi studiosi, queste sembrano in grado di incidere sui processi mentali e comportamentali degli spettatori. A questo proposito Rabbito passa in rassegna le riflessioni di Marshall McLuhan (La galassia Gutenberg – Gli strumenti del comunicare), Harold Innis (Le tendenze della comunicazione) e Joshua Meyrowitz (Oltre il senso del luogo), studiosi che, seppure in maniera diversa, hanno evidenziato tali potenzialità delle nuove immagini.
Secondo Walter Benjamin (L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica) nel rapporto tra pubblico e le nuove immagini abbiamo un'influenza reciproca tra realtà delle immagini e dei media e massa. Secondo il tedesco l'apparente intuitività del linguaggio audiovisivo convince l’osservatore di poter comprendere tutto senza alcuno sforzo evitando così ogni tentativo di decifrare la stratificazione dei significati presenti negli audiovisivi.
La fotografia ed il cinema trasmettono allo spettatore l’illusione della presenza dell’oggetto immortalato mentre i linguaggi classici, come la pittura e la scrittura, esplicitano la natura di rappresentazione della loro immagine. L'illusione di una perfetta duplicazione del reale da parte della nuova immagine trasmette la sensazione della presenza del rappresentato e dell'assenza del rappresentante. A partire dalla fotografia la costruzione artificiosa della nuova immagine sembra scomparire ed il soggetto impone la sua presenza offrendosi all'osservatore in maniera apparentemente immediata. Se la magia di primo grado rende manifesta la convivenza tra rappresentazione e rappresentato, nella magia di secondo grado, raggiunta dalle nuove immagini, tale convivenza scompare; ad apparire è soltanto il rappresentato.
Rabbito individua tre livelli di finzione a loro volta scomponibili in almeno tre gradi (minimo, parziale e intenso). La finzione primaria rappresenta “il carattere soggettivo, concettuale, relativo e trasformante della nuova immagine che modifica il senso originario del fenomeno immortalato” e la ritroviamo nelle nuove immagini (sia fotografiche che audiovisive) che palesano di voler documentare oggettivamente la realtà. La finzione secondaria è rintracciabile nelle nuove immagini che intendono documentare il reale, solo che in questo caso “la trasfigurazione del senso originario che si realizza non è accidentale, ma voluto dall’autore, il quale intende stravolgere intenzionalmente la realtà dei fatti di ciò che registra, senza avvertire il suo spettatore della trasfigurazione, anzi spingendo a far credere che ciò è in immagine sia una documentazione attendibile e oggettiva del reale e non una sua mistificazione”. La finzione terziaria si ha quando l’artificiosità delle immagini è palese ed è questo livello di finzione ad essere al centro delle riflessioni di L’onda mediale.
Edgar Morin (Il cinema o l’uomo immaginario) individua nel cinema la presenza di due caratteri: quello della pittura non-realista finalizzata alla creazione di una propria realtà e quello della fotografia che intende immortalare la realtà esistente. Riprendendo Morin, Rabbito osserva come nel caso della finzione terziaria ciò che si osserva sia decisamente sbilanciato sul versante della pittura non-realista.
Nella finzione terziaria di grado minimo la finzione è celata nonostante che lo spettatore sappia perfettamente di trovarsi di fronte ad una costruzione. Al pubblico è richiesto di stare al gioco; per poter godere dello spettacolo la realtà rappresentata deve essere percepita come vera. Fingendo vi sia soltanto il rappresentato senza alcun rappresentante, si struttura uno spettacolo antitetico a quello proposto da Bertold Brecht (Scritti teatrali). Nel caso di una finzione terziaria di grado intenso, si riprendono alcune finalità tipiche delle rappresentazioni barocche, cioè “spingere a fare proprio il sapere dell’incertezza, di diffidare di ciò che si vede e di stare all’erta sia nei riguardi della realtà sia nei riguardi della finzione [...]. Si invita insomma a considerare l’immagine per quella che è, una rappresentazione, e non creare una confusione tra questa e la realtà”. Dunque, nel ricorso alla finzione terziaria di grado intenso si intenderebbe: mettere in discussione il linguaggio audiovisivo; ripensare al ruolo del regista e dello spettatore; evidenziare la complessità della realtà mostrata; esplicitare le modalità di messa in rappresentazione della realtà; rendere vigile lo spettatore e farlo riflettere sulle nuove immagini. In tal modo lo spettatore non verrebbe più trascinato in un ruolo passivo ed ipnotico, ma resterebbe vigile e consapevole.
È a partire da tali premesse che il saggio di Andrea Rabbito passa poi ad analizzare alcuni esempi di film che dispiegano forme di resistenza all’onda mediale.
Tra le opere prese in esame figura Synecdoche, New York (2008) di Charlie Kaufman, film che, in un intrecciarsi di figure retoriche (metafora, sineddoche, metonimia), racconta di come il protagonista, il regista Caden Cotard, interpretato da Philip Seymour Hoffman, intenda allestire in un grande capannone industriale uno spettacolo teatrale in grado di riproporre uno spaccato di New York dando luogo così ad una sorta di doppio del reale. “La New York di Cotard diviene così una particolare metafora/sineddoche/metonimia dell’originale New York, nel senso che la prima sostituisce la seconda; il rappresentante, dunque, il doppio, il falso più che rimandare al rappresentato, al vero, crea con questo un forte legame e tende a sostituirlo”.
In questa frenesia di duplicazione, Cotard giunge a trovarsi un alter ego, Sammy Barnathan (Tom Noonan), capace di interpretarlo trasferendosi nell’appartamento allestito sul set. “Quello che si verifica dunque, con progressiva evidenza, è la dinamica della metafora/sineddoche/metonimia: ovvero il rappresentante, Sammy, nega sempre più la propria realtà per essere sostituito dal personaggio che rappresenta, Cotard; e questi a sua volta si orienta ad una sempre maggiore derealizzazione di se stesso, per sparire nell’irreale da lui creato. E tale derealizzazione avviene con esito così incisivo in quanto non è in gioco un rimando, ma un legame, reso mediante l’eccedere la norma della verosimiglianza. Il riflesso speculare si confonde con il soggetto reale di cui duplica le apparenze, creando una dinamica di reciproca sostituzione dei due enti e profonda confusione fra questi”.
Cotard finirà col perdersi in questa con-fusione tra mondi in un gioco di specchi che porta alla creazione di un altro set che, dal suo interno, duplica il primo, in modo che Sammy possa imitare Cotard in un continuo proliferare di livelli di riproduzione. “Si palesa come attraverso la mise en abyme si costruisca una rappresentazione mostrando in che modo questa intenda rimandare alla realtà, e come il rappresentato rimandi al rappresentante, mettendo in luce la modalità con cui queste dimensioni 'si derealizzano, si neutralizzano' tra loro. E, inoltre, si mostra come la derealizzazione avvenga in maniera particolarmente suggestiva quando vi è una forte somiglianza, la quale [...] pone in essere non più un rimando, ma un legame tra rappresentato e rappresentante, fra rappresentazione e realtà; quando infatti fra questi due vi è una forte somiglianza, la finzione più che a rimandare al vero, tende a legarsi in maniera radicale a quest’ultimo fino ad orientarsi a farne le veci e a sostituirlo”.
Ebbene, secondo Rabbito, di fronte ad una tale intrecciarsi di piani, lo spettatore è indotto a riflettere a proposto del confine che separa realtà e finzione e di come ogni tipo di rappresentazione crei un dialogo tra reale e simulacro. Quello sviluppato dal film di Kaufman, sostiene Rabbito, è un discorso metalinguistico che, pur riguardando anche le immagini classiche, sembra avere come vero obiettivo le nuove immagini. Anche questa è una forma di resistenza all’onda mediale.

 





Andrea Rabbito
L’onda mediale. Le nuove immagini nell’epoca della società visuale
Mimesis, Milano – Udine, 2015
pp. 462

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