“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Tuesday, 09 May 2017 00:00

La rivoluzione di Delbono all’opera

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Nel 2015 Pippo Delbono creava Vangelo. Opera contemporanea aspirando alla bellezza della musica. Nella Passione di Cristo ritrovava la sua passione personale, l’esperienza che aveva vissuto nei manicomi, negli ospedali e nelle terre straziate dalla guerra, quei non-luoghi fertili alla sua poetica. Qui, dove qualcosa sempre sta per compiersi senza fine, Delbono ha trovato, nel dolore e nella paura della morte, un nuovo motore di resurrezione. Oggi ritorna a parlare di Cristo con Passione secondo Giovanni di Johann Sebastian Bach, nuovo allestimento del Teatro Massimo in coproduzione con il Teatro dell’Opera di Roma e il Teatro San Carlo di Napoli, diretto dal maestro concertatore Ignazio Maria Schifani che ha debuttato il 27 aprile.

Come fu in Vangelo la scena si apre con l’ultima cena, povera e mistica immagine delboniana, che ruota intorno al perno centrale: Cristo immobile lacerato dal di dentro nella sua carnosa presenza. Ancora una volta, quindi, la passione è riferita alla natura umana di Cristo che, ineluttabilmente è legata alla natura del mondo.
La coerenza del lavoro di Pippo Delbono, regista dissacrante e rivoluzionario, sconfina, all’opera ancor più che a teatro, nella ribellione rompendo gli schemi preimpostati in una sperimentazione che non rischia mai il collasso pur subendo la denuncia di iconoclastia. Il teatro degli ultimi sale sul palcoscenico dell’opera invadendone letteralmente lo spazio: a disturbare la sacralità del contesto, infatti, Delbono agisce direttamente sul canto, recita sulle arie e gira come una mina vagante arrampicandosi sui tralicci della scenografia e fuori dal palcoscenico, in mezzo alla platea. In un reading epilettico arrovellato sui temi autobiografici di sempre (la malattia, la libertà, la comunione) ci passa a fianco senza pretendere risposta, lasciandoci appesi alla sua bocca che pare parlarsi allo specchio. La sua regia è autoriale, in prima persona: conserva una sobria fedeltà al testo e non ricorre a retoriche sceniche per farci intendere qualcosa ma ce la dice direttamente spogliando lui stesso Cristo al momento della flagellazione, vestendo Pietro di un mantello rosso che lo fa diventare Pilato (i due personaggi sono interpretati entrambi da Giorgio Caoduro), bendando i ladroni, rendendo sepoltura ai morti. Così restituisce la concreta crudeltà che aleggia sulla Johannes Passion, opera giovanile di Bach molto contestata per la promiscuità compositiva che vede stare insieme più linguaggi tesi alla 'teatralità' degli eventi della passione raccontata da Giovanni. Seguendo l’esempio di Bach, Delbono attua una molteplicità di piani comunicativi che vanno dal recitato, ai brani contrappuntistici, alle arie soliste, ai corali, senza rinunciare alla danza. Stratificazioni, queste, dell’esperienza delboniana espressa in musica e corpo. In questo senso capiamo la scelta di far intervenire la Compagnia Ciclope dell’Ente Nazionale Sordi coreograficamente in armonia con il coro. Il teatro degli ultimi, dicevamo, è un teatro che rende fisica la drammaturgia e dà rilevanza al senso delle parole.
Ma siccome nella contraddizione sta la verità, Pippo si contraddice: Bobò è il segno più forte di questa rivoluzione. Ultimo tra gli ultimi, è diventato un interprete irrinunciabile per la compagnia di Delbono che, dopo averlo salvato dalla clausura quarantennale in un manicomio, lo ha adottato e reso protagonista. Quando Bobò sale sul palco e, armato di un fiore bianco, inizia il suo “monologo” cui si unisce il coro del Teatro Massimo, il caos che abbiamo subito fino a questo momento trova il suo senso: sgomenti scopriamo che le parole non servono e, ancora carichi della valanga di parole che ci ha investiti, vi rinunciamo perché ora sappiamo che la forza sta proprio nell’abbandonarle. Preparando una catarsi, Delbono ha accompagnato con mano salda Bobò al centro della scena, il suo doppio doloroso, il suo doppio muto ma non silenzioso e, nel volerci dire della passione di un uomo, ne rivela, insieme alle fragilità, la forza. La vera sofferenza colpisce solo chi può sopportarla, sembra volerci dire racchiudendo in un’immagine teatrale la storia personale di Gesù, unico uomo che ha storicamente compiuto il sacrificio più grande per la salvezza di tutti.
Questa Passione risulta provocatoria per gente comune, normale per gente speciale. Fa luce su una doppiezza che, annunciata con lo scambio di ruolo tra Pietro e Pilato, diventa evidente nell’atteggiamento del coro che alterna inni alla crocifissione a lodi al Salvatore. Ma, mentre in atteggiamento meditativo il coro canta la gloria di Cristo, al buio e in tono solenne, le luci si accendono quando deve scegliere chi salvare tra Gesù e Barabba. “Sconfiggetelo!” è una condanna generata davanti agli occhi di tutti, ai nostri occhi, che in platea non possiamo sfuggire alla responsabilità della storia in cui, ora, Delbono ci addita coinvolti non meno che allora muovendosi tra noi, correndo e fermandosi per guardare i nostri volti con la frenesia di un indagatore e la saldezza di un giudice. Sperimentare la Passione a Palermo, per l’artista ligure, ha significato accumulare esperienza, farsi portatore di un messaggio d’amore in questa città di morte e di luce.

 

 

 

 

Passione secondo Giovanni
(versione in forma scenica)
musica di Johann Sebastian Bach
maestro concertatore e direttore Ignazio Maria Schifani
regia Pippo Delbono
con Nathan Vale, Ugo Guagliardo, Marleen Mauch, Nils Wanderer, Alessandro Luciano, Giorgio Caoduro
e con gli Attori della Compagnia di Pippo Delbono, Compagnia Teatrale Ciclope dell'Ente Nazionale Sordi, Missione di Speranza e Carità di Biagio Conte
scene Renzo Milan
costumi Alberto Cavallotti
luci Salvatore Spataro
assistente alla regia Pepe Robledo
assistente alle scene Claudio La Fata
con Orchestra, Coro e Coro di voci bianche del Teatro Massimo
maestro del coro Piero Monti
maestro del coro di voci bianche Salvatore Punturo
violoncello barocco e viola da gamba Francesco Galligioni
basso continuo all’organo Basilio Timpanaro
foto di scena Rosellina Garbo
produzione Nuovo allestimento del Teatro Massimo
in coproduzione con Teatro dell’Opera di Roma, il Teatro San Carlo di Napoli
lingua italiano
durata 2h
Palermo, Teatro Massimo, 29 aprile 2017
in scena dal 27 al 29 aprile 2017

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