“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Saturday, 06 May 2017 00:00

Donne che corrono incontro alla vita

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Ritorni e ritrovi: ritorno al Magma Teatro Club, spazio grazioso di familiare accoglienza e piccola oasi di passione teatrale, dove Libero de Martino e Donatella Faraone Mennella hanno in breve creato e fidelizzato un pubblico assiduo e attento, a testimonianza del fatto che un buon lavoro può attecchire anche nella “provincia addormentata” di prischiana memoria. E ritrovo Vernicefresca – dopo aver visto il loro ultimo lavoro (Ho.me) – le cui vicende teatrali continuano ad appassionarci per i paradossi amministrativi contro cui costantemente cozzano le loro iniziative, che altrove sarebbero ordinariamente lodevoli, mentre in quel di Avellino – per qualcuno – sembrano quasi rappresentare un fastidio, se non addirittura un problema per la comunità, se è vero (come è vero) che un non meglio identificato comitato cittadino si è recentemente mobilitato presentando istanza al Comune per farne interrompere le attività formative (misteri irpini…).

Donne che corrono è lo spettacolo che va in scena: su un palco ricoperto da un tappeto di secco fogliame,  si muoveranno Rossella Massari e Arianna Ricciardi: sono loro due le “donne che corrono” e – attraverso il loro movimento scenico – nei loro corpi prenderà forma il cammino di un universo, quello femminile, raccontato per rarefatta evocazione, con la lucida semplicità di una simbologia che allaccia felicemente gesti e significati, parole e simboli assemblati in una visione registica che riesce a instaurare simbiosi empatica tra l’immagine scenica e lo sguardo dello spettatore.
Le due attrici attraversano la scena in lungo e in largo, si abbracciano, corrono, si rincorrono e si riabbracciano, ridono, giostrano giocosa coreografia, finché d’improvviso s’arrestano e si affacciano alla platea, “cercano” gli spettatori, ad alcuni sussurrano qualcosa all’orecchio, un bisbiglio che è come il soffio di un segreto messo in condivisione, affinché chi lo recepisce lo accolga per diventarne testimone: da questo momento in poi, tu spettatore, sei parte della storia, sei coinvolto, perché questa è (anche) la tua storia, è la storia dell’umanità al femminile che non solo reclama un ascolto, ma viene a prenderselo direttamente, consegnando al tuo orecchio la propria voce, affinché tu ne sia custode.
Se lo prendono, l’ascolto, e ricevono attenzione le due donne che corrono; di più: reclutano un’empatia che si fa montante nel progredire scenico della rappresentazione, mentre il fogliame crocchia sotto piedi che scalpicciano nudi fra le foglie, mentre i loro corpi intrecciano sguardi muti e fissi negli occhi l’una dell’altra, come a ricercare e ricreare un’intesa, come ad intessere un gioco primordiale, come giocherebbero gli animali nel bosco, con la differenza che a farlo sono corpi umani di donna che coreografano prese ed allacci, schermaglie e circonvoluzioni. Il bosco è il luogo dello stato di natura, quello originario in cui sembrano versare creature abbandonate che, correndo, sono in cammino verso la riappropriazione di un’essenza, verso la capacità della comprensione reciproca.
Cominciano a correre, a correre per davvero, a correre sempre più forte: “Corrono le donne, corrono. Sempre”, si muovono facendo il vento, il loro respiro si fa sempre più udibile e nel loro dinamismo sembra proiettarsi la realtà molteplice dell’essenza femminile, fatta di abbandoni e vessazioni, fatta di angherie che le inchiodano (spalle alla parete di fondo, entrambe), come macerate da qualcosa di truce e tremendo che potrebbe esser loro accaduto.
I loro movimenti si fanno sempre più rapidi, in un crescendo che le avvicina e che le vede ribaltare i ruoli, in una progressiva presa di coscienza dell’alterità; i loro corpi assumono pose deformi, l’una si afferra i denti come a volerli strappar via, l’altra con le mani tende i lineamenti del proprio volto come a volerli deformare, continuano a correre all’intorno,  storcono le mani, parlano di donne che si intabarrano in ruoli precostituiti, alludono a condizioni muliebri subalterne e, correndo, è come se se ne allontanassero; ma non sono donne fuggiasche, bensì donne che prendono le distanze da una condizione di minorità in cui i più retrivi gangli di determinate società le hanno confinate, costrette al ruolo di “madonne del sacrificio”,  donne che corrono sempre, inevitabilmente, “con le ossa rotte, la bava alla bocca, inseguono qualcosa o qualcuno, o semplicemente se stesse”. Ecco dove s’indirizza questa corsa: all’acquisizione della consapevolezza di sé, che avviene attraverso il riconoscimento dell’altro, scevro da sovrastrutture, imparando a rispettare la nuda essenza, che troverà esemplificazione nelle rispettive svestizioni finali.
Donne che corrono di Vernicefresca è una danza di corpi e parole capace di raccontare con la congrua pregnanza del gesto, cui fa corona l’essenzialità del testo, l’universo femminile con poesia e senza ombra di retorica, un fotogramma dinamico, per citare una canzone evocata in scena – Fotogramma di Fiorella Mannoia, appunto – animato da due creature che corrono, lottano, si dimenano, si scontrano, si cercano, si ritrovano.
Si vestono con gli abiti disseminati lungo il perimetro scenico, enucleano le condanne emesse da uomini e dèi, dalla casualità e dalla storia: “Cadiamo come stelle cadenti in una calda notte di agosto senza sapere nemmeno perché”, una ragione domandata senza che vi sia risposta, finiscono spalle contro spalle, fino ad abbracciarsi in terra: si sono perse, so sono scontrate, si sono cercate, infine si sono ritrovate. Sono donne che corrono e, correndo, rivendicano il diritto necessario ad esistere, a conoscere e riconoscersi; parlano, danzano, giocano, raccontano il rammarico del tempo trascorso, sono donne che corrono, come il tempo che fugge via, ladro di vita, fra parentesi di felicità a intervallare i rovesci dell’esistenza.
Sono donne che corrono non fuggendo dalla vita, ma inevitabilmente correndole incontro, non potendo (e nemmeno volendo) sottrarsi, “perché il fatto è che la vita è”, come s’afferma quasi a tautologica chiosa finale.
Sono donne che corrono e, correndo, portano in dote un’emozione, che dal bosco cupo del confino iniziale raggiunge la luce empatica dell’applauso finale.

 

 

 

 

Donne che corrono
testo
JayBlue
regia Massimiliano Foà
con Rossella Massari, Arianna Ricciardi
produzione Vernicefresca Teatro
lingua italiano
durata 45’
Torre del Greco (NA), Magma Teatro Club, 25 marzo 2017
in scena 25 marzo 2017 (data unica)

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