“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Friday, 10 March 2017 00:00

La magia della Fura: elementi, flamenco, passione

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L’emozione del Teatro Comunale di Bologna, l’emozione di assistere finalmente ad uno spettacolo de La Fura dels Bauls, l’emozione di ascoltare le musiche di Manuel de Falla – che scrisse questo balletto nel 1915 su richiesta espressa di una tra le più grandi danzatrici di flamenco del tempo, Pastora Imperio – si sono stratificate come i colori sullo sfondo del palcoscenico, a bande orizzontali: rosso sotto, nero al centro (con montagne), carta da zucchero che volge all’alba sopra.

Appare presto la scritta “Todo para todos”, a sancire un’uguaglianza non soltanto politica, ma anche emozionale. Il messaggio di fondo, come da me interpretato, è l’equiparazione, negli esseri umani, di stati d’animi e di sofferenze, o invece di adrenaliniche esaltazioni, quando si scende nell’arena dei sentimenti. Le emozioni azzerano le differenze soggettive, invalidano i diversi spessori morali e ci rendono uguali, inermi, prede del dio – che è anche diavolo – della passione. O forse tale divinità, sostanza immateriale sovrumana, è uno stregone, o una strega. El amor brujo significa difatti “L’amore stregone”. In questa favola inclassificabile si alternano danze, proclami d’amore e sinistri malauguri, canti e confessioni, letture di carte e altre divinazioni. Il compositore andaluso, cattolico, voleva dare al “suo” (parimenti andaluso) flamenco, la musica nomade del popolo gitano, la dignità di un’arte nobile. Il termine flamenco deriva infatti dalle parole arabe felag“ (contadino) e mengu” (errante, fuggitivo) e sta quindi ad indicare una condizione sociale non certo elevata ed una esistenziale di instabilità e precarietà. Di contro, la motivazione de La Fura dels Baus è quella di portare avanti l’arte popolare, la mezcla del teatro-danza, l’idea del collettivo. Un ritorno alla spontaneità e semplicità delle origini, in un certo senso, e una ricerca della coralità oggi spesso smarrita.
Sul palco si alternano spose in gabbia, o in caverne, coppie im-possibili e desideri arditi, scenari avanguardisti, lamenti e inseguimenti, maledizioni, con il sostegno esistenziale, oltre che scenico, degli elementi ancestrali più potenti: il fuoco e il suo tormento che è però anche il fulcro della passione, l’acqua e la sua purezza, che è anche però getto o cascata improvvisa e destabilizzante, l’aria che le balze delle gonne delle donne che danzano il flamenco smuove e agisce e che alimenta il materializzarsi degli eventi, un’aria visibile, corporea.
Il sottotitolo dello spettacolo è El fuego y la palabra (“Il fuoco e la parola”) e sembra che l’uno, stato interno di inquietudine, produca lo zampillare dell’altra, manifestazione materica, nella figura del personaggio femminile che non si dà pace per il tradimento e la fuga del suo “novio” (sposo). Lei lo benda di bianco, come per tenerlo a sé, ma lui va via e tramite il togliersi progressivamente gli strati del suo vestito, la sposa si disfa e si accascia, anche psicologicamente, su uno sfondo porpora che sa di sangue.
Tra carte e profezie si leva una nota che somiglia a un tamburo accennante un suono rivoluzionario. Metafora di ritrovamento, di riunione...? No, la distanza permane e torna l’acqua che non lava, né leva, lo strazio della distanza: lo diluisce, tutt’al più, ampliandolo. E allora la purificazione dell’anima “dannata” troverà il suo tentativo di compimento in scie d’incenso. Ma la sposa continua a cercare la sua metà dovunque: finanche su un macchinario mobile, una sorta di capsula spaziale, simbolo, come il fuoco che arde, di solitudine e distanza. Eppure ella continua a inseguirlo, a cercarlo, e a cercare se stessa, tramite la ricerca spasmodica di lui, guidata dalla passione, dal flamenco, dalla forza primigenia degli elementi, da quella cinetica di macchine e coreografie, da quella musicale di orchestra e di lamento zingaro, dalla ruota che gira come una palla dorata che è fuoco e sole. Il cerchio si chiude dopo che lo sposo ritorna e lei si vendica con anatemi e gesti apotropaici. La fine è un elogio alla ricomposizione affettiva e alla riscoperta amorosa: “La grazia è quando alla fine della strada c’è qualcuno che ti aspetta”. Questa frase conclusiva è suggello e garanzia di sopravvivenza mnemonica e fisica, emotiva e spirituale, in un potente animismo quasi prosopopeico abitato da corpi sensibili produttori essi stessi di arte attraverso il canto e il movimento.

 

 

 

 

El amor brujo (El fuego y la palabra)
di
La Fura dels Baus
da Manuel de Falla, Gregorio Martínez Sierra
direttore Felix Krieger
regia Carlus Padrissa
con Esperanza Fernández, Alfonso Miranda, Fuensanta Blanco, Martí Corbera, Yaiza Espigares, Albert Hernandez, Pol Jimenez, Montse Selma, Axel Tellez
chitarra Miguel Angel Cortés
orchestra Andalusia Youth Orchestra (YOA)
orchestra director Manuel Coves
coreografie Pol Jimenez
costumi Chu Uroz
luci Carles Rigual
produzione TCBO
in collaborazione con Festival Internacional de Granada (Spagna), Teatro de la Opera Municipal de São Paulo (Brasile)
lingua spagnolo
durata 1h 20'
Bologna, Teatro Comunale, 15 febbraio 2017
in scena dal 14 al 19 febbraio 2017

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