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Tuesday, 07 March 2017 00:00

Tempus fugit

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“E gli uomini se ne vanno a contemplare le vette delle montagne, i flutti vasti del mare, le ampie correnti dei fiumi, l’immensità dell’oceano, il corso degli astri, e non pensano a sé stessi”.
(Sant'Agostino da Ippona)



Etereo ed effimero l’affannarsi di una vita all’inseguimento di qualcosa d’inafferrabile come i sogni cullati nel passato; un inseguimento che comporta spesso che ci si lasci alle spalle quarti di vita non vissuta, morsi di gioia non assaporata, emozionalità sospesa e lasciata ad aspettare; colpa di uno sguardo discosto o distratto, perso dietro “le nuvole e la fantasia” e che poi magari ritorna presente a se stesso e alla consapevolezza del proprio perduto vissuto quand’è ormai troppo tardi per riafferrarlo.

Un’elegia del tempo che scappa tra le correnti ascensionali dell’etereo portandosi dietro brandelli di vita, questo è Desidera di Teatro nel Baule, delicata raffinatezza di parole rarefatte e simbolicità efficaci che istoria su scena l’inesorabile scalfittura del tempo sull’animo fragile di chi abbandona se stesso alla mercé dell’intangibile per poi finire ostaggio malinconico della memoria di possibilità non concretate.
Sentimento del tempo e valore della memoria, Desidera è la ricerca a ritroso e inesausta del passato che più non ritorna e che muove dalla comparsa di un uomo di trascorsa gioventù che attraversa la scena con un brogliaccio di fogli in mano; qualcuno lo perde, mentre curvo nell’incedere, la schiena arcuata sotto il peso degli anni, muove concitato verso un tavolo a cui sedere, tentando di entrare in contatto radio con qualcosa a cui ha consacrato la propria vita: il cielo e le stelle, e i mezzi tecnici per puntare verso l’alto, dimentico di tutto il resto.
I fogli, di carta come gli aeroplanini che estrarrà dalla tasca o dalla collottola, cammin facendo si sparpaglieranno all’intorno, tracce e retaggi di un passato che si paleserà in scena sotto forma di retrospezione, sguardo rivolto al trascorso di un amore perduto. E in fondo cos’è la carta, se non il supporto preferenziale su cui imprimiamo tracce d’inchiostro per trasformare la parola in memoria?
Su un lato della scena un letto bianco e sfatto, simulacro di un amore coniugato al passato, e un paravento su cui è adagiata una vesticciola; una porta sul fondo, altre ai lati, segni di dinamico passaggio fra oggi e ieri, anditi temporali il cui attraversamento conduce simbolicamente a giocare sui piani del reale (presente e passato) e su quello di ciò che era stato possibile ma è rimasto irrealizzato.
Se questa è la vicenda in abbrivio, a farla decollare pensa poi la sapienza teatrale che la sorregge, fatta sia di una regia attenta che sa rendere omogeneo il flusso narrativo fatto di rimandi e salti temporali che confluiscono in un unicum ben amalgamato, e sia di capacità attorale, che esprime – più coi gesti che con le parole – un linguaggio intriso di malinconia e leggerezza ad un tempo, facendo leva sul sorriso indotto dalla giocoleria suggerita dall’incedere e da certa gestualità da pantomima, fatta di movimenti rapidi e agili – valga a mo’ di esempio il gesto con cui Dimitri Tetta nei panni dell’anziano, tira su da terra un foglietto alzandolo coi piedi e portandoselo alle mani – una gestualità in cui riconosciamo una cifra stilistica già apprezzata in precedenza (penso a Paporreta infame, spettacolo col quale facemmo conoscenza con Teatro nel Baule) come stilema appartenente al bagaglio di questa compagnia.
In scena tre uomini rappresentano la stessa persona in fasi differenti della vita: sono vestiti in maniera pressoché uguale, con un dettaglio a differenziare l’uno dall’altro, così differenziando un segmento di vita da un altro segmento (un gilet, delle bretelle, una giacca fungono da connotazione minima e differenziale).
Il sentimento del tempo abita la scena con la sua malinconia memoriale, la musica di un vecchio valzer contribuisce a velare di patina antica la visione del passato, mentre l’essenza di un uomo, nelle sue tre declinazioni temporali, viene fuori in tutta la sua delicata fragilità, mentre lo sguardo “anziano” si volge indietro, ad un bacio appassionato con la donna che è il fulcro di quest’elegia memoriale e che assume due sembianti al passato – quelli di Simona Di Maio e Amalia Rocco – mentre è assente al tempo presente, se non come proiezione e rimpianto, volo di una fantasia che non vuol più obnubilarsi.
Una proiezione che giunge fino a consumarsi come confessione amara: “Ho sempre agito come se qualcosa superasse in valore la vita umana: Ma per che cosa? Perdonami, Simona. Non si può tornare indietro”. Sicché la consunzione della vita si realizza nel procedere del tempo, incocciando anche nella comparsa della morte, che strappa via un affetto non pienamente vissuto e privato anche dell’estrema consolazione dell’ultimo saluto, perché il nostro protagonista ha sacrificato tutto, compreso se stesso, alle nuvole e alla fantasia, all’inseguimento delle stelle, dimenticando se stesso e l’amore.
Fino al cambio di prospettiva, forse tardivo, sicuramente melanconico, che vede ricomporsi in scena coi pochi arredi – ribaltando un tavolo e ponendovi innanzi un ventilatore – la carlinga di un aereo, col quale il vecchio sognatore dei cieli recupera un’idea dolce e struggente in nome della quale puntare alle stelle; all’etereo e all’effimero che di colpo assumono così valore concreto ancorché retrospettivo e che si traducono in un atto d'amore di se stesso e verso un sentimento non pienamente vissuto.
Per celebrare un passato che più non ritorna, per dare al presente il sapore dolce e amaro della tenerezza struggente.

 

 

N.B.: Su Desidera si veda anche:
Eliana Vitiello, Senza troppe parole (Il Pickwick, 1° maggio 2016)

 

 

Desidera – una storia d’amore e di stelle
drammaturgia
 e regia Simona Di Maio, Sebastiano Coticelli
con Giuseppe Brancaccio, Sebastiano Coticelli, Simona Di Maio, Amalia Ruocco, Dimitri Tetta
musiche originali Tommy Grieco
scene Damiano Sanna
disegno luci Paco Summonte
costumi Gina Oliva
foto di scena
Diego Bernabei De Nicola
produzione Il Teatro nel Baule
lingua italiano
durata 1h 15’
Aversa (CE), Nostos Teatro, 14 gennaio 2017
in scena 14 e 15 gennaio 2017

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