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Friday, 03 March 2017 00:00

Un tentativo di Tragedia, oggi

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O come buco è il terzo spettacolo della tetralogia di Giovanni Lo Monaco sui rapporti parentali.

Un percorso cominciato alcuni anni fa con You know, cui ha fatto seguito il primo studio su A fondo. Prosegue la riflessione critica sulla famiglia tradizionale che nasce come sintomatico disagio del nostro tempo e di cui Lo Monaco dice: “La vediamo difatti sminuzzarsi, in modo proteiforme, in diversi modelli il cui unico elemento di riconoscibilità e identificazione rimane il legame affettivo tra i suoi membri. Nella mia ricerca tento di portare questo elemento di disfacimento alla sua estremizzazione allo scopo di creare, nell’incrinatura vischiosa di relazioni che hanno smarrito il confine, un importante punto di domanda”.
O come buco tenta di ribadire la necessità di stabilire i rapporti sull’affinità che esiste tra persone che possono essere o solo sentirsi famiglia e lo fa riprendendo le modalità della tragedia greca (come anche l’impostazione tetralogica vuole fare) che pone la hybris al centro della questione.
Il nucleo attorno al quale gravita la famiglia moderna pare lo stesso che Eschilo, Sofocle ed Euripide avevano immaginato condizionasse le vite della generazione parentale in un mondo, quello classico/ellenistico, malato e incapace di sottomettersi ai valori e ai codici stabiliti. La hybris è la tracotanza, quel sentirsi superiore al dio e al destino, una colpa tramandata ineffabilmente da padre in figlio, un peccato che saranno i figli a dover espiare. Lo Monaco immagina che possa essere ancora valida nel nostro tempo e inventa una nuova Antigone e un nuovo Oreste protagonisti di una tragedia “da bagno pubblico” tutta incentrata sulla disperazione di una generazione che ha perso l’equilibrio e si porta addosso, come eredità paterna, insicurezze e fragilità.
Antigone e Oreste sono due figure irrisolte dai nomi altisonanti (scelta drammaturgica un po’ ingenua) che incontrandosi scoprono l’uno nell’altro una completezza che hanno sempre invano cercato. La regia gioca sull’anonimato: i due non si vedono ma stanno chiusi (nascosti) in due bagni del teatro comunicanti, spiandosi da un buco sul muro di mezzo. La cecità di Edipo che ha come conseguenza l’incesto può ancora essere la cecità dei nostri giorni: l’impensabile può ancora riaccadere e l’indicibile essere detto. Da un lato Antigone, affetta dalla paura del fuori, vive nascosta in quel bagno che è stato sin da piccola la sua casa e il suo rifugio mentre la madre, attrice ora scomparsa, era in scena ogni sera. Dall’altro Oreste che scappa dalle vicissitudini di un accadimento che ci viene introdotto all’inizio dello spettacolo ma di cui non sappiamo molto. La rapina in banca ad opera di uno sconosciuto che parrebbe essere proprio Oreste è un pretesto per condurre questo personaggio in fuga nella tana dove il regista/drammaturgo vuole fargli incontrare Antigone per riservarci un finale con tanto di svelamento e colpo di scena.
A sostenere un’idea tanto complessa pare non esserci nello sviluppo il climax desiderato; lo spettacolo si apre con la rottura della quarta parete: il direttore di sala (Paolo La Bruna) e una guardia  (Franz Cantalupo) mettono in allerta il pubblico dichiarando la presenza di un ladro nascosto in teatro. Ma il prosieguo è tanto ambiguo e tanto slegato dall’incipit che la reazione che ne risulta non è uno sperato coinvolgimento ma confusione in una corsa affrettata verso il finale.

 




O come buco
con Alessandro Rugnone, Marta Lunetta, Franz Cantalupo
e con Paolo La Bruna
scene Daniele Franzella
costumi Dora Argento
regia video Ester Sparatore
cameraman Giuseppe Vaiuso
interpreti video Serena Barone, Alessandro Rugnone, Gisella Vitrano
assistente alla regia Giovanna La Barbera
direttore dell’allestimento scenico Antonino Ficarra
produzione Teatro Biondo Palermo
foto di scena Michele Cricchio
Palermo, Teatro Biondo, 22 febbraio 2017
in scena dal 22 febbraio al 4 marzo

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