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Saturday, 18 February 2017 00:00

American storytelling

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Il saggio di Federico di Chio − American storytelling. Le forme del racconto nel cinema e nelle serie tv, edito da Carocci − scandaglia la narrazione audiovisiva statunitense analizzandone tanto le caratteristiche formali quanto quelle contenutistiche (tematiche, miti, eroi, valori...) dall'epoca del muto ai giorni nostri.

L'analisi proposta dallo studioso parte dai primi decenni del Novecento quanto è soprattutto il western, con il suo mito della conquista, a dare immagine a quel clima di ottimismo individualista che attraversa l'America. Lo spirito della libertà individuale celebrato da queste pellicole viene messo in scena attraverso la contrapposizione tra gli operosi coloni ed i loro antagonisti che alternano le sembianze dei banditi, dei pellerossa e dei grandi speculatori. Nel medesimo periodo, nei drama si mettono in scena le parabole ascensionali di protagonisti appartenenti al ceto medio-popolare o il repentino declino di ricche famiglie. Non sono poco le pellicole in cui compare una giovane donna fuorviata da sogni di ricchezza e successo che si palesano, nel corso della narrazione, come vera e propria deriva da cui la donna, rinsavita in extremis, riesce a salvarsi tornando ad occupare “il suo posto” al sicuro tra i valori tradizionali. In generale le opere di questo periodo hanno una struttura narrativa orientata al risultato che tende a garantire, sul finire del film, il ristabilimento dell'ordine iniziale.
Alla fine degli anni Venti il cinema americano è costretto a fare i conti tanto con l'avvento del sonoro, che sconvolge le modalità narrative, quanto con la grande crisi del '29, che assesta un duro colpo al sistema degli Studios hollywoodiani. Nel periodo compreso tra l'avvento del sonoro e la metà degli anni Trenta (Pre-Code Era) il Production code inizia ad essere applicato con maggior rigore rispetto all'inizio del decennio ed in tale periodo, sostiene l'autore, nei film viene concesso un certo spazio anche ai protagonisti negativi tra i quali troviamo non solo malavitosi ma anche ciniche figure femminili e poco di buono dell'alta società.
Le narrazioni degli anni Trenta dal punto di vista formale seguono una linearità strutturata per successione di tappe attrazionali dai legami deboli; manca ancora quella fluidità che si troverà nel  cinema hollywoodiano successivo. Secondo lo studioso i personaggi non sembrano in grado di gestire le situazioni in vengono a trovarsi e ciò risulta abbastanza scontato se si pensa che si tratta di “narrazioni in tempo di crisi” ove risulta difficile mettere in scena eroi risolutivi. Non a caso a risentirne è sopratutto il western visto l'incrinarsi del mito della frontiera e delle capacità performative degli eroi. Con il New Deal torna far capolino il sogno americano e con esso la figura dell'eroe. A partire dalla  metà degli anni Trenta si entra nel cosiddetto “cinema classico”, contraddistinto da una forma narrativa forte che presenta una progressione lineare in cui ogni sequenza prospetta problematiche che si risolveranno nelle scene successive. Mentre l'eroe del muto raggiunge l'obiettivo senza trasformare se stesso ed il mondo attorno a sé, l'eroe del cinema classico, invece, nell'agire modifica tanto se stesso quanto il mondo. A partire dalla fine degli anni Trenta un po' tutti i generi si trasformano ed il western torna in auge con i suo racconti volti a celebrare l'unione tra il progresso collettivo ed il sogno individuale. In diverse pellicole western si narra anche di pistoleri che, seppure poco inclini a sottostare alla legge, palesano un forte senso di giustizia.
A partire dall'applicazione rigida del Production Code la distinzione tra personaggio positivo e personaggio negativo torna ad essere netta ma si delinea un'articolazione interna ai due poli: non è infrequente che al fianco di un protagonista non del tutto positivo compaia un secondo personaggio incarnante il bene assoluto e lo stesso avviene per i ruoli negativi. A proposito di eroi, lo studioso segnala la presenza di due tipologie: l'official hero (un rappresentate delle istituzioni, integrato nella comunità, impegnato nel conseguimento dell'interesse comune) e l'outlaw hero (un individualista ed anticonformista che agisce in linea non tanto con ciò che impone la legge ma con ciò che ritiene giusto).
La drammaturgia classica frequentemente mette a confronto il soggetto e l'antagonista (l'altro) e/o il soggetto ed il deuteragonista (ciò che il protagonista potrebbe essere). Così facendo l'attenzione tende a concentrarsi sulle relazioni e non sul conflitto tra un bene ed un male assoluti. Nel cinema classico l'epilogo è tendenzialmente positivo pur richiedendo ai protagonisti sacrifici e rinunce.
Gli anni Quaranta rappresentano la cosiddetta “seconda classicità” di un cinema hollywoodiano indubbiamente scosso dagli eventi bellici che incidono sull'immaginario tanto che le produzioni del periodo palesano sovente il senso di smarrimento che attraversa la società (soprattutto nel noir e nelle varie tipologia di drama). Durante gli anni del conflitto è soprattutto il war movie a garantire il legame tra lo spirito di cooperazione e l'individualismo, tra il bene collettivo e la volontà del singolo. La rinascita del mito della frontiera e dell'espansionismo americano produce, dalla metà degli anni Quaranta, il rilancio del western che proprio in questo periodo inizia a vivere la sua stagione d'oro contraddistinta da uno schema narrativo che insiste nella giustificazione morale del ricorso alla violenza. Il noir ed il drama tendono invece a mettere in scena il disincanto e l'amarezza di chi ormai fatica a credere ancora nel sogno americano. Particolare rilevanza viene concessa alla fragilità e all'inadeguatezza del singolo di fronte ad una società sempre più massificata e diseguale. Il cinema noir del periodo tende a fissarsi sulla parabola esperienziale della “discesa agli inferi”, mentre il drama tende a prestare una certa attenzione al protagonismo della donna nella società e nel mondo del lavoro. Secondo l'autore il cinema degli anni Quaranta palesa una narrazione non più da “oggettiva, impersonale, procedente da un'istanza superiore, collocata a una giusta distanza dalle cose, si fa 'situata', incardinata nel soggetto inscena e nella sua interiorità, e dunque parziale. Corrispondentemente, lo spettatore perde il dominio sugli accadimenti” (p. 78).
A caratterizzare il cinema hollywoodiano del dopoguerra è sicuramente anche la crisi simbolica del maschio palesemente in difficoltà di fronte ad una società massificata che limita l'individualismo ed a figure femminili poco inclini a rinunciare all'indipendenza conquistata durante il conflitto. Secondo Federico di Chio la postclassicità degli audiovisivi statunitensi risulta sicuramente influenzata dalla diffusione della televisione negli Stati Uniti. Il western inizia ad affiancare numerosi telefilm per la tv alle grandi produzioni per il cinema. In generale i nuovi eroi sono, rispetto al passato, più deboli e privati del supporto della comunità. Muta anche la figura del detective borderline a cui si sostituisce spesso quella dell'uomo delle istituzioni integerrimo e dell'americano qualunque in balia di situazioni pericolose.
Ad inizio degli anni Sessanta se al cinema tanto la commedia che il crime mettono in scena situazioni più movimentate, in linea con le turbolenze del periodo, le produzioni televisivi si mantengono più convenzionali; il crime sul grande schermo propone situazioni cupe e violente mentre la produzione per la tv preferisce presentare integerrimi uomini delle istituzioni.
Di Chio sottolinea come “il malessere psicologico e relazionale dei personaggi [risulti] circoscritto alla sfera privata e, dunque, isolato dal contesto sociale, economico e politico” (p. 94). Rendendo il disagio un fatto individuale e patologico, il cinema evita di dare un'immagine della società malata nel suo insieme e tutto ciò appare in linea con la convinzione tipicamente americana che individua i motivi della debolezza o della devianza dell'individuo non alla società ma alla sua indole.
La famiglia resta una delle tematiche maggiormente affrontate dal cinema dell'epoca ed anche se  solitamente l'intento è celebrativo, non mancano pellicole che palesano la sua crisi. A differenza di quanto accade nelle tradizionaliste produzioni televisive, anche la figura femminile diviene problematica sul grande schermo nel suo dover trovare un equilibrio tra realizzazione lavorativa e vita domestica. Particolarmente interessante nel cinema del periodo è la figura del giovane sensibile e tormentato, magari ribelle ma in ogni caso ben lontano dall'assumere risvolti politici e sociali: il suo scopo non è tanto quello di cambiare il mondo, quanto piuttosto di trovare in esso una collocazione. Il saggio evidenzia come nella produzione postclassica si palesi tanto il difficile rapporto tra l'individuo e la comunità, che la degradazione dell'eroe che diviene spesso ambiguo e totalmente isolato dalla collettività.
La produzione cinematografica della seconda metà degli anni Sessanta si trova a dover fare i conti con spinte sociali, politiche e culturali che contestano alle fondamenta il modello americano ed il pubblico che affolla le sale è ora in buona parte composto da giovani maschi scolarizzati di classe media mentre le famiglie e la componente femminile vengono dirottate verso le produzioni televisive. Ad una produzione ad alto budget convenzionale Hollywood affianca opere rivolte al pubblico giovanile ove vengono trattate tematiche controverse incentrate su sesso e violenza. Se le produzioni più anticonformiste mettono in scena in maniera non lineare “antieroi irregolari, gravati dal senso del limite, che manifestano un'attitudine critica, spesso anche apertamente ostile […] verso l'autorità” (p. 109), le pellicole più conservatrici presentano invece narrazioni lineari in cui compaiono personaggi attivi e risoluti. In generale la produzione della New Hollywood è contraddistinta da risvolti amari, cupi e da scene violente. Secondo lo studioso “in taluni casi […] la rappresentazione rivela un consapevole approccio 'controculturale': quell'elemento così controverso e tuttavia costitutivo della storia de del carattere degli americani, che la narrazione mitica aveva sublimato e a volte addirittura rimosso, viene ora esibito in modo talmente insistito e iperbolico da rivelare al sua vera natura e la sua autentica funzione storica. Il processo si riscrittura operato dal mito viene in questo modo smascherato” (pp. 110-111).
A partire dalla fine degli anni Sessanta il western giunge al capolinea ma non mancano pellicole che presentando interessanti riletture del mito della frontiera. A dissolversi sono anche le figure dell'eroe sia outlaw (ora fragile, sbadato ed incapace di risolvere le situazioni) che official, (sempre meno fedele alle istituzioni ed ormai privo di legame sociale). Queste due tradizionali tipologie di personaggio lasciano il posto ad un antieroe privo di una visione del mondo e di riferimenti valoriali forti. Il cinema della New Hollywood si concentra quasi esclusivamente su personaggi maschili incapaci di raccapezzarsi nella nuova società, mentre la figura dell'eroe forte permane ancora in alcuni film giustizialisti. Il cinema della New Hollywood è contraddistinto da un ricambio generazionale degli attori, da un uso di una fotografia realistica che ricorre a focali capaci di allargare a dismisura i confini del visibile.
Sul finire degli anni Settanta l'immaginario americano e cinematografico inizia ad allontanarsi da quella critica, sfiducia e pessimismo caratteristici della New Hollywood eriemerge il mito del riscatto del protagonista di umili origini: il sogno americano sembra far nuovamente capolino. Tra la fine degli anni Settanta e l'inizio degli anni Ottanta Hollywood tende a concentrare i suoi investimenti su un numero limitato di pellicole spettacolari rivolte alle famiglie mentre non mancano film con scene violente rivolti soprattutto al pubblico maschile. “Se il melodramma giovanile degli anni Cinquanta-Sessanta e l'horror degli anni Sessanta-Settanta […] avevano radici nella repressione causata dalla struttura rigida, patriarcale o matriarcale, della famiglia, i teen drama e i teen horror di questi anni ci raccontano che i ragazzi, una volta liberati dalle autorità oppressive, iniziano ad aver paura di loro stessi, delle proprie emozioni e persino dei propri sogni!” (p. 123). Di quella critica espressa dal cinema dei decenni precedenti, le produzioni degli anni  Ottanta e Novanta pare restare solo il disincanto che non di rado si trasforma in opportunismo. Lo studioso segnala come insieme al riemergere dell'eroe forte maschile ritorna l'ordine patriarcale, mentre la figura femminile indipendente, già poco presente nei film della New Hollywood, prende spesso le sembianze della moglie egoista.
Nel volume viene sottolineato anche come la serializzazione di alcuni film d'azione o d'avventura corrompa la modalità di narrazione forte visto che la necessità di giustificare nuovi “episodi” proibisce al protagonista di risolvere definitivamente la minaccia contro cui combatte. Anche nel cinema hollywoodiano degli anni Ottanta e Novanta non mancano comunque opere di denuncia sociale e, finalmente, anche in tv le narrazioni iniziano ad essere meno stereotipate.
La grande novità introdotta dai decenni che chiudono il Novecento è comunque sicuramente l'aprirsi dell'era digitale e con essa la convergenza tra Studios, Broadcaster televisivi ed internet. A questa ultima trasformazione è dedicata la parte finale di American storytelling.

 

 

 


Federico di Chio
American storytelling. Le forme del racconto nel cinema e nelle serie tv

Carocci Editore, Roma, 2016
pp. 192

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