“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Wednesday, 08 February 2017 00:00

Salvare qualcosa del tempo in cui non saremo mai più

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Un ritratto generazionale, la storia della sinistra francese, la vita di una donna. Questo romanzo si può leggere in tanti modi, come un resoconto e un’introspezione. A partire da una serie di fotografie in cui si riconosce, mai nominata, la scrittrice. Ed essendo una scrittrice francese non possiamo che fare riferimento ad alcune pietre miliari che l’hanno preceduta nella sua tradizione letteraria, da Maupassant a sua maestà Proust, ma da ora in avanti in questa recherche dobbiamo annoverare pure il nome di Annie Ernaux.

Possiamo leggere Gli anni come un racconto dei racconti perché i fatti storici, il tempo in definitiva, porta con sé una narrazione. Ogni tempo ha la sua. La Seconda Guerra Mondiale vive due volte, quando è in pieno svolgimento e negli anni successivi, dentro un ambito familiare, mentre la bambina di quelle fotografie ascolta chi la narra. Così la guerra d’Algeria avrà altre voci che ne perpetueranno la durata. Per non parlare del Maggio francese: magari sarà quella stessa bambina oramai adulta a dire la sua.
Sembra dunque che la storia, il tempo, vincano comunque. In un continuo alimentarsi che trasforma il presente nell’attesa della sua metamorfosi epica. Resta sempre molto da tramandare. Eppure non è così. In realtà, anche questa traslazione diventa, da solida, friabile. Con il passare degli anni, il tempo stesso decade nell’intramandabile. Perché le voci si assottigliano, scompaiono, ai fatti si aggiungono altri fatti. E la bambina, progressivamente, vedrà scomparire all’orizzonte la resistenza, Vichy, la Francia liberata. Prima così dense, poi sfumate, infine un rumore di fondo destinato a perdersi nella sterminata oralità umana, un po’ come l’eco del Big Bang che dopo qualche miliardo di anni è diventato un’inconsistente radiazione del cosmo.
Se i numerosi riferimenti alla società francese, potrebbero sconsigliare la lettura di questo romanzo a un non francese, io invece ve lo propongo con forza, perché c’è qualcosa di essenziale che lo rende una delle opere autobiografiche più originali che mi sia capitata: dal rapporto con le fluttuazioni della storia e con le vicende di una vita, da Mitterand a Chirac, dai figli ai prodotti bio e le serie tv, nasce un sentimento che dall’autrice si erge erga omnes.
Le vicende di una vita possono essere la prima vacanza al mare, la scuola, l’università, l’insegnamento, la famiglia, la separazione, e costituiscono una dimensione lillipuziana a fronte dei processi e mutamenti universali. Eppure, nel romanzo, si coglie lo sforzo dell’individuo nel proteggere la sua indipendenza. L’indipendenza della piccola repubblica di se stesso che deve fronteggiare assedi concreti e morali. Come reagire dinanzi alla guerra d’Algeria? Cosa rivendicare nella Parigi già incendiata del 1968? Come dimostrare al mondo che i francesi non vogliono Jean-Marie Le Pen? Ci sarà da scendere in piazza e attendere con ansia i responsi elettorali ma la vita, intesa come abitudini ed esigenze proprie, non si arresta. Non è un caso che il rimpianto maggiore di Annie Ernaux riguardi il sesso, ovvero la cosa più intima, gravato da fardelli che non hanno smesso di sovrapporsi: prima la paura di restare incinta poi, quando finalmente è arrivata la pillola, il timore dell’Aids.
Intendiamoci, Gli anni non è un romanzo sulla nostalgia, è un’autobiografia dove mai compare la parola io, è la mescolanza di intimo e di pubblico che Annie Ernaux prova non tanto a districare ma ad accettare cogliendo le ragioni di una difficile convivenza. E allora l’individuo che vuole salvare qualcosa a cosa può rivolgersi? Intanto deve prendere atto che come soggetto resisterà, forse, nei ricordi di una sola generazione, quella successiva dei figli, in secondo luogo che non può fare affidamento sulla Storia che schiaccia se stessa in quel cimitero di narrazioni a cui accennavo.
Può allora trasformarsi in un cacciatore di immagini appartenenti a quel “tempo in cui non saremo mai più”, in cui non siamo già più, attaccarsi a queste prede per ritardare il più possibile la loro caduta nell’oblio. Che giungerà, immancabile. Come recita la prima riga del libro. Ma se perfino la nostra di storia non ci appartiene, per dirla con Ortega y Gasset, tra l’altro citato come incipit della riflessione, ci è concesso giusto questa. Solo questa.

 

 

 

 

Annie Ernaux
Gli anni
(Les années)
traduzione di Lorenzo Flabbi
L’orma editore, Roma, 2015
pp. 266

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