“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Tuesday, 31 January 2017 00:00

"The Pride", orgoglio senza pregiudizio

Written by 

Zingaretti si concede la prima regia di una pièce teatrale, The Pride, particolare per la trattazione “bi-temporale”, rilevante per il tema. Il plot si articola su due piani, uno contemporaneo, l’altro sito a metà del secolo scorso; entrambe le storie si svolgono a Londra e in entrambe i protagonisti sono tre: due uomini, una donna, ed hanno in entrambe gli stessi nomi.
La distanza cronologica e il differente periodo storico e culturale non sono gli unici elementi che sembrano porre agli antipodi le due storie: i rapporti dati, di partenza, e le modalità di vita scelte, professate e praticate sono molto diversi. Eppure, qualcosa unisce profondamente le due storie: l’omosessualità dei due protagonisti maschili.

Zingaretti ha scelto di rappresentare le caratteristiche, le difficoltà, le sofferenze di quattro persone che faticano a comprendere, assecondare, realizzare i loro sogni e desideri più intimi. Zingaretti, con lo spettacolo tratto dal testo The Pride del greco-britannico Alexi Kaye Campbell, ci racconta, in ultima analisi, la normalità del sentimento amoroso tra persone dello stesso sesso che vive, pur nelle differenze soggettive, storiche, morali, culturali, il medesimo pàthos e la medesima intensità e si fa naturalmente uguaglianza.
Quadro 1 – Nella Londra del 1958, vi sono i coniugi Philip e Sylvia, lui agente immobiliare, lei disegnatrice reduce da un esaurimento nervoso, e c’è poi lo scrittore di libri per ragazzi, Oliver.
Quadro 2 – Nella Londra del 2015 vi sono Philip e Oliver, ex fidanzati, e Sylvia, amica peperina e intraprendente di Oliver, l’uomo lasciato dal suo compagno e in crisi profonda.
Quadro 1 – La Sylvia degli anni ’50 ritorna al lavoro e alla vita dopo la preoccupante fase depressiva collaborando con i suoi disegni con lo scrittore Oliver. Entusiasta di ciò, presenta Oliver al marito Philip; i tre vanno insieme a cena. Nell’aria inizia ad aleggiare una strana atmosfera tra Oliver e Philip, prima di dialogo fitto tra i due, poi di allontanamento progressivo di Oliver da parte di Philip.
Quadro 2 – Oliver, disperato perché Philip lo ha lasciato da qualche giorno, invita a casa sua un giovane travestito da gerarca nazista che lo distragga e allieti. Ma non riesce a lasciarsi andare se non in chiacchiere ai limiti del surreale. Nel bel mentre di queste, Philip torna a casa per prendere le sue ultime cose e vede la scena del giovane nazista, rimanendo esterrefatto. Si capisce, dalle parole roventi che i due si scambiano, che Oliver ha tradito più volte Philip e che questo è causa della loro separazione.
Quadro 1 – La vicenda prosegue con scambi dialogici tra i coniugi, che spesso Sylvia fa ritornare sullo scrittore, con un’intuizione che diviene man mano sospetto; in questi dialoghi emerge la soddisfazione di Sylvia per il suo recupero emotivo e lavorativo, l’incompleta comunicazione tra i coniugi, con sospesi verbali primari, l’inconscio che vede la donna spingere il marito verso Oliver e il progressivo disvelamento dell’insoddisfazione esistenziale di Philip, mentre Oliver resta nelle retrovie, anche se soltanto fisicamente. Il linguaggio è pacato, i contenuti meditati, indiretti, trattenuti. Avanza il senso di disagio di Philip, il triste presentimento di qualcosa che non va da parte della moglie, la difficoltà di comprensione, accettazione, affermazione, cambiamento. Il freno perbenista di una società che concepisce esclusivamente rapporti tradizionali è molto evidente.
Quadro 2 – La vicenda prosegue con le confessioni di Oliver a Sylvia, la sua migliore amica. Egli non riesce – sostiene – a non tradire Philip. Si definisce un debole, un emotivo, ma ama l’ex compagno, accentua in maniera melodrammatica il suo dolore, e accentra su di sé le attenzioni dell’amica fidata, monopolizzandola a discapito del di lei nuovo ed entusiasmante rapporto amoroso. I siparietti tra i due sono molto divertenti e simpatici, del tutto contemporanei. Il linguaggio è sfrontato, ironico, diretto. Il disagio deriva proprio dalle difficoltà dell’esercizio di una pressoché assoluta libertà, la cui mancanza di definizione e di cornice diventa complicata gestione e ancor più difficile scelta. La possibile anarchia sfrenata e rapsodica della contemporaneità è molto evidente, anche nella storia tutta eterosessuale di Sylvia, alla continua ricerca, un po’ esaltata e troppo caricata di emotività, di un uomo.
Quadro 1 – La crisi tra Philip e Sylvia si amplia. È successo qualcosa. Philip rifiuta di sentir parlare di Oliver. Sylvia decide di parlare con Oliver, per andare a fondo alla questione. Ma lei già sa, in cuor suo, di essere stata il trait d’union tra i due uomini. Durante questo dialogo, ne ha la conferma. La cultura dominante degli anni ’50 del ‘900 impediva di fatto alle persone di esprimere se stesse, di essere se stesse.
Quadro 2 – Grazie a Sylvia, paziente pur nella sua irruenza simil-punk, e grazie al Pride, Oliver e Philip si rincontrano e, nel clima di festa e partecipazione della manifestazione, si riavvicinano, dando l’impressione di un rinnovato, eterno amore, in un’atmosfera di libertà serena e piena.
Il costume e la giurisprudenza hanno colmato, in diversi Paesi occidentali, questo insopportabile e iniquo gap riguardante le persone omosessuali, ma solo in parte. La fragilità di molte persone omosessuali deriva di certo dalla Storia, dal suo bagaglio di soprusi e nascondimenti, quando non da persecuzioni, dall’invisibilità politica ancora troppo diffusa, da un senso di colpa perpetrato dal bigottismo e dal maschilismo imperanti. Deriva pure, certo, come però ugualmente accade in rapporti eterosessuali, dal libero arbitrio che è caotica irresponsabilità e dalla crisi della politica, dell’economia, della cultura – che è ricerca, sforzo, sacrificio – ma questo discorso, a mio avviso congruente e complementare, apre degli scenari che meriterebbero una trattazione a sé stante e che perciò per ora tralascio.
Quanto alla qualità dello spettacolo, oltre che apprezzare, e plaudere a, la scelta della tematica trattata – che ha bisogno di essere sdoganata e vivere di vita normale – ne rilevo la riuscita complessiva: regia sobria e lucida, prove attoriali essenziali e convincenti – spicca su tutti Maurizio Lombardi – scenografia semplice ma curata, fluidità discorsiva e scenica, formale e sostanziale. Bella la sorpresa finale di tanti palloncini colorati che salgono verso l’alto, a portare e rappresentare la leggerezza e l’apertura del cuore, contro ogni forma di limitazione dell’altro e della libertà, contro ogni pregiudizio. Pride, in inglese orgoglio, è la limpidezza e la fierezza di vivere e dire se stessi, senza privazioni, senza mistificazioni o barriere, poste da sé e dagli altri. Allo Zingaretti regista questo dire con naturalità di una naturale condizione umana riesce piuttosto bene.

 

 

N.B.: su The Pride si veda anche:
Eliana Vitiello, Fieri d'amare, (Il Pickwick, 19 febbraio 2016)



The Pride
di Alexi Kaye Campbell
traduzione Monica Capuani
regia Luca Zingaretti
con Luca Zingaretti, Valeria Milillo, Maurizio Lombardi, Alex Cendron
scene André Benaim
luci Pasquale Mari
costumi Chiara Ferrantini
musiche Arturo Annecchino
produzione Zocotoco S.R.L.
lingua italiano
durata 2h 30'
Bologna, Arena del Sole, 21 gennaio 2017
in scena dal 19 al 22 gennaio 2017

Leave a comment

il Pickwick

Sostieni


Facebook