“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Saturday, 10 December 2016 00:00

La luce calda del desiderio

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Fuori è un freddo di fine autunno, un freddo da tremare, da fermarsi al bar del teatro per mangiare cioccolata con le noci. I tappeti, i rivestimenti interni, il legno, l’oro, i piccoli palchi, tutto ci riporta al desiderato caldo. Il freddo l’abbiamo lasciato alle spalle, dietro i vetri dell'ingresso. Lo ritroviamo solo a sipario ormai aperto, quando Blanche DuBois, in un giorno estivo, scende dal tram ai Campi Elisi di New Orleans, in cerca di sua sorella Stella. La scena è in penombra, la voce di Blanche tremante.

La casa di Stella e suo marito Stanley è ricostruita piccina sulla scena in una scatola rettangolare che contiene le cose essenziali: la cucina, il letto, una lampada tutto in un unico locale. Dietro una tendina, a sinistra, il bagno. Dall’unica finestra e dalla porta si intravede uno scorcio di vicolo. È tutto lì il mondo di Stella, come una casa di bambole in una scatola delle scarpe e Stella sembra essere una bambola con i suoi capelli dorati. Quello di Stella è un mondo senza raffinatezze, dove l'essenziale coincide col bello e le parole utili ad uno scopo, che siano funzionali o offensive, sono le uniche che valga la pena dire. A portare l’arte, chiamandola “magia” o “bugie” sarà Blanche. Il suo arrivo coincide con il modificarsi della luce che da fredda diventa calda. Adesso, anche da spettatori, percepiamo l’arsura dell’estate che sfinisce il corpo e i pensieri. La luce calda rende tutti più rosei e camuffa i tratti del volto. E quello che Blanche più di ogni altra cosa desidera è essere giovane ed attraente. In fuga da un passato terribile si ricostruisce una giovinezza artificiale con le sue capacità magiche.
I personaggi belli e dannati di Un tram che si chiama desiderio sono portati in scena dal regista cileno Cristián Plana con particolare attenzione alla loro psicologia. L’essere interiore di ognuno si mostra attraverso il linguaggio verbale ma anche quello del corpo e addirittura i costumi. Più composta Blanche nei suoi piccoli movimenti, anche quando seduce. Ampi e addirittura alcune volte eccessivi i movimenti degli altri personaggi che distruggono ciò che li circonda per rozzezza dei modi. La sensualità di Stella che ormai si è conformata all’ambiente in cui vive è più sciatta, dai movimenti ampi e molli rispetto a quelli della sorella. Si viene a creare poi un taglio netto tra i ranghi con la scelta dei costumi: in stile country gli abitanti dei Campi Elisi che indossano stivali e camicie da cowboy e più classica la piccola Blanche che invece ha un guardaroba elegante, con diademi di strass e abiti leggeri. Un po’ al limite dello stereotipo per un teatro che vuole essere attento all’individuo.
In realtà è Blanche a rompere gli equilibri di una situazione che, sebbene caotica, sta in piedi da diversi anni. Tanto che le sorelle faticano a riconoscersi. Più volte è ripetuto da Stanley che da quando è arrivata Blanche le cose hanno preso una cattiva piega. Questo non giustifica la violenza di un uomo che desidera, più di ogni altra cosa, far valere i diritti di proprietà di sua moglie su una vecchia e grande tenuta che per legge sarebbero anche i suoi.
Nella piccola casa in cui tutti hanno le loro ombre, pian piano comincia ad accendersi la luce. Vecchie storie del passato sono svelate e atroci violenze sono vissute nel presente. Non esiste via di fuga se non il piccolo bagno oltre la tendina. Eppure chi è lì, concentrato solo su sé stesso e lontano dalle luci di scena e degli occhi, è comunque presente. Nel bagno, è risaputo, si canta e Cristián Plana fa cantare i suoi attori. Blanche canta facendo un bagno rilassante mentre in scena si trama contro di lei.
Nel finale il regista fa in modo che la casa diventi sempre più piccola, allontanandosi sullo sfondo. È una trappola angusta. Blanche ormai perduta e lontana da tutti percepisce in modo confuso anche le parole che le vengono rivolte, come se le voci rimbalzassero di parete in parete prima di raggiungerla. Un effetto tecnico perturbante.
L’opera messa in scena in un unico atto di due ore cattura l’attenzione su quel piccolo fuoco che è la casa montata sull’ampio palcoscenico non solo per le vicende attraenti della trama ma anche per l’opera degli attori che pur non chiamandosi Marlon Brando hanno saputo accompagnarci nel loro groviglio di strade interiori.

 

 



Un tram che si chiama desiderio
di Tennessee Williams
traduzione Masolino D’Amico
regia Cristián Plana
con Mascia Musy, Massimiliano Gallo, Giovanna Di Rauso, Antonello Cossia, Mario Autore, Antonio De Rosa, Antonella Romano
scene e costumi Angela Gaviraghi
disegno luci Cesare Accetta
interprete di scena Patricia Pribanic
assistente alle scene Marco Di Napoli
assistente ai costumi Alessandra Gaudioso
direttore di scena Antonio Gatto
capo elettricista Peppe Cino
capo macchinista Enzo Palmieri
fonico Stefano Cammarota
collaborazione organizzativa Aldo Miguel Grompone d.i.
foto di scena Marco Ghidelli
produzione Teatro Stabile di Napoli, Fundación Teatro a Mil – Cile
lingua italiano
durata 2h
Napoli, Teatro Mercadante, 2 dicembre 2016
in scena dal 30 novembre all'11 dicembre 2016

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