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Monday, 28 November 2016 00:00

La misura dell'ingiustizia

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Dramma dialettico estremamente complesso e intricato, Misura per Misura si caratterizza per la compresenza di una trama principale e trame secondarie che, sovvertendo parallelismi e rigide gerarchie, tendono continuamente ad accavallarsi in un ordito in cui è difficile individuare un tema dominante. Certamente, nell'immediato, emerge la corruzione della giustizia umana che si misura con un ideale di giustizia assoluto talmente lontano dalla condizione umana da sfuggire ad ogni tentativo di concretizzazione.

Al personaggio del vicario ducale (Angelo), si contrappone quello del Duca di Vienna, deus ex machina e occulto regista della rappresentazione, determinato ad imporre un modello umano capace di conciliare: giustizia e misericordia; giustizia e giustezza. Tuttavia, la seconda trama, quasi a smentire la prima, suggerisce altro e causa una deviazione, volontaria ed evidente. Lo stesso Duca, nello sforzo di superare una giustizia terrena inadeguata e ingiusta, sceglie di ricorrere all'inganno, un "onorevole inganno" nell'accezione utilizzata da Giorgio Melchiori e, in verità, sono molteplici e quasi diabolici gli 'onorevoli inganni' del Duca. È un inganno la sostituzione della pura e casta Isabella, concupita da Angelo, con Marianna, la promessa sposa ripudiata dallo stesso vicario ducale; è un doppio inganno, la sostituzione della testa di Claudio con quella di un galeotto deceduto, ed è attraverso inganni continui che il Duca porta avanti il suo piano volto a ristabilire la giustizia. Ma soprattutto, è lui stesso la personificazione dell'inganno scegliendo di travestirsi da frate, dopo aver studiato e appreso perfettamente la parte che gli consentirà di esercitare un ascetico controllo su tutta la sua ecumene. Dall'intreccio di queste due trame emerge con crescente chiarezza che giustizia e potere si alimentano e sostengono a vicenda, e l'esercizio arbitrario di entrambi è il terreno scivoloso in cui si muovono allontanandosi definitivamente dall'ideale di un sovrano assolutamente giusto e misericordioso. La perfezione umana non appartiene a questo dramma che, forse per questo, è il più adatto a calarsi e a rappresentare i rapporti dialettici, tra potere e giustizia, di ogni epoca.
In questa rappresentazione gli interventi di Laura Angiulli sulla drammaturgia e le sue scelte di regia condensano e preservano le insolubili ambiguità del dramma shakespeariano. Invero, i tagli operati, che consentono di concentrare la rappresentazione, non vanno a discapito né della comprensibilità del testo, né della percezione dell'articolato ordito di trame e sottotrame.  La scenografia, di Rosario Squillace, divide in modo netto lo spazio scenico in tre settori atti a garantire una contestuale immutabilità (tipica del teatro elisabettiano) in cui, tuttavia, è ben percepibile la tripartizione logistica del testo in 'luoghi simbolici'. Sul fondo, l'ambiente della strada, si muove con un vivace alternarsi di: ruffiani, prostitute, galeotti e guardie di scorta; è un pullulare di vita che si stacca dallo sfondo per intromettersi e prendere parola con l'irriverenza tipica di un moto perpetuo che nessun potere può arrestare e contenere. A sinistra e a desta si dividono l'assito il potere temporale e i luoghi 'consacrati'.
Gli attori, sono all'altezza dell'importanza del testo ed agilissimi a passare da un ruolo all'atro (alcuni di essi, come da tradizione shakespeariana, si calano in più personaggi); sta, infatti, nell'efficacia interpretativa l'esatta restituzione al pubblico dei conflitti interni che vanificano continuamente i confini netti tra il giusto e l'ingiusto. Basti pensare al personaggio che più di tutti, inizialmente, appare al di sopra ogni contaminazione con l'ingiustizia: la casta Isabella (Alessandra D'Elia); ebbene, nello sviluppo dell'opera, le sue azioni e le sue parole, tendono a 'sporcarsi', come bene la D'Elia riesce a far trasparire: per sé stessa non manca mai di sottolineare il suo schietto virtuosismo cristiano, sottraendosi con ammirevole sdegno puritano alla vile proposta del vicario. Salda in questo proposito non vacilla nemmeno un attimo nel suggerire al fratello di cominciare ad apparecchiare la propria anima alla morte, tuttavia è molto celere a cambiare radicalmente opinione in fatto di virtù quando il Duca-frate le propone l'inganno della sostituta; e per ragioni di opportunità economico/sociale, non esita, alla fine, ad intercedere in favore di Claudio.
La conclusione del dramma avviene al di fuori dei luoghi istituzionali, ai margini della città, in un non-luogo situato al confine tra ordine e caos in cui è allestita la farsa di un processo sommario in cui al teatro e alla recitazione viene delegata la giustizia. Non ci sono sentenze, ma colpi di scena il cui effetto è garantito dall'imprevedibilità e dall'assoluta lontananza da ogni legge precostituita. Colpevoli e parti lese non perdono di vista l'obiettivo di restare fedeli fino in fondo al personaggio che è stato loro assegnato, e il Duca/regista/frate approva e assolve ogni condotta prevista dal copione. Per tutti i crimini commessi, uno solo verrà sostanzialmente punito, e non è certo colui che si è macchiato delle colpe più gravi. Prestando bene attenzione, forse, il vero antagonista del Duca non è Angelo, ma Lucio (interpretato magnificamente da Stefano Jotti, che dà il giusto spessore a questo personaggio), che osa l'inosabile smascherando ipocrisie e finzioni, rivelando trucco e inganno.
E, in teatro, più che in tribunale, certi errori non possono ricevere perdono.

 

 

 

 

Misura per misura
di William Shakespeare
drammaturgia e regia Laura Angiulli
con Federica Aiello, Giovanni Battaglia, Agostino Chiummariello, Michele Danubio, Alessandra D’Elia, Luciano Dell’Aglio, Stefano Jotti, Gennaro Maresca, Vittorio Passaro, Maria Scognamiglio
impianto scenico Rosario Squillace
luci Cesare Accetta
assistente alla regia Flavia Francioso
tecnico luci Lucio Sabatino
produzione Galleria Toledo
lingua italiano
durata 1h 20’
Napoli, Galleria Toledo, 23 novembre 2016
in scena dal 22 al 30 novembre 2016

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