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Friday, 11 November 2016 00:00

Tondelli e il teatro, in camere separate

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della solitudine
Sto scrivendo questo libro “strappandolo letteralmente dalla mia pelle. Ci sono delle pagine che ho orrore di scrivere e che batto sui tasti del mio computer urlando come sotto tortura”.

Tondelli compone Camere separate mentre l'AIDS gli avanza nel corpo ma dall'esterno non si vede e, comunque, lui non fa nulla per mostrare segni di cedimento, necessità di stasi e recupero: moltiplica le collaborazioni giornalistiche; cura e fa pubblicare volumi di giovani autori; partecipa a convegni sull'attualità della letteratura; inventa progetti editoriali: per la Mondadori una serie di narrazioni tratte dal mondo della moda, della pubblicità e delle arti lavorative; con la Baskerville un volumetto artigianale (Biglietti agli amici), destinato ad avere un centinaio di copie; poi vola in Canada, per parlare delle influenze di Kerouac sulla prosa italiana, già pensando in che modo rivalutare lo scrittore, spesso marginalizzato dal viaggiatore sbronzo. Tiene conferenze, incontra gli studenti di liceo, rivaluta la figura di John Fante, cerca anche – qualcuno dice “soprattutto” – di fuggire al successo di Rimini, il libro che ha segnato il passaggio da Feltrinelli a Bompiani e che è stato accolto, da critica e pubblico, come “un volume di consumo”: con Rimini (e poi con Camere separate), si legge in qualche recensione, Tondelli si sarebbe avvicinato ai confini “commercialmente dignitosi, ma di discutibile qualità letteraria, della narrativa di genere”: “francamente da lui avevamo sperato ben altro”.
Lui, insomma, si lacera l'anima, “scrivendo sulla mia pelle e i miei pensieri”, mentre fuori lo sfiora la superficialità, quando non l'astio e la faciloneria dei giudizi: “Non sento più niente, mi sembra tutto circondato di un mantello d'indifferenza, mi scorre tutto intorno” per citare un passaggio di Camere separate che sia in grado di rendere il rapporto tra l'autore e una parte del resto del mondo.
Questo per dire che – rileggendo l'opera, dopo averne visto la messinscena – Camere separate di Tondelli mi sembra rendere soprattutto una condizione di solitudine e diversità che contraddistingue il suo personaggio e – d'altronde – sono proprio l'isolamento, percepito nella moltitudine, e l'estraneità a caratterizzare Leo, il protagonista del romanzo. “Lui si sente più solo, o meglio sempre più diverso” si legge immediatamente, e questa lontananza dagli altri non passa con lo sfogliare delle pagine tant'è che, a romanzo quasi terminato, prima si definisce “un reietto” e poi, con maggior precisione, fa di sé “un monaco”, un “eremita”: “questa” – conclude il pensiero – “è la sua diversità”.
È qui, a mio avviso, il vero dato autobiografico di Camere separate: è in questo mettersi nel racconto, nascondendosi nel racconto, il legame più stretto che unisce autore e opera, scrittore e personaggio.

in apparenza
In Camere separate abbiamo un uomo (Leo); quest'uomo conosce  un altro uomo (Thomas): lo cerca, lo attira, lo frequenta, se ne innamora, certe notti lo contempla mentre dorme, baciandogli in silenzio la pianta dei piedi, carezzandogli i fianchi, guardandogli le palpebre chiuse vibrare durante il sonno mentre quando ci fa l'amore è come se pregasse; Leo partecipa dunque alla vita di Thomas rendendo brandelli della sua, quasi concedendosi del tutto, avvicinandosi pelle a pelle, sesso a sesso, ma mai del tutto invece, mai del tutto veramente, nonostante il senso di perdizione, la tenerezza, l'amore, il contatto, il desiderio, le promesse: mai del tutto perché sente la necessità di vivere in camere separate, perché sente – forse – che questo “Leo-e-Thomas” che sembrano essere diventati non potrà comunque durare, perché è come se fin dall'inizio avvertisse l'incombere di una condanna o un richiamo inevitabile alla dura concretezza dell'esistenza, come se avvertisse fin dal primo giorno che sta per arrivare per Thomas la malattia, la degenerazione fisica e il ricovero in ospedale che separeranno l'uno dall'altro prima ancora che lo faccia la morte: “Il padre rientra. Leo capisce che deve andarsene. Thomas è restituito nel momento finale alla famiglia, alle stesse persone che lo hanno fatto nascere e che ora stanno cercando di aiutarlo a morire. Non c'è posto per lui in questa ricomposizione parentale. Lui non ha sposato Thomas, non ha avuto figli con lui, nessuno dei due porta per l'anagrafe il nome dell'altro e non c'è un solo registro canonico sulla faccia della terra su cui siano state vergate le firme dei testimoni della loro unione. Eppure per oltre tre anni si sono amati con passione, hanno vissuto assieme. Hanno scritto insieme, hanno suonato, hanno ballato. Si sono azzuffati, strapazzati, anche odiati. Si sono amati”.
Questo passaggio, che sarebbe da sbattere sul muso di chi si ostina a negare diritti agli esseri umani in (ir)ragione del loro orientamento sessuale, termina così: “È come se improvvisamente, accanto a quel letto d'agonia, Leo si rendesse conto di aver vissuto non una grande storia d'amore ma una piccola avventura di collegio. Come se gli dicessero vi siete divertiti e questo va bene. Ma qui stiamo combattendo per la vita. Qui è la vita in gioco. E noi, un padre, una madre, un figlio siamo le figure reali della vita”.
Irreale figura della realtà, Leo si astiene dal contesto in cui si trova – il luogo di nascita, la famiglia d'origine, la terra dalla quale proviene e una festa, la strada, un concerto, l'insieme di persone che affollano l'aeroporto, questo rapporto d'amore – restandone sulla soglia o lasciandosi la libertà, talora pavida, di abbandonare, fare un passo indietro, sottrarsi: lascio questa casa, cambio città, non m'interessa, ti amo ma preferisco che ci sia tra noi una distanza. “Leo era sicuro di una cosa: che non voleva vivere nella stessa città in cui Thomas viveva. Voleva continuare ad essere un amante separato, voleva continuare a sognare il suo amore e a non permettergli di infangarsi nella quotidianità”. Lui, leggo poco dopo, “era certo del suo amore per Thomas, lo voleva per tutta la sua vita, fino alla fine. Ma non nella sua camera”. Respinto dal reale (o non appartenente in modo pieno e riconosciuto ad esso) Leo respinge a sua volta il reale: compreso quello rappresentato da Thomas nella sua assoluta completezza. Quando l'altro si o ti annoia, quando non hai niente da dirgli, quando vorresti essere altrove, quando invecchi, quando i silenzi si allungano, quando sei nello stesso letto ma – chissà perché – non cerchi la persona che ti è accanto.

la resa dell'apparenza
Andrea Adriatico prova a rendere in scena questo romanzo complicatissimo, tale nella forma – perché diviso in tre “movimenti” all'interno dei quali Tondelli sperimenta una scrittura fatta di continui cambi di luogo e di tempo per cui dopo, prima, durante si alternano, a distanza di dieci righe, come si alternano interni ed esterni, l'Emilia e Barcellona – ma complicatissimo anche perché in grado di rendere l'abisso di un individuo e il crepaccio che lo separa dagli altri. Ci prova, Adriatico: all'ingresso fa distribuire alcuni dei Biglietti agli amici agli spettatori, prestabilendo un'esclusività empatico-relazionale; allestisce lo spazio ponendo i due attori su altrettante pedane circolari, posizionate in angoli opposti, e sistemando a parete una quarantina di sedie, così da replicare de facto uno degli spazi descritti nel romanzo: “Alle pareti della stanza sono addossati sgabelli”.
Ci prova, Adriatico, non commettendo l'errore di fare degli interpreti la caricatura mimetica dei personaggi; ci prova stabilendo una partitura composta di coreografie a specchio e di incontri, abbracci, relazioni e distacchi, di condivisione episodica ora dell'una o dell'altra pedana – a casa mia, a casa tua – ora dello spazio centrale tra le due pedane: i luoghi neutri, interni o esterni, previsti nel romanzo. Ci prova in questo modo cercando d'esaltare proprio la solitudine individuale, rendendola la condizione di partenza e l'oggetto di un continuo recupero per cui mi specchio in te fino a coincidere momentaneamente con te per poi tornare nel mio guscio, sotto la mia campana, nell'utero che mi sono lasciato alle spalle. Ci prova in questo modo perché – per citare l'opera – anche “le scenate fra di loro erano sempre circoscritte in un territorio del quale entrambi sapevano” e perché Leo sente sempre e comunque “l'interezza della propria vita abissalmente separata dai grandi accadimenti del vivere e del morire. Come se avesse sempre vissuto in una zona separata” dalla società.
Ci prova facendo dei due interpreti i portatori interni di una storia che Tondelli narra talora dall'esterno, alternando prima e terza persona, per cui Alberto Baraghini e Stefano Toffanin – più che Thomas e Leo – sono la testimonianza (epica, verrebbe da dire) di Thomas e Leo; ci prova metaforizzando dal punto di vista visivo: la marcia in senso antiorario per indicare il ritorno al passato; lenzuola e federe per le camere da letto; un filo che trancia lo spazio per indicare un legame, una coincidenza cronologica e un rapporto sessuale (“Una curiosità eccitata lo stringe alla gola”; “il ragazzo gli sta legando qualcosa attorno al membro”); due ventilatori senza pale che alludono agli oblò degli aerei, a specchi di casa, a televisori paterni col loro telecomando ma che fungono anche da lente d'ingrandimento offerta agli spettatori perché possano affondare lo sguardo nei dettagli di questa storia.
Ci prova, Adriatico, confermando la propria devozione allo scrittore e tuttavia – nonostante lo sforzo e la generosità attorale – Biglietti da camere separate mi sembra cedere, sul piano teatrale, alla narratività della fonte, alla dominanza assoluta delle parole che – in scena – restano parole, materia orale, flusso sonoro. “Il miglior personaggio dei tuoi libri è il linguaggio”, scrive d'altronde Tagliaferri a Tondelli, e il linguaggio – inteso come “prosa pura” – è ciò a cui Tondelli si dedica (“il libro, la scrittura, lo stile, il linguaggio” è ciò che lo perseguita, in fase di composizione, come scrive a François Wahl) ed è questo personaggio/linguaggio l'assoluto protagonista del libro: impone “ritmi musicali” alla narrazione, gioca con “la digressione, la memoria, il flash back”, giustappone “alcuni motivi che vengono continuamente ripresi”. Ineliminabile, alla fine il linguaggio s'impone anche nello spettacolo e dunque alla teatralità delle immagini, dei corpi attorali, del tempo solo presente del teatro, costretto a ridursi a rimando alla pagina scritta tant'è che Adriatico impone ai suoi attori i microfoni ad asta (verbalità dichiarata), momenti di accentuata frontalità verso il pubblico (comunicazione diretta), sonorità ulteriori, come prevede il dettato (da Emilia paranoica dei CCCP a We Can't Live Together di Joe Jackson) e un dire che prevarica il fare, l'agire, l'esistere. Così mi capita di cogliere, non di rado, negli spettatori la stanchezza e un bisogno di distrazione prima di ritornare all'ascolto.
A conferma di questo dominio eccessivo del lessico rispetto all'azione mi basta pensare a un momento dello spettacolo: gli attori si dirigono separatamente verso gli spettatori, ne scelgono uno e, impiantandosi al  cospetto del prescelto, gli impongono una frazione del testo; l'attore, in piedi, davanti allo spettatore, seduto: la scrittura, dall'alto, inchioda cioè verticalmente in basso chi osserva inducendolo a una visione che viene coniugata principalmente in ascolto.
È in questo modo che la letteratura mi sembra avere la meglio sul teatro o che il teatro – in questo Biglietti da camere separate – non riesce ad essere teatro fino in fondo, limitandosi spesso a re-citare la letteratura.

infine, un'altra teatralità possibile
Durante lo spettacolo, solo per alcuni momenti, vivo una suggestione e per scriverla parto da ciò che afferma Fulvio Panzeri: “L'opera di Tondelli, attraverso gli infingimenti del linguaggio usati per celarsi dentro una specie di guscio protettivo, svela” il ragazzo che progressivamente si fa uomo.
La teatralità di Camere separate, che Panzeri cita proprio come esempio, allora risiede non nel rapporto tra Leo e Thomas ma nel rapporto tra Tondelli e Leo, tra colui che scrive e colui che diventa la maschera o, se preferite, il riflesso di chi scrive. Questo rapporto tra personaggio e scrittore lo testimonierebbe d'altronde un passaggio dell'opera in cui Leo – che fa proprio lo scrittore – in metropolitana nota uno sconosciuto che legge un suo libro: “Quando pensa a questo episodio lo colpisce l'idea di essere stato sorpreso, nudo, da uno sconosciuto. Sente insomma quel libro, o altri che ha scritto, come il suo corpo spogliato. Non è un'emanazione di sé, una proiezione, un transfert ma proprio, realmente, il suo corpo”. Leggere le pagine scritte da Tondelli significa “addentrarsi nella sua pelle e nei suoi nervi” e “fare l'amore con lui, odiarlo, ricordarlo, sognarlo”.
Così, durante Biglietti da camere separate penso talora che i due attori non sono – o non sono soltanto – un rinvio a Leo e Thomas ma allo scrittore e al suo romanzo: per questo i movimenti a specchio, gli abiti identici, i due interpreti che sono portatori del punto di vista e della voce di Leo, una relazione di avvicinamento e distacco, di desiderio e ripudio, di dipendenza e indipendenza incostante. Ma poi subentrano gli elementi scenici già detti che smentiscono la mia suggestione o la rendono relativa, secondaria, meno evidente. Un peccato, penso. Perché il vero teatro di Tondelli non si nota nella forma leggibile dei suoi romanzi (esempio: l'immagine immediata e fulminea e la registrazione del presente di Altri libertini o Pao Pao), non nei testi che ha adattato (Il piccolo principe) o scritto per la scena (Dinner Party), né la si trova cercandola nei rapporti dichiarati che ha avuto con la drammaturgia (ad esempio quella di Testori) ma è proprio in questo mettersi in scena truccandosi da figura dei suoi libri, relegandosi in questo modo ad ombra dell'uomo che avanza nella pagina o − per meglio dire − la sua teatralità è nella scelta di rimanere dietro le quinte, nel retro e cioè nella camera separata che gli spettatori non vedranno e che è l'equivalente oscuro della camera a vista, posta nel pieno dei fari del palcoscenico: lì dove un attore, il personaggio, avanza al posto suo per recitare il testo.
Forse proprio dalla perlustrazione di questa camera separata, più segreta e più difficile da rendere, verrà domani il teatro di Tondelli.

 






Biglietti da camere separate
uno sguardo di
Andrea Adriatico
su Pier Vittorio Tondelli
con Alberto Baraghini, Stefano Toffanin
musiche originali Massimo Zamboni
cantate da Angela Baraldi
luci, scene e costumi Andrea Barberini
cura Saverio Peschechera, Alberto Sarti, Laura Grazioli, Daniela Cotti, Giulia Gemerali
tecnica Salvatore Pulpito
produzione Teatri di Vita
con il sostegno di Comune di Bologna, Regione Emilia-Romagna, Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo
Napoli, Nest − Napoli est Teatro, 6 novembre 2016
in scena 5 e 6 novembre 2016

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