“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Tuesday, 08 November 2016 00:00

Nelle Fibre di Pasolini

Written by 

Tappeto purpureo la scena nuda, la riempiono solo una poltrona di pelle e due microfoni inastati. Di Pier Paolo Pasolini le parole, di Licia Lanera la voce e il corpo che a partitura preesistente danno consistenza scenica in una rivisitazione in cui la regia della stessa Lanera si dedica al testo pasoliniano (Orgia) esplorandone le sfaccettature, ma soprattutto instaurando con esso una relazione dinamica e dialettica, che dialoga sì col testo, calandolo nella contemporaneità, ma che sembra prima di tutto metterlo in relazione con il Manifesto per un nuovo teatro di Pier Paolo Pasolini, traducendosi in particolar modo in una regia “funzionale”, in cui corpo, voce e visione registica si fanno tutt’uno per fondersi in una cassa armonica in cui risuoni il verbo pasoliniano che vede l’attore “non essere dunque interprete in quanto portatore di un messaggio […] che trascende il testo: ma essere veicolo vivente del testo stesso”.

È per questo che Orgia, nella sua rivisitazione portata in scena da Fibre Parallele, ci appare come un ben congegnato esercizio di regia critica, in cui Licia Lanera, letteralmente appropriandosi del testo – è da sola in scena per la quasi totalità della rappresentazione ed è veicolo unico della parola detta, agita e vissuta in scena – insuffla energia carnale in un testo, di per sé denso oltre la sua stessa “teatrabilità”, per renderlo vivo oltre la sua stessa verbalità. Sicché Orgia, nello splendido disegno luci di Vincent Longuemare, i cui tagli di luce sono squarci su corpo dolente, ci offre in visione una Licia Lanera che nel duplice ruolo di regista e attrice conferisce spessore alla teoresi pasoliniana, al contempo traslandola in un discorso coerentemente contemporaneo: contemporanei sono gli abiti che indossa e di cui si sveste (una tuta nera e felpata o un frusciante abito lungo), e contemporanea è soprattutto l’aderenza tematica di un gioco di possesso vittima/carnefice – di cui il testo è portatore – e che appare in scena come trasfigurazione al tempo presente di una dinamica trasversale al tempo medesimo.
Traspare la consapevolezza che quello messo in scena sia, oltre che uno spettacolo, un esercizio ragionato sul teatro, inverato dal testo stesso che più volte rimarca l’essenza intrinseca di una rappresentazione (“la vita è uno spettacolo”, “sì, noi stiamo dando uno spettacolo”, “lo spettacolo che diamo”, solo per citarne alcuni passaggi), un esercizio che s’arricchisce di senso carnale e dolente, perché se da un lato la scrittura teatrale di Pasolini – e anche la sua filosofia del teatro – denotano che la patina del tempo ne ha enervato la forza dirompente ed anche la pertinenza all’effettivo contemporaneo (c’è ancora un “nemico borghese” che un “nuovo teatro” deve combattere? Se sì, ne vanno comunque ridiscussi e ricalibrati termini concettuali e nominali), dall’altro lato c’è il lavoro registico e attorale di Licia Lanera, che quella scrittura e quei concetti rielabora in una forma capace di farsi specchio del reale, della sempiterna discrasia tra ciò che è e ciò che appare, rifrangenza cruenta dell’asperità ferale dei rapporti che possono sussistere tra l’Io e l’Altro, un tormento e un estasi che si esempla nella caravaggesca Maddalena in estasi, una delle tre tele (le altre sono di Lorrain e Furini) che calano sulla scena ad evocare senso ulteriore.
Spettacolo di complesso spessore concettuale, Orgia di Fibre Parallele, lascia tra palco e platea spazio a due riflessioni differenti, una specifica, l’altra strutturale. La prima risiede nella forbice percepita fra lavoro poetico e fruizione dello spettatore medio; in questo mi sembra che il discorso “programmatico” e “antiborghese” del teatro pasoliniano finisca per conoscere una specifica declinazione, in cui un pubblico – che potremmo definire “borghese” in senso molto estensivo – anziché essere colpito dalla penetratività del messaggio ricevuto, resta invece acritico rispetto ad uno spettacolo che, chissà, forse non ha compreso del tutto (almeno è quello che percepisco ascoltando commenti in sala), ma che ritiene meritevole dell’applauso, quasi a prescindere, sulla fiducia e per l’ammirazione che nutre per l’attrice in scena. Interessante sarebbe interrogarsi sul ruolo e sulla sostanza dello spettatore (degli spettatori) del teatro contemporaneo e cercare di indagare la stratificazione di un pubblico per comprenderne il grado di profondità e consapevolezza. Ma è discorso lungo e complesso, che non può esperirsi in una considerazione a margine.
La seconda riflessione su cui si rimugina dopo aver assistito ad Orgia riguarda il percorso di Fibre Parallele, compagnia che vive necessariamente una fase di transizione. L’uscita dal gruppo di Riccardo Spagnulo apre giocoforza una nuova fase e bisognerà comprendere in che direzione si muoverà una compagnia la cui produzione è stata una delle più interessanti nel panorama del giovane teatro italiano dell’ultimo decennio; non a caso, gli ultimi lavori di Fibre Parallele – Licia legge le fiabe e Orgia appunto – hanno visto in scena la sola Licia Lanera (cui nell'ultima parte di Orgia s'aggiunge Nina Martorana) e si sono appoggiati a scritture preesistenti su cui innervare poi un lavoro strutturato sì, ma che è diverso dalla creazione autonoma e originale. Sia chiaro, una cosa non esclude l’altra, ma è legittimo nutrire curiosità sulla direzione che prenderà la linea poetica di Fibre Parallele.
Le potenzialità sembrano intatte e la densità del lavoro trasfuso in Orgia appare come un solco in un terreno fertile in cui seminare, sui frutti del cui raccolto si può ancora ben sperare.

 

 

 

 

 

 

Orgia
di Pier Paolo Pasolini
regia e spazio scenico Licia Lanera
con Licia Lanera, Nina Martorana
assistente alla regia Danilo Giuva
consulenza artistica Alessandra Di Lernia
luci Vincent Longuemare
dipinti Giorgio Calabrese
costumi Antonio Piccirilli
produzione Festival delle Colline Torinesi, CO&MA Soc. Coop. Costing & Management
con il sostegno di L’Arboreto – Teatro Dimora di Mondaino
lingua italiano
durata 1h 15’
Bari, Teatro Abeliano, 15 ottobre 2016
in scena 14 e 15 ottobre 2016

Leave a comment

il Pickwick

Sostieni


Facebook