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Thursday, 08 September 2016 00:00

L'intenso viaggio in solitaria di Cat Power

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È una serata piovosa, umida, fredda. Sembra un’altra stagione rispetto al giorno prima.
È una Cesena vuota, scura, silenziosa. Sembra un’altra città rispetto a quella accogliente che avevo trovato in primavera.

Cat Power avrebbe dovuto suonare all’interno della splendida cornice della Rocca Malatestiana; invece, causa improvviso anticipato autunno, si è esibita al Teatro Verdi, uno spazio strano, quasi rotondo, privo di sedie, con tre ordini di gallerie, completamente vuoto al centro. Bello direi di no, dall’atmosfera molto fluida e vaga, un po’ alla David Lynch. Insomma, un luogo strano, del tutto diverso da quello previsto. E chissà se nello spazio aperto con grande prato della Rocca Potere del Gatto, questa artista dalla vita tribolata e dall’eteronimo sciamanico, avrebbe suonato con lo stesso substrato emotivo di dolce e dissonante tristezza che ieri sera l’ha accompagnata come un fil rouge, un leit motiv, o – semplicemente − come un generoso vino romagnolo. Forse il tempo atmosferico si è associato al mood prevalente di un’artista multiforme dalla personalità complessa.
E dunque, abbiamo visto il concerto in un ex-teatro, in piedi, vicini vicini, stretti stretti, con un caldo afoso dal sapore artificiale intorno. Lei stava invece larga sul palco, tutta sola, a muoversi tra chitarra e pianoforte − soprattutto ad usare la prima, visti i problemi tecnici di cattiva acustica e pessimo ritorno col piano che l’hanno portata presto, dopo diversi tentativi andati male di sistemazione e ottimizzazione, a lasciare lo strumento ed imbracciare di nuovo la chitarra, per poi riavvicinarsi all’amato pianoforte soltanto alla fine, per un lungo, tenue, intenso epilogo che ci ha letteralmente rapiti.
Ho temuto più volte che l’inconveniente del pianoforte la alterasse al punto da indurla a lasciare il palcoscenico – Potere del Gatto non è nuova a queste “uscite”… per l’appunto! −; invece ho verificato a fine concerto, con sorpresa, che la durata della performance è stata di un’ora e quaranta minuti.
La solitudine del palcoscenico di un luogo raccolto ha rappresentato la giusta distanza per un’artista delicata e umorale. Presenza minimale, ma calda e pubblico a tratti in apnea, altri svolazzante e un po’ distratto, ma sempre rispettoso della performance, e dell’eclettica cantautrice. Lei si è data con compostezza e partecipazione, unendo trame in apparenza distanti, col il suo talento e la sua sensibilità.
Le canzoni sono fluite come un unico grande e lungo momento, condiverse cover − tra le altre, dei Rolling Stones e di Ray Charles, e suoi pezzi spesso uniti, il precedente al successivo (dal fil rouge di cui sopra), in un unicum espressivo, come un poema, una nenia. È stato tutto molto intimo, sentito, erratico. La sua voce, dolce e graffiante proprio come quella dei gatti, ha riecheggiato di influenze folk, ma soprattutto di malinconie blues. Le visioni erano dolenti: di prateria oltre-oceanica che si attraversa da sé e di lei che non trova la direzione, la via, nonostante gli spazi infiniti, a causa forse di essi; di un paradiso che però non esiste, perché trovarlo nell’abbondanza sarebbe impossibile, cercarlo nel dolore, altrettanto. Dunque non pare esservi scampo, se non nella canzone, che è sonora trasmutazione della disperazione in un messaggio di auspicata – in fondo − condivisione.
Di questo concerto ricorderò l’intimismo delicato, le atmosfere invisibili e resistenti come ragnatela che Potere del Gatto ha costruito con sapienza, il Sangiovese che le ha ampliate e ammorbidite, una infinita tenerezza da lei suscitata e depositata nell’aria e nel cuore, e un desiderio intimo di chiederle di andare a cena insieme e parlare degli astri, dello scorrere del tempo e delle parole, delle suggestioni delle metropoli e dei fruscii nei campi, delle fusa dei gatti.

 



A Cielo Aperto
Cat Power
Cat Power in Solo 2016
Cesena, Teatro Verdi, 6 settembre 2016

 

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