“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Tuesday, 02 August 2016 00:00

Tutto l'opposto di tutto

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Esche vive è uno di quei romanzi che ti sorprendono, uno di quelli che non riesci a smettere di leggere ma che, al tempo stesso, cerchi di tirare più a lungo possibile per continuare a goderne e per apprezzarne la narrazione.

È infatti una storia dalla costruzione particolare, quella di Fabio Genovesi: basata sull’equivoco e sull’ironica ambiguità di mille voci diverse, riporta su carta il carattere esilarante di certe personalità da cronaca locale, così pittoresche nella loro caratterizzazione al punto di stabilire un immediato collegamento tra la loro genesi e certi paesini dell’entroterra italiano, poveri di attrattiva quanto ricchi di personaggi particolari.
Da qui il titolo di questo articolo: Esche vive è tutto il contrario di ciò che sembra. A partire dalla capacità dell’autore di parlare di argomenti seri in modo tale da non risultare pesante né didascalico. E che serietà! In Esche vive c’è la realtà senza ambizione delle province italiane dimenticate da Dio, c’è il peso delle aspettative che noi stessi ci cuciamo addosso ma, ancor più, quelle che gli altri creano per noi. In un certo senso si potrebbe dire che le esche vive siamo noi – ognuno di noi – appesi come vermi ai casi della vita, pronti per essere mangiati.
Ma. C’è un enorme obiezione a questo discorso. Fin dalle prime righe, la storia smentisce questo discorso da dramma esistenziale, profilando una narrazione che guarda alle sventure come forma di miglioramento della propria persona e della propria situazione. In altre parole, adottando un punto di vista ironico sui vari casi della vita, l’autore rende esilarante il dramma, sdrammatizzandolo.
Dunque un ragazzo che ha perso una mano per via di una bomba di petardi, diventa il leader di una band metal, abile pescatore e destinatario delle gradite attenzioni di una ragazza più grande e di un ragazzino bistrattato da tutti per la sua capacità di fare bene ogni cosa, che lo prende come esempio e mentore. Una promessa della finanza, titolare di lauree e master importanti, si ritrova intrappolata a Muglione – paesino all’odore di fosso posto nell’entroterra toscano – ma coglierà l’occasione per capire cosa fare della propria vita. Un marito, che ha perso la moglie prematuramente, elegge a ragione di vita il ciclismo, concentrando i propri sforzi su un ragazzino molisano senza arte né parte, eletto, suo malgrado, a promessa del ciclismo internazionale.
I personaggi sono quindi tutto l’opposto di quello che sembrano e fanno esattamente il contrario di ciò che ci si aspetta. Stessa cosa per i temi affrontati: Genovesi, attraverso il suo modo di incedere dalle forti venature toscane, riesce a rivelare la bellezza di un luogo attraverso le sue caratteristiche peculiari, che poi tanto belle non sono. Muglione non è infatti bello né pittoresco, non ha niente da offrire né da far ammirare; eppure è familiare, tanto da convincere il lettore che non necessariamente la felicità sia da ricercare solo in ciò che è esotico, altro, rispetto alla realtà in cui abbiamo avuto la ventura di nascere. È vero, c’è anche chi trova la realizzazione all’estero, come Tiziana, ma anche chi la trova a Muglione, come il Campioncino molisano: questo a dimostrare che il giudizio è sempre relativo, in base alle nostre peculiarità e al nostro punto di partenza.
È quindi vero che, chi resta, spesso lo fa non per vera mancanza di possibilità, ma come frutto di una scelta ponderata, tesa a cogliere il meglio dal posto in cui si è, senza snobbarlo né considerarlo una prigione immeritata. È certamente vero che tutto dipende da noi, dal modo in cui affrontiamo la realtà che ci si pone di fronte.
Forse Genovesi vuole suggerirci di affrontare la vita con la stessa ironia dei personaggi. Non credo ci sia un intento moraleggiante, sebbene forse questo emerga dalle vicende narrate. Credo piuttosto che Genovesi si sia divertito a scrivere una storia con personaggi senza dubbio pittoreschi, ma non troppo lontani da quelli che abitano i paesini dell’entroterra di ogni regione d’Italia; non escludo che possa essersi ispirato a loro per costruire delle figure che si rivelano riuscitissime nella loro infinita serie di sfortunati eventi.
Esche vive è uno di quei romanzi che ti appassionano, uno di quelli che ritieni ben riusciti perché, per quanto alcuni personaggi sembrano assurdi, ti divertono; le situazioni che si trovano a vivere, così pericolosamente realistiche nella loro incredibilità, ti catturano e ti spingono a chiederti: "E se fosse capitato a me?".

 

 

 

Fabio Genovesi
Esche vive
Milano, Mondadori, 2011
pp. 388

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