Gli scatti di Jodice hanno la rara capacità di parlare al fruitore, coinvolgendolo in un'esperienza multisensoriale, ma non solo, la realtà oggettiva viene arricchita (o compromessa?) dal lavoro su pellicola, permettendo a due dimensioni di ritrovarsi in un unico luogo. È il caso dello scatto in cui su uno sfondo completamente bianco una mano si mostra con un fiammifero, un intervento postumo crea l'alone di una bruciatura nel punto esatto del fiammifero.
Quest'intromissione esterna, in realtà, squarcia l'immobilismo della registrazione fotografica, la realtà lontana dello scatto si anima implodendo, regalando a chi osserva una colta e sentita impressione di vicinanza, tempo presente, vitalità dell'inorganico. Troviamo scorci urbani aperti in due, come un terremoto vaticinato prima nello scatto e solo dopo nella storia. Il terremoto però è tutto tattile, movimenta l'immagine, gli dà una vita altra, un significato che la verità del momento non ha preteso. È chiaro l'elemento tridimensionale, eppure più evidente è la poeticità personale, quindi la visione e l'esigenza dell'artista di lavorare incessantemente, anche ad opera compiuta, per approfondire metafisicamente l'identità della propria creazione. Le fotografie che immortalano le statue provenienti dal mondo antico, sembrano animarsi: i volti, la muscolatura, la tensione dei corpi prendono vita, sono colti non nella loro marmoreità, ma nei particolari che grazie al genio dei maestri antichi diventano forme dinamiche, offrendo verosimiglianza al marmo. Le espressioni delle statue vengono drammatizzate da forti contrasti di luce, pare che il furore inscritto nella pietra possa oltrepassare i lineamenti. Lo sconvolgimento delle figure umane è il soggetto primario delle istantanee.
La mostra porta il titolo di Attesa, un intero ciclo fotografico è dedicato a questo tema. È in queste foto che la fotografia manifesta non più una mera capacità rappresentativa, ma apre le porte a nuove dimensioni conoscitive e nuove speculazioni sull’esistenza interiore.
Lo spazio dell'attesa è tangibile anche se spesso riempito con una luce bianca quasi accecante, una luce che sembra un mare di latte, perché profonda, stratificata, impenetrabile come la nebbia che rivela la capienza dei luoghi. Gli oggetti o gli scenari presenti in questi scatti sono come sospesi, in attesa di qualcosa o di qualcuno. C'è un torbido silenzio, è come se il mondo stesso fosse colui che attende, ma quale uomo, quale presenza da qui a pochi istanti si paleserà? Nonostante la pace trasmessa, la staticità è violenta perché in tensione, non c'è trasparenza, piuttosto uno sfondo pieno di ansietà e angoscia. Una sedia in mezzo a una stanza inondata di luce, esprime con una potenza inaudita, quasi metaforica, lo stato mentale ed emotivo di chi attende, il suo straniamento, l'inconsistenza dei fatti mondani e la speranza ossessiva che una sagoma irrompa e ci salvi dal vuoto.
Mimmo Jodice. Attesa. 1960-2016
a cura di Andrea Viliani
opening 23 giugno 2016
Museo Madre
Napoli, dal 24 giugno al 24 ottobre 2016
website sito dell'artista
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