“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Saturday, 02 July 2016 00:00

Mare Redentore

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Una nota di pregio di questa edizione del Napoli Teatro Festival Italia è la scelta dei luoghi della città estremamente suggestivi per raccontare come una storia si possa trasformare in teatro. Dopo Villa Pignatelli, un’altra scenografia naturale è il Molo San Vincenzo occupato dalla Marina Militare e per questo motivo interdetto ai comuni mortali. Per il Festival, la Marina ha offerto ospitalità per la rappresentazione di Mare Mater di Fabio Cocifoglia e di Alfonso Postiglione, storia di mare e redenzione che ha come sfondo il colle su cui domina Castel Sant’Elmo, il Maschio Angioino sulla sinistra e il Porto sulla destra del pubblico.

Come evento inscritto in un altro evento, a un certo punto si è assistito anche all’arrivo della nave Amerigo Vespucci, ospite del porto di Napoli per alcuni giorni, trainata lentamente da un rimorchiatore. Casualità perfetta che ha aggiunto quel valore in più a creare una magica e surreale atmosfera d’altri tempi. Esattamente siamo negli anni che vanno dal 1911, (anno in cui la piro-corvetta Caracciolo fu donata dalla Marina Militare alla città di Napoli dopo anni di onorato servizio), al 1928 in epoca fascista. La nave fu trasformata in Nave Asilo sotto la direzione formale di David Levi Morenos, pioniere delle “navi-asilo” in Italia, ma affidata a Giulia Civita Franceschi che, in quanto donna, all’epoca non poteva assumerne la direzione ufficiale.
L’assito insolito dove la storia si dipana non è il solito ligneo, ma è fatto di basolato a grossi blocchi su cui sono poggiati pochi oggetti di scena: una macchina fotografica sul treppiede dal flash al magnesio, posizionato sulla sinistra del perimetro immaginario del palco, sulla destra un mucchio fatto da grosse catene e reti da pesca, poco più avanti una grande ruota di legno messa di sbieco e due assi di legno usurate e smozzicate. È la tolda della nave Caracciolo trasformato da questa indomita donna in centro di recupero e di accoglienza dei ragazzi dei Quartieri Spagnoli, quelli che Eleonora Pimentel Fonseca definiva lazzari che potevano essere salvati solo dalla cultura. La Pimentel nel suo afflato pedagogico si ritrova nella Franceschi che vuole continuare il sogno di trasformare quella “plebe”, definita con disprezzo dai borghesi, in uomini e cittadini liberi insegnando loro le regole della vita comunitaria sulla nave, a leggere e a scrivere, insegnando a questi bimbi senza nulla e nessuno un lavoro che restituisse loro la dignità di essere umani. L’attrice Manuela Mandracchia, che interpreta Giulia, compare per prima sulla scena vestita di lungo abito blu e i capelli raccolti, portando dei fiori bianchi tra le braccia. È ancora sulla sua nave che accoglie i ragazzi che arrivano dal lato sinistro del molo in formazione di una banda musicale che suona pezzi napoletani guidati dall’attore Niko Mucci che fa da direttore d’orchestra e da cantore che sottolinea con la sua voce alcuni passaggi della vicenda facendo da collante musicale con la sua voce chiara e forte.
Giulia, salutati i ragazzi che ritornano sul molo, vede arrivare dal bacino di mare retrostante, una barca a remi con due ragazzi a bordo. Sono due “caracciolini”, come lei li chiamava, divenuti adulti che fungono da espediente narrativo per avviare il flashback che permetterà di ricostruire la vicenda di questa donna coraggiosa. Uno è Gennaro e l’altro è Salvatore che ha perso la memoria, ma anche questo espediente serve a rafforzare, attraverso il dialogo affidato solo ai ricordi, l’evocazione dei momenti salienti. Giulia, parlando dei suoi ragazzi, dice ad un certo punto: ”Hanno fatto naufragio sulla terraferma mentre a mare hanno trovato riparo”. Così i tre rievocano la vita sulla nave, il “sistema Civita” di educazione apprezzato dai più famosi pedagogisti che visitarono la nave scuola, tra cui Maria Montessori. Lei offriva oltre l’amore, vitto, alloggio e civiltà, senza premi, ma nemmeno castighi, vedendoli crescere, “era come vedere scolpire la vita”. Il testo descrive le motivazioni che spinsero Giulia a dedicarsi ai derelitti napoletani, da una carezza non data a uno scugnizzo che aveva perso la madre, al sostegno e alla formazione avuta dal padre Emilio Franceschi, noto scultore toscano che la crebbe ai valori della solidarietà e degli affetti. Anche lui compare nella storia in un dialogo con la figlia mentre si avvicina a bordo della barca senza attraccare, figura onirica e mnemonica che sembra avvicinarsi al mondo dei vivi come sulla barca del Caronte dantesco.
L’avventura di Giulia terminerà con l’avvento del fascismo, quando un simile esempio pedagogico basato sui valori opposti all’antidemocrazia di Mussolini, ingloberà i caracciolini nell’Opera Nazionale Balilla di Sabaudia, trasformandoli in burattini-soldati asserviti al regime. Giulia sarà liquidata dallo Stato con onori e medaglie, ma togliendole lo scopo della sua vita. Mare Mater è speculare al concetto di 'Terra Madre', il mare come cura dall’ignoranza e salvezza dalla schiavitù della povertà, la protagonista è madre anche lei, agganciandosi così al mito primordiale della fertilità e della divinità. A dispetto delle note di regia che non volevano compiere un’agiografia della Franceschi, ma puntare sull’anima dualistica di Napoli borghese e plebea, bisogna notare che se questo aspetto è stato messo abbastanza in evidenza, dall’altro un certo tono didascalico e celebrativo emergeva inevitabilmente. Il merito di questo lavoro è stato sicuramente nel far conoscere la storia di questa donna e di questo esperimento pedagogico che ancora oggi potrebbe trovare valida attuazione meglio di tanti progetti scolastici di alternanza scuola-lavoro.

 

 

 

Napoli Teatro Festival Italia
Mare Mater
O della esemplare storia della nave asilo Caracciolo e del suo capitano, la signora Giulia Civita
Franceschi
di Fabio Cocifoglia, Alfonso Postiglione
drammaturgia Antonio Marfella
con Manuela Mandracchia, Graziano Piazza, Luca Iervolino, Niko Mucci, Giampiero Schiano
con la partecipazione di Bambini della Banda musicale di Barra del progetto Canta Suona e Cammina
e di ragazzi dell’Associazione Life-Scugnizzi A Vela per il recupero dei minori a rischio
consulenza scientifica Maria Antonietta Selvaggio, Antonio Mussari
costumi Giuseppe Avallone
collaborazione tecnica Hubert Westkemper
musiche Luca Toller
collaborazione artistica Enzo Musicò
produzione Le Nuvole / Casa del Contemporaneo – Centro di produzione
in collaborazione con Marina Militare Italiana, Fondazione Thetys-Museo del Mare di Napoli, The International propeller port of Naple, Autorità portuale di Napoli, Lega Navale italiana, Scabet, Curia di Napoli, Pio Monte Della Misericordia, ell’ambito del Napoli Teatro Festival Italia e Naples Shipping week 2016 
paese Italia
lingua Italiano
durata 1h 20’
Napoli, Molo San Vincenzo, 28 giugno 2016
in scena dal 28 al 30 giugno e 1° e 2 luglio 2016

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