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Saturday, 02 July 2016 00:00

"Peccato che fosse puttana" e le conseguenze della filosofia

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Opera maggiore di John Ford, Peccato che fosse puttana, fa parte dei grandi capolavori di epoca elisabettiana. Con questo dramma, fosco come "tutto ciò che di sporco, di infame e di abietto è nel fatto di vivere" (Artaud), Ford, ha condotto il teatro oltre la soglia di quel territorio di 'nera libertà' in cui abitano e trionfano le forze oscure; come una pestilenza, che rivela e illumina di luce tetra le crudeltà latenti dello spirito umano, così questo testo, modello di 'crudeltà', libera gli istinti più primordiali e abominevoli, con effetti venefici contagiosi, che dai corpi dei personaggi si trasmettono agli attori, e, quindi, al pubblico. Al di là dei giudizi morali e moralisti che si aggirano in platea alla fine di una rappresentazione come questa, quello che si avverte, è un reale e palpabile sconvolgimento interno, una crisi epatica dovuta ad un eccesso di tossine mandate in circolo da una vita interiore nascosta, non sempre troppo rassicurante: "L'umana natura non è cosa bellissima sotto tutti gli aspetti".

Al centro di questo dramma si trova l'untore, un giovane i cui propositi incestuosi nei confronti della sorella sono solidi e trasparenti come il diamante, dopo una prima fase fatta di teorizzazioni audaci e filosofiche – che mettono a dura prova le competenze teologiche di un frate ('assistente' spirituale del ragazzo) reo di aver inconsapevolmente iniziato l'allievo alla religione del neoplatonismo dell'Uno, armandolo così di argomenti inossidabili a favore dell'incesto, di fronte ai quali all'ecclesiastico non resta che trincerarsi negli anatemi: "Lava ogni parola che dici con lacrime, se possibile, di sangue", "piangi, sospira, prega tre volte al giorno, e tre la notte. Fallo per sette giorni" – il 'peccatore' passa ad una seconda fase, dominata dall'azione eroica spinta agli estremi da una sfrenata e non contenuta passione. Le drammatiche conseguenze di quella che può essere definita 'l'applicazione pratica di una teoria', rivelano quanto la filosofia sia innanzitutto qualcosa che ha realmente a che fare con l'essere umano.
Nel seguire la logica di questa linea d'ombra verso le regioni crepuscolari dello spirito, non resta lungamente da solo: Annabella, la sorella, risponderà al seducente richiamo, seguendolo in una passione il cui nome è condannato dalle leggi dell'uomo e della chiesa: incesto.
In questa rappresentazione la regista, Laura Angiulli, abile e intelligente interprete di moltissime opere shakespeariane, si muove su un terreno che le è familiare e, senza nulla togliere alla pulsante densità del testo, è come se vi passasse sopra una decisa e personalissima mano di colore, capace di dare volti, vita e sangue ai personaggi generati dall'inchiostro. Lo scenario che dipinge ha il calore e i forti contrasti cromatici dell'epoca in cui l'opera è stata concepita, in cui sotto velluti e broccati si cela il freddo acciaio di pugnali letali.
Gli attori, a cui va il merito di aver non solo 'raccontato' la storia ma di averla interpretata fino a lasciar intravedere le ambigue foschie di ogni personaggio, si alternano nella messa in scena come coppie di pugili che entrano in uno spazio in cui azioni e reazioni non sono prevedibili, in quanto non esistono leggi morali superiori e assolute, e la forza dominante è l'ambiguità. È ambigua la relazione tra Frate Bonaventura e il suo discepolo, la rigorosa austerità del primo, minata in continuazione dall'abilità retorica del secondo, sembra più preoccupata a ristabilire l'ordine logico ribaltato dall'allievo che a tutelarne l'incolumità. Nell'abbraccio tra i due, al termine del primo scontro dialettico, chiaramente vinto ai punti dal giovane allievo, c'è una rabbia inespressa e non risolta. È ambiguo, altresì, il rapporto tra Annabella e la nutrice, e quest'ultima, i cui abbracci e carezze rivolti alla pupilla rivelano un'omosessualità repressa, invece di invitare alla prudenza ed alla riflessione, sembra mossa da perverse forze distruttive che si fanno beffe di tutte le leggi morali. Il rapporto tra Giovanni e Annabella, fratello e sorella uniti dal sangue e dalla reciproca passione carnale, è l'apoteosi dell'ambiguità. Giovanni per dimostrare il suo amore invita la sorella a squarciargli il cuore per leggerne la verità ivi racchiusa, l'accostamento tra amore e morte è già proclamato in queste prime battute. Vittime delle loro immonde passioni, sembrano pronti a pagare e ad espiare il peccato con rassegnazione. E invece non accadrà, non lo farà Annabella, interpretata da una magnifica e commovente Alessandra D'Elia, che braccata dal marito, picchiata, insultata, trascinata per i capelli mentre le lacrime che le scorrono sul viso, troverà ancora la forza si sfidare e provocare il suo nemico. E non lo farà Giovanni che, come scrisse Aratud "si porrà al di là della vendetta e al di là del delitto" con una sorta di delitto indescrivibile e appassionato.
Il dramma volge al termine, il male pare non aver dimenticato nessuno, e i peccati hanno presentato il conto a tutti i peccatori, su questa atmosfera di massacro e sangue versato si affaccia il volto della Chiesa. Le circostanze richiederebbero una parola di conforto, un gesto compassionevole in cui poter intravedere lo sguardo benevolo di un Dio consolatore, ma essendo questo un dramma in cui la verità osa mostrasi senza veli, l'ultima parola viene data a un cardinale, l'ultima parola e l'ultimo tenebroso ghigno maligno.

 

 

 

 

Napoli Teatro Festival Italia
Peccato che fosse puttana
di John Ford
traduzione Nadia Fusini
adattamento e regia Laura Angiulli
con Federica Aiello, Agostino Chiummariello, Michele Danubio, Gianluca D'Agostino, Alessandra D'Elia, Luciano Dell'Aglio, Gennaro Di Colandrea, Stefano Jotti, Vittorio Passaro, Francesco Ruotolo, Maria Scognamiglio, Antonio Speranza
e con la partecipazione straordinaria di Cloris Brosca
musiche originali eseguite in scena da Pasquale Bardaro
scene Rosario Squillace
luci Cesare Accetta
in collaborazione con Accademia di Belle Arti
produzione Fondazione Campania dei Festival – Napoli Teatro Festival Italia
paese Italia
lingua italiano
durata 1h 20'
Napoli, Galleria Toledo, 28 giugno 2016
in scena 28 e 29 giugno 2016

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