“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Thursday, 07 July 2016 00:00

Cartoline da Castrovillari – 2

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Primavera di Teatri, parte seconda, ovvero le giornate di giugno del Festival, ovvero conferma delle linee di tendenza evidenziate nei giorni precedenti: drammaturgie “difficili” (nel senso di faticose), che spesso arrancano alla ricerca di un senso compiuto, non supportate da apparati registici in grado di staccarle dalla pagina scritta del copione per conferir loro una forma scenica compiuta; e pagina scritta che in vari casi dimostra un surplus di verbalità, una ricerca che s’incentra sulla parola testuale, troppo spesso eludendo il necessario nesso consequenziale con la sua realizzazione teatrale.
Luci ed ombre, dunque, anche nella seconda parte del Festival, della quale nel dettaglio si va qui a comporre resoconto.

Esilio della Piccola Compagnia Dammacco è uno spettacolo di buona fattura, il cui linguaggio è contemporanea coniugazione di parola e azione scenica, con una eccellente Serena Balivo en travesti che con movenze alla Charlot e tono querulo dà vita ad un’essenza umana che assomiglia ad un uomo d’altri tempi calato nell’oggi, emblema di una discrasia tra individuo e contesto, tra l’umanità delle affezioni e la mortificazione che il mondo esterno perpetra. La scena è un quadrato di legno, zattera d’una deriva precaria, su cui si consuma un naufragio dell’anima in balìa di predatori che si chiamano ossessione, ansia, rabbia, disperazione, tarli ossessivi che sbeccano dall’interno, che macerano e minano; l’intorno è un mare nero che udiamo sciabordare sin dall’inizio e nel quale echeggia la voce della coscienza. Funziona bene nella parte monologante della Balivo, un po’ meno nel trovare compendio nel ruolo di Mariano Dammacco, figura esterna alla deriva, che interviene (senza interagire) fungendo da doppio coscienziale del personaggio in scena, avvalendosi tra l’altro di una microfonazione che appare in esubero. Nel complesso però, mescolando i toni del surreale ad una pantomima efficace, Esilio lascia una discreta impressione, tratteggiando un espressionistico affresco della solitudine dell’uomo moderno, perso nel guano strutturale di una società e dei suoi guasti; lo fa mostrando una cifra espressiva interessante, meritevole di essere seguita.
A seguire è la volta della giovane compagnia Guinea Pigs e del loro Trittico della Guerra, che è parso il più acerbo dei progetti teatrali presentati a Castrovillari: strutturato in tre quadri che s’incentrano su storie di ordinaria e quotidiana aberrazione; dei tre il primo – Mosche sul miele, incentrato sullo sfruttamento lavorativo – appare quello più farraginoso, la cui drammaturgia fatica a dipanarsi con chiarezza espressiva, confinato in una frontalità e in un disegno luci prettamente orizzontale, che sarà una costante trasversale ai tre quadri, fungendo anche da cesura tra una vestizione e il successivo rivestirsi a vista, da un quadro all’altro; il secondo quadro, Un angolo di buio, al di là del riferimento goldoniano – i protagonisti sono una coppia di fidanzati che si chiamano Arlecchino e Colombina – racconta di una storia di bullismo in un giardino pubblico, in cui le azioni oltre a svolgersi, vengono descritte dagli attori in scena, come fossero note di regia, in un tentativo di metateatralità reiterata (“L’autore ha scritto così” e frase che s’ascolta più volte) che però pare non assolvere a funzione ben precisa, così come accadrà anche nel terzo quadro, La regola del branco, in cui si inscenano le dinamiche di un rapporto sessuale prezzolato combinato attraverso Internet; vi si mostra tutto l’impaccio e l’insipienza di ciò che oggi si consuma nella frenetica ricerca di emozioni vissute poi al grado zero dell’emozionalità, come mera reificazione del desiderio. La resa scenica dei tre quadri non raggiunge esiti soddisfacenti, protraendosi in un tempo dilatato e non mostrando peculiarità espressive memorabili.
Si chiude con Pop Corn – diosolosacosa, di Contromano Teatro, altra giovane compagnia di cui già s’era avuto modo di vedere (e recensire) il precedente lavoro Nella gioia e nel dolore poco tempo addietro; in questa nuova drammaturgia il duo pugliese qualcosa conferma e qualcosa pare aver smarrito: se infatti da una parte confermano la propensione a conservare un certo linguaggio “sporco”, intriso di dialettofonia che marca e connota non solo geograficamente, ma anche “moralmente” un contesto provinciale ordinariamente retrivo, gretto e chiuso, ostaggio narcotizzato della pigra fruizione televisiva, dall’altro Elio Colasanto e Alessia Garofalo presentano una drammaturgia che non sembra possedere la stessa rotonda compattezza del lavoro precedente, vedendo sfrangiarsi il pur buono spunto di partenza in un irresoluto plot drammaturgico. Dimostrano comunque di aver portato avanti quel lavoro di analisi di un sostrato culturale di appartenenza – e in ciò Modesto e Immacolata appaiono sostanzialmente l’evoluzione post-matrimoniale di Sabino e Nunzia di Nella gioia e nel dolore – fatto di umanità becera che rimastica luoghi comuni per sputare intolleranza, di disvalore e piattume, coltivati come beni rifugio, ben protetti da mura domestiche illuminate dal riverbero del televisore. La “bolla” che racchiude i due giovani coniugi, spaventati dalla prospettiva di avere degli immigrati come vicini, è un efficace segnale della cappa oscurantista che imprigiona l’orizzonte di un’umanità ordinaria, mediocre e mediamente cattiva. Manca però a Pop Corn quello scarto in avanti di scrittura – e relativa traduzione in messa in scena – che dia compimento ad un discorso socioculturale che, così com’è, resta confinato in un affresco descrittivo, che ha per soggetto una deformità epidermica.

Parentesi a parte merita poi la parte del Festival dedicata ai ragazzi (Primavera Kids), che oltre a spazi laboratoriali destinati ai bambini, propone anche una parte spettacolare; assistiamo a Zampalesta u cane tempesta, del Teatro della Maruca di Crotone, spettacolo di burattini in dialetto calabrese che in poco meno di un’ora ghermisce, grazie alla capacità affabulatoria e pantomimica di Angelo Gallo, l'attenzione di un’intera platea di bambini (e non solo la loro), assiepati nell’ampia sala del Palazzo Comunale. Il teatrino, improntato ad un dialetto calabrese non troppo stretto – e per questo intellegibile anche a chi calabrese non è – s’ambienta nel mondo contadino calabro e, con un coinvolgente meccanismo di interazione che s’accattiva la partecipata attenzione dei più piccoli, racconta una storiella semplice, fatta anche di piccola ferocia, ma che sub imagine fabularum, trasmette una semplice morale che suggerisce il rispetto per gli animali, veicolandosi attraverso il sapiente gioco dell'animazione che conferisce vita a creature di cartapesta. Piccolo spettacolo ben congegnato, dal ritmo incalzante, diverte e appassiona un pubblico di bambini partecipi e si guadagna il plauso anche di chi bambino non è.
Il Festival prosegue con 32 secondi e 16, testo di Michele Santeramo per la regia di Serena Sinigaglia; drammaturgia bipartita – meglio diremmo: spezzata in due tronchi – che parte raccontando la storia di Samia Yussuf Omar, atleta somala la cui modesta abilità nella corsa non le impedì di partecipare ad un’edizione dei Giochi Olimpici, per poi morire in mare in uno dei tanti viaggi della disperazione che attraversano il Mediterraneo vagheggiando possibilità di futuri migliori e possibili.
La scena è concepita come una sorta di podio sghembo, perché racconta di una stortura anomala, di un’atleta che non è un’atleta, ma una donna che cerca di affermarsi sovvertendo un destino che appare scritto; è un podio sghembo la scena, perché oltre a simboleggiare un elemento tipicamente olimpico, coi suoi tre gradini di diversa altezza, suggerisce anche la simbologia di un legno alla deriva, rabberciato col suo carico di vite profughe. Vite profughe delle quali Samia vorrebbe essere il simbolo più evidente, solo che ce la perdiamo a metà spettacolo, allorquando la drammaturgia vira repentina raccontandoci un’altra storia, che da quella iniziale si diparte spostandosi dalla narrazione storica all’apologo simbolico. Purtroppo però la costruzione drammaturgica appare faticosa: dopo averci raccontato una tragedia del mare senza dirci nulla che non sapessimo già, 32 secondi e 16 trasferisce la propria partitura su un’isola, simbolica riproduzione del consorzio umano coi suoi guasti e le sue dinamiche perverse. Didascalie che compaiono sul fondale scandiscono i diversi passaggi drammaturgici; Samia sarà “recuperata” nel finale, come a voler riannodare un discorso circolare, ma è quel che c’è nel mezzo che sconta la farragine di una scrittura confusionaria, che finisce per coinvolgere anche la regia, le cui scelte, al di là della concezione scenica, non lasciano impressione convincente, puntando su una visione apocalittica che mescola realtà e fiction – perché tale è la scelta di immaginare un’isola in cui un’umanità abbrutita affida la conservazione della specie al cannibalismo e la sua prosecuzione ad un incesto fraterno – senza trasmettere mai davvero il senso nitido di un’idea e di un disegno che le sia sotteso. Colpisce in particolar modo (e in negativo) il fatto che due firme prestigiose del nostro teatro (Michele Santeramo che cura la drammaturgia e Serena Sinigaglia alla regia) congegnino un lavoro che delude così ampiamente le premesse: era lecito attendersi molto di più.
A sera, al Teatro Sybaris, incrociamo nuovamente Opera Nazionale Combattenti e la loro “occupazione teatrale” che parte dal terzo atto – quello mai scritto da Pirandello – de I giganti della montagna. Visto (e recensito) a Taranto lo scorso settembre, su queste pagine ne riscrivemmo in occasione della sua tappa napoletana, ragion per cui non ripetiamo quanto già dicemmo in proposito, limitandoci a confermare parere positivo per l’operazione nel suo complesso, per il suo congegno metateatrale giocato su tre livelli (la scena, il pubblico effettivo, un pubblico immaginario/immaginato oltre scena), riscontrando però, rispetto alle edizioni precedenti, un rallentamento del ritmo che leggermente ne appanna la resa.

Il penultimo giorno di Festival si apre con lo spettacolo proposto dai padroni di casa di Scena Verticale, Il  Vangelo secondo Antonio, scritto diretto e interpretato da Dario De Luca. Messinscena che nella sua semplicità compositiva trova la chiave di un’efficacia espressiva con cui raccontare, delicatamente e in maniera realistica, una normale storia di malattia progressiva, di quelle malattie che ti logorano a poco a poco, togliendoti chi è caro facendoti dapprima uscire dai suoi pensieri e dai suoi ricordi e poi progressivamente lasciandoti il fardello di un accadimento straziante. Dario De Luca è Antonio, parroco dalla sensibilità non formale, una sorella a far da perpetua, un giovane prete ad accoglierne gli ammaestramenti. Il racconto del procedere degenerativo di una malattia crudele è scandito da una leggerezza che non inficia la serietà del tema trattato, ma anzi lo coniuga nel modo migliore, mostrando peraltro come i residui coscienziali che resistono temporaneamente all’oblio non scalfiscano l’intima aderenza morale dell’uomo al proprio ministero. Ben recitato e ben costruito – sebbene privo di elementi teatralmente rilevanti – Il Vangelo secondo Antonio sembra dimostrare che si può costruire drammaturgie dignitose senza necessariamente affaccendarsi alla ricerca di arzigogoli concettosi
Con Geppetto e Geppetto di Tindaro Granata siamo di fronte ad uno dei temi caldi del nostro presente, fatto di discussioni – troppo spesso ideologiche e troppo spesso veicolate da chi s’arroga titoli e competenze normative che non può pretendere d’avere (vedi Chiesa) in materia che non frequenta (o almeno così dice!) – e di guerre d’opinione più o meno sensate intorno a questioni che si chiamano coppie di fatto e step child adoption, insomma tutto quel diffuso, confuso e contrapposto discutere sulla legittimità o meno delle famiglie “non tradizionali”.
Geppetto e Geppetto affronta la questione dal punto di vista di una coppia gay del nostro tempo (in realtà lo scarto temporale è ben più ampio e ben poco congruo, visto che ci troviamo dinanzi ad un figlio avuto con il cosiddetto utero in affitto e visto che questo figlio ce lo ritroveremo poi in scena già adolescente); ma al di là della discrasia cronologica, lo spettacolo concepito da Tindaro Granata – che interpreta anche uno dei due Geppetto, significativi rimandi al collodiano padre/artefice d’un figlio/burattino senza l’ausilio d’una consorte – possiede una costruzione scenica lineare che piace nella sua fase iniziale per il ritmo serrato dei suoi dialoghi, per un’ironia garbata e scoppiettante che lo accompagna e per il modo elegante di mettere in risalto le contraddizioni, prima fra tutte ad emergere quella che vede la discriminante per l’adozione da parte di coppie omosessuali non tanto (e non solo) legata ad una mera questione di genere e diritti, ma anche (se non soprattutto) dipendente da una questione di censo e possibilità materiale. Come pure altra contraddizione che emerge messa in risalto è quella che vede la madre di uno dei due “Geppetto” accettare sì l’omosessualità del figlio, accettarne il compagno, ma irrigidirsi su retrive posizioni di conservazione dinanzi all’eventualità di un’adozione da parte dei due. La scena è concepita come un interno domestico “mobile”, la cui frontalità sarà resa dinamica dal continuo entra ed esci dei vari personaggi; un gabinetto che fa capolino in scena sembra star lì ad indicare che lo sguardo si sta appuntando sulla più privata delle dimensioni familiari, quella a cui pertiene, nel chiuso del proprio nucleo, il diritto esclusivo di prendere decisioni ed assumersi responsabilità sulle proprie scelte di vita; scelte di vita che deflagreranno insieme alle difficoltà adolescenziali del piccolo Mattia (che in scena vediamo di colpo grande), vieppiù dopo la morte prematura di uno dei due “Geppetto”; ciò scatenerà un duplice piano di conseguenze: da un lato il problema della non riconoscibilità per la legge di un figlio da parte di un genitore non biologico, dall’altro la crisi psicologica di un ragazzo che accusa lo scotto di non sentirsi “normale” perché non cresciuto in una famiglia “tradizionale”. Lo spunto è interessante e pregno, peccato però che Geppetto e Geppetto, nel suo protrarsi un po’ più del necessario, sconti uno scarto netto rispetto al registro iniziale, scivolando dapprima in uno psicodramma un po’ confuso, che rischia fra l’altro di far passare l’incongrua idea che un figlio di una coppia gay debba necessariamente patire degli scompensi psicologici, mentre successivamente subisce una virata verso toni più melodrammatici che rischiano lo sconfinamento in un discorso pietistico.

Ad aprire l’ultima giornata sono i Quotidiana.com, per i quali può valere un discorso già fatto nell’analizzare ciò che abbiamo visto a Castrovillari, e cioè l’allargamento di una forbice tra pregnanza del testo e sua resa scenica: Lei è Gesù appare infatti come un esercizio di scrittura molto ben cesellato, persino “troppo” ben scritto, e che, sebbene sia coadiuvato in scena dalle cadenze apparentemente avulse e incongrue di una mimica reiterata – funzionale a sottolineare e coadiuvare un meccanismo ritmico interno presente nel testo – e dall’efficacia suggerita da una scena circoscritta e illuminata da una striscia di luce nella sola fascia centrale in cui Roberto Scappin e Paola Vannoni agiscono, si lascia seguire e comprendere con difficoltà, come se per seguirne, comprenderne (ed apprezzarne) appieno la densità concettuale fosse necessario non perdere mai d’occhio la partitura scritta, come potrebbe valere per un’opera lirica e il suo libretto. Lei è Gesù parte dal tema della fede per condurre un’opera di demistificazione (perché d’altronde “la religione è un’abitudine infantile”), impigliandosi però nel dogmatismo di una complessità che non deroga, restando prigioniera del proprio pur notevole impianto linguistico.
A chiudere Ci scusiamo per il disagio degli Omini, i quali confermano i pregi della propria cifra espressiva, ancora incanalata nel solco felice di una commistione fra indagine socio-antropologica e sua coniugazione con un linguaggio teatrale che è segno riconoscibile, fatto di dialoghi condotti con ironia e calati nel paradosso grottesco di una stazione ferroviaria in cui storie di vita quotidiana vengono scandite dalla voce metallica di un altoparlante che ne declama imperterrito i disagi, disagi che a quelle vite si frappongono, metafora scoperta di una condizione diffusa, non a caso ambientata in una stazione, ovvero uno degli spaccati possibili in cui registrare il polso di un’umanità indagata su spettro significativo e raccontata velandola di quell’assurdo e di quello straniante che conferiscono alla confezione drammaturgica una identità teatrale capace di raccontare – complice l’ottimo ensemble attorale – con leggerezza di tono e profondità di senso il momento storico di un’umanità in transito.

Si conclude così un Festival che, nel suo complesso, resta impresso come una cartolina panoramica di un momento teatrale, un momento che parzialmente descrive una crisi, o comunque una linea di tendenza involutiva, ma che resta a maggior ragione sintomatico di una necessità di confronto e di analisi sui linguaggi e sulle capacità espressive della scena contemporanea e di coloro che la animano.

 

 

 

 

Leggi anche:
Michele Di Donato Cartoline da Castrovillari −1 (Il Pickwick, 17 giugno 2016)

 

 

 

 

Primavera dei Teatri
XVII Edizione

Esilio
ideazione, drammaturgia e regia Mariano Dammacco
con la collaborazione di Serena Balivo
con Serena Balivo, Mariano Dammacco  
luci Marco Oliani
foto di scena Angelo Maggio
produzione Piccola Compagnia Dammacco
con il sostegno di Campsirago Residenza
con la collaborazione di L’arboreto Teatro Dimora di Mondaino, Associazione CREA / Teatro Temple, Associazione L’Attoscuro
lingua italiano
durata 1h 10’
Castrovillari, Capannone Autostazione, 1° giugno 2016
in scena 1° giugno 2016 (data unica)

Trittico della Guerra
ideazione e regia Riccardo Mallus
drammaturgia Giulia Tollis
di e con Letizia Bravi, Marco De Francesca, Francesco Martucci, Federico Meccoli
composizione sonora Gianluca Agostini
movimento scenico Betti Rollo
costumi Laura Dondi
organizzazione Sara Troiani
foto di scena Angelo Maggio
produzione Guinea Pigs
in collaborazione con ERT per la residenza a Villa Pini, Bologna
con il sostegno di Armunia –  Castiglioncello, Progetto Residenze Creative al Garybaldi – Santibriganti Teatro, Torino
lingua italiano
durata 1h 30’
Castrovillari (CS), Teatro Sybaris, 1° giugno 2016
in scena 1° giugno 2016 (data unica)

Pop Corn (diosolosacosa)
di e con Elio Colasanto, Alessia Garofalo
light designer Alessandro Grasso
sound designer Daniele de Virgilio
movement exploration Michele Diana
scena Nicolò Minervini
assistente alla regia Giulia Sangiorgio
foto di scena Angelo Maggio
produzione Contromano Teatro
con il sostegno di Festival Voci dell’Anima, Circo Botero
lingua italiano, dialetto pugliese
durata 1h 15’
Castrovillari (CS), Capannone Autostazione, 1° giugno 2016
in scena 1° giugno 2016 (data unica)

Zampalesta u cane tempesta
di e con Angelo Gallo
regia Gaspare Nasuto
scene e burattini Angelo Gallo
produzione Teatro della Maruca, Takabum, Teatrop
lingua dialetto calabrese
durata 50’
Castrovillari (CS), Palazzo di Città, 2 giugno 2016
in scena 2 giugno 2016 (data unica)

32 secondi e 16
di Michele Santeramo
regia Serena Sinigaglia
con Tindaro Granata, Valentina Picello, Chiara Stoppa
scene e costumi Stefano Zullo
musiche Silvia Laureti
disegno luci Sarah Chiarcos
foto di scena Angelo Maggio
produzione ATIR Teatro Ringhiera
con il sostegno di NEXT2015
lingua italiano
durata 1h 15’
Castrovillari (CS), Capannone Autostazione, 2 giugno 2016
in scena 2 giugno 2016 (data unica)

Opera Nazionale Combattenti presenta I giganti della montagna Atto III
drammaturgia
Valentina Diana
regia Giuseppe Semeraro
con Leone Marco Bartolo, Dario Cadei, Carla Guido, Otto Marco Mercante, Cristina Mileti, Giuseppe Semeraro
bande sonore e musiche Leone Marco Bartolo
foto di scena Angelo Maggio
produzione Principio Attivo Teatro
lingua italiano
durata 1h 20’
Castrovillari (CS), Teatro Sybaris, 2 giugno 2016
in scena 2 giugno 2016 (data unica)

Il vangelo secondo Antonio
scritto e diretto da Dario De Luca
con Matilde Piana, Dario De Luca, Davide Fasano
musiche originali Franco De Franco
scenografia Aldo Zucco
realizzazione scultura Cristo Sergio Gambino
realizzazione scene Gianluca Salomone
costumi e assistenza Rita Zangari
distribuzione Settimio Pisano
organizzazione Rosy Chiaravalle
foto di scena Angelo Maggio
produzione Scena Verticale, Primavera dei Teatri, Festival Città delle 100 Scale
lingua italiano
durata 1h 15’
Castrovillari (CS), Capannone Autostazione, 3 giugno 2016
in scena 3 giugno 2016 (data unica)

Geppetto e Geppetto
scritto e diretto da Tindaro Granata
con Alessia Bellotto, Angelo Di Genio, Tindaro Granata, Carlo Guasconi, Paolo Li Volsi, Lucia Rea, Roberto Rosignoli
regista assistente Francesca Porrini
assistente ai movimenti di scena Micaela Sapienza
allestimento Margherita Baldoni
luci e suoni Cristiano Cramerotti
foto di scena Angelo Maggio
produzione Teatro Stabile di Genova, Festival delle Colline Torinesi, Proxima Res
lingua italiano
durata 1h 40’
Castrovillari (CS), Teatro Sybaris, 3 giugno 2016
in scena 3 giugno 2016 (data unica)

Lei è Gesù
3° capitolo di Tutto è bene quel che finisce (3 capitoli per una buona morte)
di e con
Roberto Scappin, Paola Vannoni
regia
Roberto Scappin
foto di scena Angelo Maggio
produzione Quotidiana.com, Armunia Festival Inequilibrio
con il sostegno di Provincia di Rimini, Regione Emilia Romagna
in collaborazione con Istituzione Musica Teatro Eventi, Comune di Rimini, SPAM! Rete per le arti contemporanee
lingua italiano
durata 1h
Castrovillari (CS), Capannone Autostazione, 4 giugno 2016
in scena 4 giugno 2016 (data unica)

Ci scusiamo per il disagio
di e con Francesco Rotelli, Francesca Sarteanesi, Giulia Zacchini, Luca Zacchini
luci Emiliano Pona
foto di scena Angelo Maggio
produzione Gli Omini, Associazione Teatrale Pistoiese – Centro di Produzione Teatrale
con il sostegno di Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Turismo
lingua italiano
durata 1h
Castrovillari (CS), Teatro Sybaris, 4 giugno 2016
in scena 4 giugno 2016 (data unica)

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