“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Monday, 06 June 2016 00:00

Se il teatro è un sacco vuoto (da riempire)

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Ho un vivido ricordo della prima volta che vidi uno spettacolo di Spiro Scimone e Francesco Sframeli. Dai primi cinque minuti ero – eravamo tutti – completamente immersi, calati in una bolla spazio/temporale, sospesi in una dimensione surreale e magnetica in cui ogni parola, ogni piccolo gesto, pausa, sguardo, piegatura nella voce era carica di senso e, allo stesso tempo, di una leggerezza soave, quasi eterea.

La magia si è ripetuta anche qualche settimana fa, in Sala Assoli, in occasione di Il cortile, andato in scena anche a Salerno, accompagnato da una serie d’incontri all’università, iniziativa più che lodevole che, ci si auspica, prosegua anche nella prossima stagione della Casa del Contemporaneo. Il lavoro (premio Ubu 2004 “miglior testo italiano”) che, come altri nel repertorio della compagnia, Scimone e Sframeli continuano a mettere in scena, in un “eterno presente”, dopo oltre dieci anni dal debutto è una divaricatura di circa cinquanta minuti nelle pieghe assurde e profonde della variegata umanità di tre individui imbevuti di Beckett e Pinter, di una sconfinata – ma tangibilissima, correlativa/oggettiva – poesia. Tempi, ripetizioni, appuntamenti, pause, silenzi calibratissimi, ma con ampio spazio per aperture immaginifiche per i corpi, i volti, la gestualità, la lentezza con cui si sta dentro una battuta o nel senso delle parole. Queste ultime, quando sul palco ci sono Spiro Scimone e Francesco Sframeli, acquistano nuovo senso, nel loro essere dette e poi ri-dette, da questo punto di vista potremmo parlare di un elemento del tutto originale e distintivo del loro teatro, quasi di una funzione poetico/rigenerativa del testo sulla scena.
Ci si perde, si sconfina, ci si astrae in un fluido, morbido (e apparente) non sense per poi ritrovarsi, improvvisamente, in un singolo gesto, o nelle pose e nelle prese delle umanissime dinamiche che l’affiatata coppia di autori/attori siciliani porta, da più di vent’anni, in scena – in questo caso in trio con l’attore Gianluca Cesale, presente anche nel loro ultimo lavoro Amore.
Un teatro raffinato, più di tutto necessario che, per usare la sottile metafora che apre e chiude Il cortile, ci aiuta a “riempire d’essenziale” quel misterioso sacco che sta sulla scena, motore immobile di tutto, che sta sempre lì, anche quando non guardiamo.
Nonostante i due messinesi siano tra le compagnie più richieste e rappresentate in Europa e non solo (i loro testi sono stati tradotti in francese, inglese, tedesco, greco, spagnolo, portoghese, norvegese, croato, sloveno, danese) in Italia è raro vederli negli Stabili, e anche a Napoli mancavano da qualche anno.
In attesa di ritrovarli, in una pausa tra una tournée e l’altra, si sono concessi in una breve intervista a distanza Napoli/Messina, che riportiamo qui.

Perché fate teatro?
Il teatro è rapporto tra corpi vivi, che vibrano e trasmettono energia. Il corpo morto in teatro non esiste. Anche gli oggetti, in teatro, vivono. Il teatro è vita!
Per questo facciamo teatro.

Voi girate con spettacoli che hanno anche dieci anni e più: come (e se) cambiano, crescono gli spettacoli ancora oggi, dopo tanti anni dal debutto?
È noto che una rappresentazione teatrale non è mai uguale alla precedente e non sarà mai uguale alla successiva. I nostri spettacoli teatrali continuiamo a rappresentarli, anche dopo vent’anni, perché gli attori con i loro personaggi non ripetono il passato, vivono continuamente il presente.

Ne Il cortile c’è Uno, continuamente bastonato da tutti, che ha perso il lavoro e striscia sul palco come un verme. Nei vostri lavori, dai personaggi, alle scene, l’attenzione si concentra sulle piccole cose quotidiane, e su figure marginali, spesso di diseredati o abbandonati dalla società. Come mai?
Noi ci consideriamo degli artigiani del teatro. Come gli artigiani, nelle nostre creazioni, curiamo tutti i minimi particolari. La cura e l’insieme delle piccole cose portano alla realizzazione di cose più grandi. I nostri personaggi rappresentano delle figure che nella realtà stanno ai margini della società. Con il teatro, noi diamo corpo e voce, a queste figure che nella realtà sono dimenticate. E la voce di questi personaggi emarginati nell’autenticità della finzione teatrale, viene ascoltata.
Perché il teatro è ascolto! Il teatro educa all’ascolto.

In un articolo uscito sul Corriere dopo il debutto di Amore, Cordelli sottolinea lucidamente come lavori e compagnie pregiati come la vostra trovino sempre più difficoltà a circuitare nei teatri italiani. Come vi spiegate questa cosa?
Non ce la spieghiamo e non possiamo spiegarla noi. Dovrebbe spiegarla chi programma i Teatri Nazionali, i Tric o i circuiti teatrali.

Voi girate moltissimo in Europa, più che in Italia. Differenze con il teatro italiano (di pubblico, ma anche di sistema teatrale)?
In Italia giriamo nei teatri meno istituzionali. In Europa, invece, rappresentiamo i nostri spettacoli anche nei teatri nazionali. Il sistema teatrale europeo dà molto spazio alle compagnie indipendenti come la nostra che rappresentano spettacoli di drammaturgia contemporanea.
La differenza non è nel pubblico, è in quello che fanno vedere al pubblico.

Lavorate in coppia da molti anni. In che modo vi compensate/compenetrate nel processo di creazione di un lavoro?
C’è tanta collaborazione nei nostri processi creativi. Noi ascoltiamo continuamente le proposte e i consigli di tutti i componenti della compagnia. Ma durante le prove dello spettacolo c’è anche una chiara e precisa distinzione dei ruoli.
Le scelte definitive di drammaturgia spettano a Spiro, quelle di regia a Francesco.

Che funzione ha/dovrebbe avere il teatro per voi?
Il teatro, come tutte le arti e la cultura, sta alla base della civiltà.
Se vogliamo distruggere l’odio, l’intolleranza, la violenza e tutti i mali della nostra società non dobbiamo produrre armi e fare le guerre. Dobbiamo fare arte, dobbiamo promuovere la cultura.

Cosa significa teatro contemporaneo oggi? C’è qualche autore/compagnia (anche giovane, anzi ben venga) che seguite? Autori/drammaturghi contemporanei che vi piacciono?
Al centro del nostro teatro c’è la necessità di creare la relazione tra autore, attore, spettatore. Se questa relazione è autentica, il teatro è sempre contemporaneo. Anche nei testi classici.
In Italia, ci sono diversi autori contemporanei che non hanno nulla da invidiare agli autori contemporanei degli altri Paesi europei.

Che libri state leggendo in questo momento?
(ognuno dice il suo)
Fuga da Bisanzio
di Iosif Brodskij (Francesco).
Storie di Cronopios e di Famas  di Julio Cortázar (Spiro).

Prossimi progetti/tappe teatrali?
Stiamo definendo la nostra prossima tournée italiana ed europea. Continueremo a rappresentare tutti i nostri spettacoli in repertorio. Naturalmente l’ultima nostra opera dal titolo Amore, sarà quella più rappresentata.

 



Su Il cortile si veda anche: Fulvio Padulano, Una cartolina dal desertoIl Pickwick, 20 maggio 2016



N.B.:
foto di copertina di Daniela Capalbo

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