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Wednesday, 04 May 2016 00:00

La rivolta del cigno nero

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C’è un cigno nero che batte le ali prima di morire... c’è un cigno nero che sceglie di stramazzare per riparare ad una distorsione presente nel sistema, per chiamarsi fuori dal sistema... c’è un cigno nero come motore immanente, che si ribella alla sua sorte e rende un atto estremo estrema forma di rivolta.

Non è una sintesi ma una metafora sottesa a Il giorno della laurea di Giovanni Meola, una metafora che ad un tratto si effonderà come tappeto sonoro, le note di Black Swan (“cigno nero”, appunto) di Thom Yorke a fare da contrappunto tonale, sottolineatura musicale di una reazione imponderabile, imprevedibile, di un figlio che sceglie, nel giorno della propria laurea, di sottrarsi ad un cursus vantaggioso e predeterminato, facendo comunque in modo che i propri cari ne traggano profitto. Creando sorpresa e sgomento. Instillando terrore e speranza.
Il giorno della laurea racconta, attraverso una drammaturgia lineare e tutto sommato non imprevedibile, quanto possano essere devastanti le conseguenze dell’urgenza e quanto possano essere condizionanti nelle scelte dubbi all’apparenza semplici da sciogliere.
Il contesto in cui avviene tutto ciò è una famiglia, ovvero la cellula sociale primaria, una famiglia composta di “marito” e “moglie”, che si chiamano tra loro con questi titoli allocutivi e non per nome; ex insegnante disoccupata lei, ex titolare di una libreria fallita lui, una vita in comune inaridita dalla crisi, fatta di bollette da pagare e conti da far quadrare, le uniche speranze nell’avvenire riposte in un figlio in procinto di laurearsi in economia, garanzia di futuro migliore. Drammaturgia della crisi, Il giorno della laurea della crisi inteatra uno scenario possibile che evolve in iperbole.
Siamo dinanzi ad una storia semplice nel suo sviluppo che però assume un modo accattivante d’essere raccontata – pur patendo un leggero calo di ritmo alla distanza – grazie ad una regia metodica e rigorosa che opera scelte precise e ben consapevoli dei propri intenti, suffragate da un disegno luci semplicemente molto bello che concorre alla composizione di un quadro onesto e credibile di una situazione pur incentrata su un paradosso crescente. Lo spazio compresso di un interno coniugale, reso più opprimente da un soffitto ribassato e dagli scatoloni ricolmi di libri dismessi, rafforza l’idea di angustia che promana da un menage che, pur senza essere del tutto abbrutito, appare irrimediabilmente scalfito dalle ingiurie del tempo e della crisi economica: non ci si chiama per nome e diminutivi e vezzeggiativi che marito e moglie si scambiano trasmettono, più che dolcezza, un senso di sminuimento, in un rapporto di coppia che pare svilito ed in cui un regalo – anzi, un “regalino” – non è altro che uno scialbo riciclo e la rimostranza e la scaramuccia sono il terreno più fertile del dialogo comune intessuto da due attori il cui registro espressivo si mostra assolutamente in linea con l’atmosfera cupa e dimessa che li avvolge in una cappa disperante.
La scena “parla”: strutturata con un tavolo nel mezzo, al centro del quale è conficcato un pilastro che la separa in due, sembra essere ad un tempo allusiva della separazione fra i due coniugi e parimenti simbolica dell’unico elemento di unione, ovvero quel figlio “pilastro” (che non si vedrà comparire in assito, ma solo aleggiare per poi comparire in forma di missiva), sul cui avvenire poggiano le speranze genitoriali di un futuro migliore.
Sullo sfondo due linee di luce grigia perpendicolari fra loro sembrano fungere da coordinate cartesiane di un’esistenza che scorre normale, fra ordinaria amministrazione e decisioni lineari; decisioni lineari che saranno messe in crisi – non economica ma “filosofica” – dalla lettera con cui il figlio inviterà i genitori – che pure dell'evento erano inopinatamente dimentichi – a non presenziare alla sua seduta di laurea per ragioni (che non sveliamo ma che si fanno via via più intuibili col procedere dello spettacolo), le cui ripercussioni metteranno i genitori stessi dinanzi ad una scelta di vita impervia tra richiamo d’affetto e prospettiva di una vita economicamente risolta. Tra le ascisse e le ordinate apparirà una terza linea di luce, rossa e obliqua, in cui mi pare di riconoscere la figura filiale, l’elemento dissonante che scardina le coordinate valoriali piccolo borghesi e “statutarie” per farsi portatrice di tutta la propria carica rivoluzionaria ed eversiva, di tutto il proprio rifiuto del sistema e di tutta la propria vocazione ad essere antisistema, uno Jan Palach  di questo presente remoto che scientemente s’immola per due cause, una ideale e in senso lato ‘politica’ e l’altra pratica e concreta.
Trasmette, Il giorno della laurea, un senso di sospensione irrisolta, lasciando in bilico sulla soglia di un interrogativo morale complesso e ambivalente, che continua ad aleggiare mentre il cigno nero espleta la sua missione, atto di ribellione estrema ma anche atto di profondo amore filiale.
Formalmente rigoroso, il lavoro di Giovanni Meola infonde il necessario spessore ad una scrittura che, pur non possedendo i crismi del sorprendente, riesce a mostrarsi nel suo complesso interessante, centrando l’obbiettivo di offrire in pegno un interrogativo tanto ineludibile da rimanere inevaso mentre, convinti, applaudiamo.

 

 

 

 

 

Il giorno della laurea
testo, regia e disegno luci Giovanni Meola
con Cristiana Dell’Anna, Enrico Ottaviano
scene Luigi Ferrigno
costumi Annalisa Ciaramella
assistente alla regia Napoleone Zavatto
assistente scenografo Fabio Marroncelli
assistente costumista Carmine Tulipano
foto di scena Marco Ghidelli
direttore di scena Domenico Pepe
elettricista Angelo Grieco
fonico Alessandro Innaro
realizzazione scena Alovisi Attrezzeria
realizzazione costumi Ass. Factory costume
produzione Teatro Stabile di Napoli
lingua italiano
durata 50’
Napoli, Ridotto del Teatro Mercadante, 26 aprile 2016
in scena dal 26 aprile al 1° maggio 2016

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