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Tuesday, 03 May 2016 00:00

Ravenna, i “Parlamenti di aprile” delle Albe

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Ravenna ti accoglie placida, strade ordinate e silenziose e tracce di storia conservate in un tessuto urbano che vive il presente valorizzando il passato. Ravenna è decorazioni musive che ricordano i fasti dell’Esarcato e odore di buona cucina che si diffonde nelle strade. Ravenna è la città del Teatro delle Albe, che da oltre trent’anni porta avanti il proprio percorso poetico avendo come casa base il Teatro Rasi, che un tempo fu una chiesa, poi una cavallerizza, infine, da fine Ottocento un teatro.

Ed è in questo teatro che, ad aprile di ogni anno, si svolgono i “Parlamenti”, ovvero giornate di incontri (e confronti) con studiosi e artisti a far da “parlamentari” ed un gruppo di astanti – per lo più giovani studiosi di discipline teatrali in ambito universitario – chiamato ad assistere e, volendo, ad interagire con la qualifica di “extraparlamentari”. Libero l’accesso per chiunque a questo spazio aperto alla città; quattro giornate tematiche che vanno dal teatro del suono all’incontro con i membri dell’Associazione Ubu per Franco Quadri, dalla conferenza sull’Inferno dantesco a cura di Giuseppe Fornari all’incontro con i membri dell’Angelo Mai di Roma, per concludersi con una loro messinscena di una drammaturgia di Caryl Churchill.
Padroni di casa Ermanna Montanari e Marco Martinelli, fondatori (insieme a Marcella Nonni e Luigi Dadina) del Teatro delle Albe, per celebrare il trentennale del quale, quattro anni fa s’inventarono i Parlamenti, condotti con entusiasmo e passione. Ogni giorno, prima di ogni Parlamento, Marco ed Ermanna si dedicano al dialogo con gli “extraparlamentari”, espletando le presentazioni il primo giorno, discutendo degli argomenti affrontati il giorno prima nei giorni successivi.
Arrivo a Ravenna alla vigilia dell’inizio dei lavori “parlamentari”, in tempo per assistere all’ultima parte di un laboratorio che Marco Martinelli sta tenendo con un eterogeneo gruppo di cittadini ravennati; faccio da subito la conoscenza con la platea del Rasi, col suo palco profondo rubato all’abside della chiesa originaria. Loro sul palco, lui – microfono alla mano – giù in platea a guidare una quarantina di persone (ne conto trentotto, per la precisione) che seguono le sue direttive dando l’impressione di essere lì a lavorare da un tempo lungo e imprecisato; apprenderò poi che si trattava di un brevissimo laboratorio di poche ore distribuite in pochi giorni, eppure, da quel che vedo, dalla dimestichezza con cui Martinelli interagisce con le persone del suo laboratorio, da come li guida, da come li chiama per nome ad uno ad uno correggendo all’istante ogni sbavatura di un momento, recepisco la sensazione di essere al cospetto della realizzazione – embrionale eppure compiuta – di quel “patto collettivo” che sottende al teatro e che riverbera la propria originaria natura. “Chi dedica la propria vita al teatro deve stare anche con chi il teatro non lo fa” è una frase che ascolto pronunciare dallo stesso Marco Martinelli mentre il laboratorio termina, la appunto e la elevo a sintesi dei miei primi momenti ravennati.

Il giorno dopo hanno inizio i Parlamenti: il foyer del Rasi, intitolato a Mandiaye N'Diaye, membro senegalese delle Albe scomparso due anni fa, è pieno di sedie provenienti ciascuna da un diverso teatro d’Italia, si riempie per accogliere il tema d’apertura, il “teatro del suono”, ovvero un’esplorazione delle variabili compositive che concorrono alla realizzazione dell’opera teatrale col suo corredo sonoro. Ci si sofferma sull’importanza dell’ascolto, su quanto la dimensione dell’ascolto sia fondamentale per poter vedere, andando a comporre un tutto armonico inscindibile; alla prolusione di Entrico Pitozzi seguono gli interventi – con tanto di esempi sonori – dei compositori Francesco Giomi e Luigi Ceccarelli, le cui partiture sonore, ascoltate fuori da un contesto scenico ideale, servono a dare un’idea fondante della loro funzione, per quanto, avulse dalla sincresi scena/suono, finiscano per rafforzare l’idea che il teatro sia la somma delle sue componenti, visiva e auricolare. Interessante l’ascolto delle sperimentazioni di Ceccarelli, il quale conduce una riflessione sulle trasformazioni sonore rese possibili dal progresso tecnologico, che ormai offre la possibilità di infinite combinazioni di paesaggi sonori.
Infiniti paesaggi sonori che rappresentano un terreno quasi vergine per l’esplorazione accademica, mancando – come non mancherà di spiegare diffusamente Valentina Valentini – una catalogazione specifica, una teatrografia sonora. L’intervento della Valentini passa in rassegna la gamma delle posture vocali possibili, quelle che mettono la dimensione corporea in rapporto con lo spazio vocale. Posture vocali che vanno dal silenzio all’urlo, dal gesto sonoro presente nelle tragedie greche agli “scarabocchi fonetici” di cui parlava Kantor.
Incontro assai denso, i cui spunti sembrano meritori della trattazione specifica auspicata da Valentina Valentini.

Il secondo giorno dei Parlamenti è dedicato alla figura di Franco Quadri, con la presenza dei membri dell’Associazione Ubu per Franco Quadri, che ha tenuto in  piedi il premio omonimo dopo la sua morte. Presente anche Jacopo Quadri, che di Franco è figlio oltre che regista (assieme a Davide Barletti) del documentario su Eugenio Barba e l’Odin Teatret Il paese dove gli alberi volano, la cui visione seguirà l’incontro.
Jacopo Quadri ripercorre le vicende paterne, la Ubulibri, le pendenze debitorie, gli appartamenti venduti da Franco Quadri per farvi fronte, l’avventura mastodontica dei Pataloghi, catalogazione annua minuziosa di tutto il teatro (spettacoli, festival, libri) che aveva avuto luogo in Italia. Pataloghi che sono in via di digitalizzazione, cosa che verrà celebrata il prossimo 11 maggio all’Arena del Sole di Bologna.
Anna Bandettini, Renata Molinari, Laura Mariani si susseguono nel ricordare Franco Quadri e nel farne memoria viva attraverso il racconto del Premio Ubu, di quello che è stato e di quel che ancora è, dei meccanismi che lo regolano e delle modalità che vi presiedono.
La lettura, da parte di Ermanna Montanari, de La solitudine del critico, scritto di Franco Quadri dedicato a Roberto De Monticelli, oltre ad offrire uno spaccato – soprattutto a beneficio dei più giovani – di quella che era la critica teatrale di un tempo (e già da De Monticelli a Quadri è ravvisabile l’epocalità di un passaggio), mi offre anche lo spunto per una riflessione sulla differenza tra il De Monticelli “critico militante puro” e il Quadri che per sua stessa ammissione opta per la scelta di “sporcarsi le mani”, ovvero di attraversare la realtà teatrale anziché confinarsi nell’esclusivo ruolo di critico. Ebbene, è proprio su quel malinteso senso delle mani sporcate che oggi, a distanza di anni, abbiamo visto la critica teatrale perdere parte cospicua della propria credibilità, allorquando quelle mani che Franco Quadri intese “sporcare” nell’avventura editoriale della Ubulibri, le vediamo oggi agitare, non senza frenetica alacrità, a chi esercitando l’attività di critico, non si perita di occupare in teatro ruoli eticamente e deontologicamente collidenti con il compito di sedersi nell’ombra della platea per poi produrre recensione.
Questione cogente, meritevole di essere tenuta aperta, è il viatico che ci accompagna alla visione del documentario di Jacopo Quadri dedicato ad Eugenio Barba: Il paese dove gli alberi volano.
Il film possiede un ritmo narrativo veloce e scorrevole, frutto dell’esperienza di montatore di Jacopo Quadri, e racconta l’Odin Teatret coniugando il racconto del suo fondatore con un affresco del presente. Le riprese si svolgono in occasione della Festuge, celebrazione rituale che ha luogo ad Holstebro ogni tre anni e della quale ad Eugenio Barba spettano nella fattispecie l’allestimento e la “regia”. Una vera e propria festa popolare, che riporta alla mente – anche se non è proprio la stessa cosa – quel che l’Odin faceva negli anni Settanta, quando andava ad “abitare” in residenza zone marginali come Castrignano Salentino in Puglia o Ollolai in Barbagia dando inizio ala pratica del baratto teatrale. Mutatis mutandis, la suggestione è che l’Odin ricambi simbolicamente la cinquantennale ospitalità di Holstebro organizzandone la festa popolare.
Eugenio Barba appare come uno spirito senza età, la sua voce è ancora come la descriveva Cesare Garboli quaranta anni addietro: “Soave e chiara, dotata di un potere infallibile di fascinazione”; un collettore di culture, che si coagulano attorno all’Odin in occasine della Festuge per partecipare ad un evento che è né più né meno che una festa di paese, del cui allestimento però si occuperà l’Odin. Ed è soprattutto l’occasione per farvi un viaggio intorno, per avere un’immagine, sia pur parziale, di cosa sia oggi quel che è stato il Terzo Teatro.

Il terzo giorno dei Parlamenti è dedicato ad una lettura dell’Inferno di Dante condotta da Giuseppe Fornari, docente a Bergamo di Storia della Filosofia, il quale ci accompagna in un’analisi metatestuale della Commedia, che parte da lontano, dalla questione del “moderno” – in realtà figlio di quel  Medioevo che la communis opinio tende spesso ed erroneamente a bollare e sminuire come età oscura – per approdare ad una premessa di merito sull’amore cortese, a sua volta imprigionato nella fallace taccia dello psicologismo o nella catalogazione di movimento letterario; per meglio comprendere quel che sia stato l’amore cortese, è necessario rifarsi sia all’esperienza della poesia provenzale – e in particolar modo a quella del trobar clus – che all’importazione della poesia mistica islamica in Occidente attraverso le Crociate. È solo attraverso questa complessione del quadro storico-letterario che si può comprendere e filtrare una visione differente dell’amore cortese come amore mistico per Dio; alla luce di questa interpretazione, Giuseppe Fornari  mette in risalto una visione plausibile della Beatrice dantesca, “donna schermo”, come proiezione del mondo mistico dell’Alighieri. L’analisi di Fornari parte da questi presupposti per condurre un’indagine esegetica sui significati della Commedia, trasfigurando in Beatrice una incarnazione cristologica, figura cardine della rivelazione di Dio per Dante.
Se in prima istanza la trattazione dantesca c’era potuta sembrare avulsa dal contesto complessivo dei Parlamenti (quantunque ci troviamo nella dantesca Ravenna), ne cogliamo poi il nesso recondito – anche se qui il trobar clus non c’entra! – nel progetto del Teatro delle Albe di lavorare ad una realizzazione delle tre cantiche (Inferno, Purgatorio, Paradiso) in tre lavori distribuiti in sei anni (2017, 2019, 2021); tre spettacoli itineranti, aperti alla città, vocazionalmente site-specific e che si pasciono di un lavoro di studio profondo, che ha tra le fonti a cui attingere anche e proprio gli studi di Fornari.

La chiusura dei Parlamenti, l’ultimo giorno, è coi ragazzi dell’Angelo Mai di Roma, spazio occupato dalle arti, i cui membri (Gian Marco Di Lecce, Sylvia De Fanti, Giorgina Pi) ne raccontano le difficili vicende, occupazioni e successivi sgomberi, fino all’abbandono forzato della sede originaria nel Rione Monti per riparare nell’ex bocciofila che ancora oggi ne è sede. Evidente il rapporto sempre complicato con le istituzioni capitoline, incapaci di rapportarsi in maniera congrua e trasparente con la realtà dell’Angelo Mai, ma evidente anche una volontà di fare e di perseverare che traspare dagli sguardi puliti e risuona nei toni commossi dei membri dell’Angelo Mai, sguardi puliti e toni commossi di chi crede in quello che fa e nei valori che ne sono alla base.
L’Angelo Mai allestisce anche Caffettiera blu, drammaturgia di Caryl Churchill, drammaturga inglese contemporanea, in Italia colpevolmente misconosciuta, della cui traduzione si è occupata Paola Bono (anche lei presente ai Parlamenti). Non normale, non rassicurante è un saggio che la Churchill scrisse intorno ai vent’anni; “non normale, non rassicurante”, è così che lei stessa definiva il proprio teatro; e non normale, non rassicurante si propone di essere l’esperienza dell’Angelo Mai.
Caryl Churchill è autrice di testi diversissimi tra loro; fra questi, Caffettiera blu, che l’Angelo Mai inscena sul palco del Rasi, sul quale poche file di spettatori per ogni lato contornano la scena, minimamente composta da un tavolo attorno al quale giostreranno sedie e attori nella penombra di una fievole illuminazione.
Caffettiera blu è parte di un dittico – Cuore blu – comprendente l’altro testo L’amore del cuore ed è un raffinato espediente testuale che immette progressivamente su un ordito semplice, basato su un cinico gioco d’inganni, termini che destrutturano il linguaggio; le parole “caffettiera” e blu” vanno prima intercalandosi al testo sporadicamente, poi via via lo invadono mischiando il senso col nonsense, la linearità narrativa con una distonia del linguaggio; Caffettiera blu è, in superficie, la storia di un giovane uomo mendace che, per un suo gusto perverso, si diverte ad ingannare donne nel cui passato c’è un figlio abbandonato in adozione, facendo creder loro di essere lui quel figlio; in undici quadri scenici gli attori – che impersonano più personaggi, si cambiano a vista e tra l’entra ed esci di scena s’accomodano tra il pubblico – si susseguono attorno al tavolo, fuoco centrale della scena. È attorno a questo tavolo che si svolge la sottile pantomima di una incomunicabilità non testuale, la cui fioca illuminazione pare adeguata allo sfumato e indefinito senso di indeterminatezza del linguaggio. Una delle prime frasi della pièce è: “Non riesco a parlare” e rompe con un filo di voce un silenzio protratto; si assiste così a dialoghi rarefatti e composti, accorati ed intensi, in cui l’inganno perpetrato possiede inizialmente il tono garbato di una conversazione piana per poi progressivamente “sporcarsi” della dismissione del senso, il linguaggio si disfa in una deriva straniante, che si colora (del blu) di un’ironia grottesca. Le parole “blu” e “caffettiera” entrano nel testo invadendone il senso. Siamo dinanzi ad una destrutturazione testuale che suggerisce una strutturazione sottotestuale: attraverso il linguaggio in frantumi, la drammaturgia della Churchill (nell’ottima traduzione di Paola Bono) racconta la frantumazione del livello umano della comunicazione e del sostrato interiore degli stessi personaggi. L’inganno, che è il motore propulsivo della vicenda, trova la propria espressione verbale in questo linguaggio deviato, bislacco, assurdo; la verità diviene così un quadro camuffato, nel quale l’incomunicabilità è il pennello che tinge di blu un paesaggio fatto di meschinità.
L’ensemble attorale dell’Angelo Mai ben funziona nel popolare questa quadreria di incomunicabilità raccolte attorno ad un tavolo, girando attorno al quale il vero ed il verosimile si confondono, lasciandosi dietro una traccia d’inquietudine sospesa tra senso e nonsenso, tra valore e disvalore, in tal modo evidenziando la natura duale dell’animo umano, in cui il bene e il male si fronteggiano, si parlano, s’ingannano. Caffettiera blu va al cuore di quest’inganno e di questa lotta facendo del linguaggio la chiave d’accesso ad un io frantumato e lo strumento di una dissoluzione crudele.
Come in una Dogville meno efferata, in cui la dissoluzione è solo all’apparenza incruenta.

Bilancio consuntivo di quattro giorni di Parlamenti: un evento contenutisticamente denso, che diversifica le tematiche da affrontare pur riconducendole ad un filo unitario, filo unitario che riporta al Teatro delle Albe e a quella “utopia orizzontale” che sembra sorreggerlo e che poi a ben vedere, tanto utopia non è, visto che è un luogo in cui si realizza una idea di comunità teatrale, un luogo in cui si ha l’opportunità di una condivisione circolare.
Una circolarità fatta di parlamentari ed extraparlamentari di cui ci si porta dietro le tracce come un dono, più prezioso proprio perché condiviso.

 

 

 

 

 

Parlamenti di aprile
a cura di Marco Martinelli, Ermanna Montanari

19 aprile:
Akousma: il teatro del suono

Enrico Pitozzi, Francesco Giomi, Luigi Ceccarelli, Valentina Valentini

20 aprile:
Esercizi di memoria patafisica. Associazione Ubu per Franco Quadri
Jacopo Quadri, Anna Bandettini, Laura Mariani, Renata M. Molinari, Luigi De Angelis
a cura di Associazione Ubu per Franco Quadri
da un’idea di Fiorenza Menni/Ateliersi
in collaborazione con Fondazione Alberto e Arnoldo Mondadori/Fondo Franco Quadri-Ubulibri

Il paese dove gli alberi volano
regia Davide Barletti, Jacopo Quadri
in collaborazione con Ravenna Cinema
paese Italia
lingua originale italiano, inglese, danese, portoghese
colore a colori
anno 2015
durata 77 min.

21 aprile:
Salvezza nel labirinto: l’Inferno di Dante
Giuseppe Fornari

22 aprile:
Non normale, non rassicurante. A 10 anni l’Angelo Mai incontra Caryl Churchill

Paola Bono, Sylvia De Fanti, Gian Marco Di Lecce, Giorgina Pi

Caffettiera blu
di Caryl Churchill
traduzione Paola Bono
regia Giorgina Pi
con Sylvia De Fanti, Gian Marco Di Lecce, Mauro Milone, Aglaia Mora, Laura Pizzirani, Simona Senzacqua
voce fuori campo Marco Cavalcoli
costumi Gianluca Falaschi
dimensione sonora Valerio Vigliar
foto di scena Valeria Tomasulo
una produzione Bluemotion/Angelo Mai
con il sostegno di Sardegna Teatro
lingua italiano
durata 55’
in scena 22 aprile 2016 (data unica)

Ravenna, Teatro Rasi, dal 19 al 22 aprile 2016

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