“La vita come deve si perpetua, dirama in mille rivoli. La madre spezza il pane tra i piccoli, alimenta il fuoco; la giornata scorre piena o uggiosa, arriva un forestiero, parte, cade neve, rischiara o un’acquerugiola di fine inverno soffoca le tinte, impregna scarpe e abiti, fa notte. È poco, d’altro non vi sono segni”

Mario Luzi

Wednesday, 13 April 2016 00:00

Storie di solitudine... condominiale

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Tre storie. Tre racconti di solitudine e di vita vissuta ai margini della società che conta. Lo scenario, la periferia di Parigi. Il film, Il condominio dei cuori infranti di Samuel Benchetrit. Charly è un adolescente all’apparenza apatico che vive con una madre che non c’è mai; Jeanne Meyer è un’attrice disoccupata un po’ su con l’età, dal carattere scontroso e respingente, e Sternkowitz è un uomo solitario, un po’ squallido, che fugge dai rapporti umani ed evita i suoi stessi condomini, ma che in realtà, ha bisogno di una metà che lo completi.

E poi c’è l’alieno, l’astronauta statunitense John Mckenzie. Piovuto per errore dallo spazio sul tetto del condominio, viene accolto e accudito dall’anziana Harmida, una donna mediorientale con un figlio in carcere.
Tre storie che promettono di raccontare la povertà e lo squallore di vite dimenticate, ma che, sorprendentemente, si rivelano una fonte inesauribile di umanità, intelligenza, di buoni sentimenti e umorismo. Charly, l’adolescente, sembra essere destinato ad un futuro di fallimenti e, invece, nell’insolito rapporto che instaura con la sua dirimpettaia, l’attrice Jeanne, dimostra di essere un ragazzo sveglio, riflessivo e generoso. Dal basso dell’esperienza che la sua giovane età gli ha conferito, riesce a dispensare saggezza e ad infondere coraggio nella donna. Lei non riesce ad accettare il tempo che passa e tenta di rimettere un piede nel mondo del cinema proponendosi per il ruolo di una quindicenne (“sono giovane!” dirà al ragazzo che contesta la sua ostinazione), senza vedere la bellezza dei suoi anni, il fascino e l’intensità della sua figura, pur segnata dalle rughe. Anche Jeanne, in un primo momento, si offre allo spettatore come una persona sgradevole a cui non si può voler bene. Scorbutica e sbrigativa, non dice mai “grazie”. Invece, l’incontro con il ragazzo e il progressivo abbandono a lui, rivela il suo bisogno di aiuto e di affetto e, più semplicemente, di un amico. Jeanne, dal canto suo, sarà capace di aprire gli occhi al ragazzo facendogli conoscere il suo mondo e comprendere quanto è vasta l’umanità al di fuori del condominio e della periferia che frequenta. Sternkowitz, egoista e repellente, dopo essersi invaghito di un’infermiera che fa il turno di notte, una persona sola almeno quanto lui, mostrerà un lato sensibile capace di vedere la bellezza là dove è ben celata. L’infermiera è interpretata da Valeria Bruni Tedeschi, perfetta nel ruolo della donna nevrotica e insicura di sé, che si veste male e che si rassegna ad una vita priva di speranza in cui l’unica certezza è che rimarrà sola al mondo. Si dice che gli opposti si attraggano, ma in questo caso è il contrario. I due si assomigliano e anche lei saprà vedere la bellezza in Sternkowitz.
C’è del tenero in questo film. Ed è la tenerezza che scaturisce dai rapporti intimi tra le persone. L’episodio che più di ogni altro cattura la benevolenza dello spettatore e strappa molto più di un sorriso, è quello dell’astronauta. John Mckenzie lavora per la NASA. Per un errore di “rotta” atterra nel sobborgo parigino. Hamida lo accoglie in casa sua senza riserve, senza sospetti e senza fare tante domande di fronte ad una situazione che si può definire tranquillamente assurda. È felice di avere finalmente un po’ di compagnia e di poter preparare il suo cous cous speciale per qualcuno. Lo terrà con sé fino al momento in cui la NASA tornerà a riprenderselo. I due parlano lingue diverse (l’astronauta interpretato da Michael Pitt non è doppiato ma viene sottotitolato), ma con il passare dei giorni, finiscono per capirsi e raccontarsi l’uno all’altra. John riesce a percepire il dolore della donna per la detenzione del figlio e lei è capace di donare all’americano il calore e l’affetto di cui ha bisogno. Ma non c’è solo del tenero in questo film. Si ride parecchio, e lo si fa anche sulle sfortune degli altri. Umorismo nero, cinismo quanto basta, ma anche l’inventiva e la capacità di arrangiarsi di fronte alle situazioni più assurde, sono gli elementi che fanno del film qualcosa che non si era ancora visto. Perché i protagonisti non sono persone come tutte le altre. Vivono nel loro condominio una vita parallela a quella reale, compiono le azioni quotidiane come in trance mentre sono assorti in altri pensieri. Sono personaggi verso i quali lo spettatore nutre sentimenti contrastanti. L’antipatia e il fastidio che prevalgono nei primi minuti della pellicola, quando tutti (o quasi) si offrono con il loro egoismo in bella mostra, vengono sostituiti dalla curiosità e dal divertimento man mano che il film va avanti, per trasformarsi in vero e proprio affetto per alcuni di loro (Hamida e l’astronauta John Mckenzie) quando la trama volge al termine.
Un racconto onirico di una realtà che, se fosse narrata come è in concreto, forse, non farebbe tanto ridere.

 

 

 

Il condominio dei cuori infranti (Asphalte)
regia e seneggiatura
Samuel Benchetrit
con Isabelle Huppert, Valeria Bruni Tedeschi, Tassadit Mandi, Michael Pitt, Gustave de Kervern, Jules Benchetrit, Mickaël Graehling, Larouci Didi
fotografia Pierre Aïme
produzione La Caméra Deluxe, Maje Productions, Single Man Productions
paese Francia
lingua originale francese
colore a colori
anno 2015
durata 100 min. 

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